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PIPER STORY - parte 1

Da Nuovo Sound - febbraio 1975

a cura di Eddie Ponti

Parlare oggi del Piper Club, di quello che ha significato nel costume e nella musica degli ultimi dieci anni, è un po' come fare della storia. Anche per fare la storia, difatti, occorre sfrondare la verità dalle mille leggende che sempre gli fioriscono intorno e, pur essendo le leggende più affascinanti della verità, nel mio compito di "storico" cercherò di eliminarle.

Contrariamente a quanto crede la maggioranza dei giovani d'oggi, eredi del nostro '68, il Piper non è nato come una pura espressione del nuovo modo di essere giovani, bensì come una vera e propria impresa di sfruttamento commerciale di un fenomeno che, già fiorentissimo all'estero, prometteva lauti incassi ai coraggiosi che se ne fossero fatti alfieri anche da noi. Così fu che uno degli uomini più intelligenti d'Europa, Alberico Crocetta (l'avvocato) fece società con un abilissimo uomo d'affari (Giancarlo Bornigia) e, scovato un locale nuovissimo che, costruito per essere utilizzato come cinema non aveva avuto permessi di agibilità, lo riempirono di macchine strane, lo munirono di una "buca dell'eco", lo fecero decorare da artisti d'avanguardia e lo chiamarono "Piper", zampognaro.

Solo le opere d'arte che decoravano il fondale, se non fossero state vandalicamente distrutte in un secondo tempo, servirebbero oggi ad attrezzare un museo d'arte contemporanea... C'erano due Andy Wharol, dei Rotella, degli Schifano, dei Rauchemberg, dei Manzoni... Le luci che adesso ci farebbero sorridere, erano una vera e propria sfida a tutti i canoni fino ad allora accettati; il suono era pazzesco, prevaricatore, straripante, totale ed era manipolato dall'insuperato "mago" Beppe Farnetti.

Aprirono con un complesso "rimediato" da Teddy Reno, allora impresario, in Inghilterra, e tutta Roma vide, stupefatta, i posters giganti di quattro giovanotti con capelli lunghissimi che invitavano a recarsi al "Piper Club", via Tagliamento 19, e che si chiamavano "The Rokes".

Nel timore che la musica "beat" dei Rokes fosse un po' troppo indigesta si ingaggiò un complessino che faceva "night" al Club 84 e lo si incaricò di suonare cose nostrane fra un round e l'altro dei "mostri" inglesi.

La formazione che doveva fare il "liscio" era l'Equipe 84 ma anche lei fin dalla prima sera fu costretta letteralmente, dal pubblico assatanato, a fare lo stesso tipo di musica che facevano i Rokes. La discoteca non c'era ancora... Fu un successo senza precedenti ma il locale non fu subito un locale per soli giovani perché la " Roma bene", scopertolo, lo aveva adottato ed ogni sera scendeva quelle interminabili scale per il gusto di inorridire al suono troppo forte, di stupirsi ai contorcimenti dei primi "giovani beat" e di tentare qualche passo sincopato sotto la guida dei "maestri di ballo" previdentemente ingaggiati da Crocetta. Ma, a parte la gente "bene" che nella sua sempiterna stronzaggine si lascia sfuggire ogni occasione di capire le cose prima che ne parlino i rotocalchi, gli artisti, la gente di cultura captò il messaggio di novità, di rottura che scaturiva da quella buca dell'eco da quei pochi ragazzi e ragazze che avevano un'aria di persone "libere" assolutamente inedita.

Gassman, Zeffirelli, Anna Magnani, Alberto Bevilacqua, Nureyev, Gianrico Tedeschi, Monica Vitti, Albertazzi, Lilla Brignone, Ugo Sciascia, Sandro De Feo, Lina Wertmüller, Renzo Trionfera, Nanni Loy, Renzo Vespignani; questi pochi nomi vi bastino a farvi un' idea dell'ondata di interesse che il "Piper" aveva scatenato. Si cominciò anche a saper ballare quella nuova e strana musica e fra le più scatenate c'erano Romina Power, Gabriella Ferri ed Anita Pallemberg che poi ci avrebbe lasciato per mettersi con un Rolling Stone.

