Mi chiamo Nicola Donatelli e sono nato
a Roma il 3 febbraio 1949, sotto il segno
dell'Acquario.
Sono laureato in Filosofia e studio
composizione al Conservatorio di S. Cecilia.
Lavoro, come pianista accompagnatore,
presso l'Accademia Nazionale di Danza.
Ho cominciato a suonare abbastanza presto,
verso i dieci anni. A casa mia c'era un pianoforte a coda, un
Erard, che ai suoi tempi, insieme al Pleyel, era stato il
pianoforte preferito da Chopin. Ci avevano studiato mia nonna, mia
madre e mia zia. Ma questo non deve trarre in inganno, non
significa affatto che io sia nato in una famiglia di musicisti.
Era il solito discorso borghese delle ragazze di buona famiglia
che studiano musica per allietare (si fa per dire) il riposo del
guerriero.
La musicalità l'ho ereditata da
fonti meno accademiche ma sicuramente più spontanee. Mio
padre, medico abruzzese purosangue, suonava il pianoforte a
orecchio e mio nonno il violino.
Tutto questo lascerebbe pensare un
accostamento alla musica abbastanza facile per me. Invece fu una
cosa abbastanza sofferta. Il fatto che mio padre fosse abruzzese
purosangue e suonasse il pianoforte non fu di molto aiuto quando
gli comunicai che volevo lasciare medicina (una delle quattro
facoltà in cui sono stato iscritto) per studiare
musica.
Come spesso accade per i genitori, essi
avevano già deciso il mio avvenire, senza chiedere
minimamente il mio parere.
In breve, ero nato medico e non potevo
eludere il mio destino.
Per dissuadermi, mi dissero le solite cose,
che la strada della musica era una strada incerta, che dovevo
pensare a qualcosa di più serio e che potevo benissimo
tenermi la musica come hobby e laurearmi.
Ma proprio in quel periodo accadde che mio
padre morì e questo evento cambiò molto la mia vita.
Esso rivelò quanto fosse fragile la mia famiglia e quanto
la morte di mio padre fu anche la morte dell'unica fonte di
spontaneità che esisteva in essa.
Vivevo da solo a Roma, in viale delle
Medaglie d'Oro, e passavo il tempo facendo finta di preparare
qualche esame all'Università ( ero iscritto a Filosofia) e
scrivendo canzoni.
Un giorno, passando per piazza Esedra,
capitai in mezzo ad un Festival dell'Unità e vidi su un
camion quello che sarebbe stato il mio coinquilino, Ernesto
Bassignano, che stava preparandosi a suonare. Mi avvicinai e
balbettando gli dissi che avevo scritto una canzone sul compagno
Franceschi che avevano ammazzato pochi giorni prima a Milano, e
che avrei avuto piacere se lui l'avesse voluta
ascoltare.
Ci demmo un appuntamento per il pomeriggio
a casa mia, e lui gentilissimo venne e la canzone gli piacque,
tanto da propormi di cantarla al Folkstudio di Giancarlo Cesaroni.
Nel discorso venne anche fuori che lui cercava casa ed io cercavo
qualcuno con cui dividere il prezzo dell'affitto. L'incontro si
rivelò vantaggioso per entrambi.
La domenica al Folkstudio io tremavo come
una foglia. Era la mia prima esibizione in pubblico e quando
Ernesto fece il mio nome, io ero scappato via. Mi raggiunsero a
Piazza S. Cosimato e mi portarono davanti al piano.
Non so come riuscii a suonare la canzone
dall'inizio alla fine senza sbagliare, con le mani che sembravano
completamente autonome dal cervello.
Andò bene, la canzone piacque e io
pensai che forse potevo tentare quella strada.
Cominciai ad andare tutte le domeniche al
"Folkstudio Giovani" dove già si esibivano alcune stelle
come De Gregori, Venditti e lo stesso Bassignano. Ne sono uscito
fuori molto bene, mi sono iscritto al Conservatorio ed ho
continuato a scrivere canzoni.
Il mio primi 45 giri si intitola
"Canta
canta" perché la musica ti
aiuta a risolvere tutti i problemi. Sul retro una canzone d'amore:
"Se sapessi".