La favola dei Genesis incomincia
soltanto dopo il passaggio del gruppo alla
Charisma.
L'esordio era avvenuto sotto l'egida della Decca, per
l'interessamento di un vecchio compagno di scuola, Jonathan King,
che li aveva prodotti ed aveva tentato di lanciarli. L'album si
intitolava "From Genesis to Revelation", e sulle note di
copertina i cinque musicisti spiegavano la difficile penesi del
loro nome. Dapprima avevano deciso di chiamarsi Genesis, poi
avevano scoperto l'esistenza di un'altra formazione che aveva
adottato la stessa denominazione: allora avevano mutato il nome in
Revelation e dopo poco s'erano accorti che esistevano degli altri
Revelation: "ora siamo un gruppo senza nome, ma abbiamo un
disco e vogliamo darvelo, nome o no". I primi Genesis presto
sarebbero scomparsi, e Gabriel e compagni poterono riprendere il
loro antico nome.
"From Genesis to Revelation" data al '69 ed è un disco
di scarso interesse: il suono è pulito, vi sono delle
atmosfere pregevoli e la voce di Peter è già
interessante, ma manca decisamente un'ispirazione personale e
profonda, l'ombra dei Moody Blues aleggia su tutti i brani. Dei
cinque Genesis attuali mancano il chitarrista Steve Hackett ed il
batterista Phil Collins; in loro vece vi sono rispettivamente
Anthony Philips e John Silver.
Evidentemente, Johnathan King, fra le più bizzarre
figure della scena pop inglese (a lui è dovuta, fra
l'altro, la "Satisfaction" che i Tritons hanno portato al successo
lo scorso anno) rimase profondamente deluso dai risultati
commerciali conseguiti dall'album. Non altrimenti si spiega il
passaggio del gruppo dalla Decca alla nascente Charisma di Tony
Stratton- Smith.
Phil
Collins
Steve
Hackett
L'etichetta del cappellaio matto (tratto dall'"Alice" di Lewis
Carrol) si dimostra subito l'ambiente ideale: i Genesis, che nel
frattempo hanno sostituito John Silver con John Mayhew, hanno la
ventura di trovarsi in un autentico crogiuolo di idee nuove,
vengono a contatto con musicisti giovani ed esordienti, si trovano
in una situazione di assoluta libertà. Un luogo ben diverso
dalla solita Casa discografica, fredda, impersonale, burocratica e
piena di limitazioni. La fantasia può scorrere senza freni,
é nel frattempo i "leader" del complesso, Peter Gabriel,
Tony Banks e Michael Rutherford, sono maturati. Il frutto è
immediato e squisito: "Trespass", il secondo album del gruppo,
è già un piccolo capolavoro.
In quel periodo la scena del pop inglese sta attraversando uno
dei suoi momenti più belli e più creativi: da un
lato, i grandi gruppi della generazione, Traffic, King Krimson,
Jethro Tull, Moody Blues, Procol Harum, hanno raggiunto la loro
maturazione; dall'altro, nuovi complessi si affacciano alla
ribalta senza timori reverenziali: i Van Der Graaf, i Gentle
Giant, gli Audience. il pop ha allargato i suoi confini, aprendo
le porte alla tradizione folcloristica, cercando nuovi stimoli nel
contatto con le culture asiatiche ed africane, immettendo nel
proprio tessuto connettivo impulsi classicheggianti, instaurando
un dialogo con il jazz più libero e più avanzato. I
testi hanno acquistato nuova importanza, lo spettacolo sta
cercando una sua fisionomia ed una sua precisa ragion d'essere
come atto integrante dell'espressione artistica. Anche le
copertine iniziano a rispondere ad un'esigenza più
complessa: quella di partecipare con le immagini al disegno di
comunicazione del musicista, e in questo quadro acquistano una
certa popolarità anche gli autori delle "cover". Paul
Whitehead è fra i più celebri "pittori del rock" di
questo periodo. Sua è la copertina di "Trespass",
come sue saranno le "cover" di "Nursery Cryme" e di
"Foxtrot", e la sua collaborazione con i Genesis
risulterà tra le più felici dei primi anni
Settanta.
In ogni modo, ciò che conta soprattutto è la
musica. In "Trespass" sono già presenti, e in bella
luce, tutti i grandi temi dei Genesis: la voce di Peter, dolce e
crudele, evocatrice di folletti incantati e di immagini macabre;
le tastiere di Tony Banks, che disegnano con estrema precisione e
senza un fronzolo inutile le atmosfere irreali e fiabesche tanto
care al complesso: il suono ragionato di Rutherford, che media i
chiaroscuri ed i tratti più colorati. Nella formazione non
c'è spazio alcuno per i virtuosismi finbi a se stessi o per
le divagazioni più o meno brillanti: gli arrangiamenti sono
rigidi e precisi, ed il risultato è come un mosaico formato
da innumerevoli piccoli tasselli, ciascuno al proprio posto, in
perfetta armonia con gli altri. Né per questo, il suono dei
Genesis è da considerarsi freddo, poiché lo sforzo
di tutti è teso a suscitare e a far vivere immagini
pulsanti, sensazioni che si rincorrono, e che colpiscono, in primo
luogo, a livello istintivo. "Looking for someone", "The
Knife","Visions of Angels" sono piccoli gioielli, e fra le righe
lasciano intravedere i grandi gioielli che verranno. Vengono col
terzo album, "Nursery Crime", forse il capolavoro del gruppo. La
storia terribile, assurda e patetica di Cynthia e del piccoio
Henry, la cosa più bella (non sono certo né il
primo, né il solo a dirlo) che i Genesis abbiano mai fatto;
la
fiaba crudele di Ermafrodito; i pastelli delicati di
"For absent friends"; quelli più incisivi di "The return of
the giant hogweed"; i dialoghi incalzanti di "Harold the barrel":
una galleria di istanti memorabili, su cui svetta "The
musical box", per un gruppo che è già
grandissimo.