L'Equipe 84 ed i Rokes, riconfermati cento volte, non ce la facevano più a reggere il ritmo di un successo che andava crescendo di giorno in giorno e fu cosi che altri complessi vennero dall'Inghilterra e dall'improvvisazione italiana a dar loro una mano ed a rimpiazzarli di tanto in tanto... Mike Liddell, Patrick Samson, I Rokketti, i Delfini, Honeycombs, New Dada, Lord Brummel, Bad Boys, The Echoes, Caterina Caselli, Dino, Fred Bongusto e molti altri fra i quali anche Rita Pavone che a quel tempo aveva ancora la voce da ragazzino.

La "vague" mondana cominciò a decrescere ma in compenso cominciarono a crescere le presenze dei giovanissimi, tutti belli e tutti scatenati.

Fra le ballerine più brave, chi lo direbbe, c'era una biondina un po' cicciottella e sempre affamata di insalata russa (il piatto più a buon mercato e quindi il più popolare della vicina tavola calda) quella ragazza si chiamava Nicoletta Strambelli e siccome aveva già canticchiato un po' col nome di Guy Magenta e sapeva suonare uno strumento (credo la chitarra benché mi risulti che studiò anche pianoforte al conservatorio) Alberico Crocetta la convinse a formare un complesso femminile con Penny Brown e altre due ragazze romane. Suonavano da cani ma avevano una certa grinta e ci facevano ballare tutti, Tognazzi compreso, con lo stesso impegno che mettevamo quando c'erano i "grossi".

Intanto anche i giovani organizzavano e Tito Schipa Jr. mise in scena, Con la collaborazione tecnica di Fabrizio Bogianckino, la famosa "Opera Beat" ''Then an Alley' su testi e musiche di Bob Dylan; protagonisti Simon & Penny (Brown). Fu uno shock per molti ma un'indicazione di rotta per tutti. Dall'Inghilterra era arrivato un ingegnere fresco di laurea che cantava con una voce profondissima e, se elegantissimo, era accompagnato da un complesso straordinario e vestito di vecchi frac sbrindellati. Si chiamava Thane Russel ed era il più stupendo animale da spettacolo che si sia mai visto sui palchi e sulle pedane del Piper.

Tanto per darvi un esempio una volta colpì, volutamente, col taglio della mano un piatto della batteria e sangue sull'impeccabile ed immacolato abito bianco; il tutto senza smettere di cantare e ballare.

Intanto la Strambelli aveva inciso il suo primo disco "Ragazzo Triste" il cui retro era "Holy Cow"; i testi glieli aveva tradotti Gianni Boncompagni il quale, avendo allora anche velleità canore, utilizzò la base di Nicoletta per incidere anche lui le stesse canzoni con il nome d'arte di Paolo Paolo; naturalmente scoppiò un casino e Gianni, per fortuna di tutti, rinunciò al canto. Quanto ai nomi d'arte avrete già capito che la Strambelli si era già scelto quello di Patty Pravo (veramente glielo aveva trovato Crocetta) e Giampiero Scalamogna quello di Gepy e Gepy. Giampiero, che si chiamò "Gepy & Gepy" per sottolineare la sua robusta mole che, in effetti, valeva per due, cantava con un complesso di sogno e con due splendide ragazze, bionda Melody e d'ebano Barbara, che pian piano passarono dai controcanti agli assolo; lui ricordava Ray Charles.

Crocetta aveva organizzato un altro gruppo "The Pipers" e, sempre vulcanico, pensava di lanciare una bevanda per i giovani che avrebbe dovuto chiamarsi "Piper Cola". Lo slogan, favolosamente "crocettiano", suonava cosi: "Piper Cola...Ogni sorso un rutto!" ma purtroppo la cosa andò a monte per l'opposizione di altre più famose "Cole" e fu cosi che ripiegammo sul whisky.

 Eddie Ponti

(continua)

 
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