Invece, incredibile a dirsi, l'lnghilterra non batte ciglio di
fronte a questo eccellente album, e i Genesis non ottengono il
minimo successo: al pari di tanti altri gruppi meritevolissimi
(Gentle Giant, Van Der Graaf Generator) restano nell'anonimato,
soffocati dalI'ombra nascente di Marc Bolan e di tutto il
"giam-rock" che lo ha seguito, oppure dagli infernali schemi dell'
"hard-rock". E' l'ltalia che accoglierà il loro messaggio:
un'Italia che in quel periodo sembrava destinata a grandi
traguardi, vuoi per la presenza di una parte di pubblico
già incredibilmente maturo, vuoi per la vasta
proliferazione di formazioni nuove e coraggiose (ma gli
appassionati più sensibili sarebbero rimasti sempre una
piccola percentuale elitistica, e la gran parte dei gruppi avrebbe
finito per deludere profondamente, in una marea di Gerusalemme
Liberate, di Bibbie di Vangeli, e di Divine Commedie).
L'ltalia, dunque, accoglie il messaggio dei Genesis, li porta
in classifica, e tributa loro grandi onori in occasione della
prima tournée.
Il complesso, nel frattempo, ha messo a punto un eccezionale
spettacolo "live", dove le trovate sceniche la mimica di Gabriel,
i travestimenti - in quel tempo, vi era la celebre volpe -
rivestono un particolare significato e sono in stretta
correlazione con testi e musiche. Phil Collins, un batterista di
non troppe pretese ma estremamente funzionale, e Steve Hackett, un
chitarrista molto espressivo, hanno rilevato il posto lasciato
vacante da Phillips e Mayhew e il gruppo in breve raggiunge un
perfetto affiatamento.
"Foxtrot", il quarto album, suscita i primi commenti
negativi (fra gli estimatori del complesso, è chiaro). A
mio avviso, il disco è invece eccellente, e se non dice
molto in senso evolutivo, raggiunge gli stessi risultati di
intensità, limpidezza e lucidità di "Nursey Cryme".
Non c'e un'altra "Musical Box", è vero: ma brani come
"Watcher of the
skies", "Get'em out by friday" "Time table", e soprattutto la
lunga suite "Supper's ready", meritano un grandissimo rispetto.
"Foxtrot" fa una timida comparsa anche nelle classifiche inglesi:
viene subito spazzato via da Slade, T. Rex e compagnia bella, ma
in ogm caso un pnmo sasso è stato gettato. Saranno le
successive tournée e il quinto album, "Genesis live"
(che riprende "The Knife", "Musical Box" "The return of the giant
hogweed""Watcher of the skies" e "Get'em out by friday") che
finalmente porteranno il nome dei Genesis nelI'olimpo (in senso
commerciale, si intende) del rock inglese. "Selling England by
the pound", il sesto LP, pubblicato esattamente un anno fa,
raccogherà i frutti e sara il primo vero successo del
complesso.
Tony
Banks
Peter
Gabriel
"Selling Engiand by the pound" è indubbiamente un buon
album, ma in esso sono presenti alcuni cedimenti e le prime
sbavature dell'avventura dei Genesis. Certo: validissimi risultano
" Dancing with the moonlit knight., "Firth of fifth" e "The cinema
show", certo Steve Hackett si dimostra molto maturato, e la
formazione, nel suo insieme, pare aver guadagnato un paio di
scalini di tecnica, ma le impressioni negative restano e nello
spettacolo "live", che pur non è mai stato così
magnificamente "perfetto", piuttosto che venir scemate, trovano
una nuova piccola conferma.
Fino ad oggi ho visto i Genesis cinque (o forse sei) volte, e
devo dire onestamente che la prima delusione, sia pur relativa e
piccola, l'ho proprio ricevuta durante l'ultimo concerto. Non
intendo tirare conclusioni affrettate, tipo "ora che sono
diventati famosi, hanno perso la vena e il mordente di un tempo",
oltre tutto credo poco a questo genere di affermazioni. E' un
fatto, però, che il prossimo doppio album del gruppo (che
dovrebbe venir pubblicato a giorni) potrà smentire o
confermare queste piccole sensazioni negative.
Nel primo caso, tutto bene. Nel secondo vorrebbe dire che
qualcosa incomincia a scricchiolare anche nella casa del
"pifferaio di Hamelin" e del "folletto delle tastiere": speriamo,
ovviamente, che non sia così.