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da nuovo Sound anno II°
n. 3 - 25 novembre 1974
GENESIS
dalla Genesi alla Rivelazione
Peter Gabriel
Mike Rutherford
La favola dei Genesis incomincia soltanto dopo il passaggio del gruppo alla Charisma.
L'esordio era avvenuto sotto l'egida della Decca, per l'interessamento di un vecchio compagno di scuola, Jonathan King, che li aveva prodotti ed aveva tentato di lanciarli. L'album si intitolava "From Genesis to Revelation", e sulle note di copertina i cinque musicisti spiegavano la difficile penesi del loro nome. Dapprima avevano deciso di chiamarsi Genesis, poi avevano scoperto l'esistenza di un'altra formazione che aveva adottato la stessa denominazione: allora avevano mutato il nome in Revelation e dopo poco s'erano accorti che esistevano degli altri Revelation: "ora siamo un gruppo senza nome, ma abbiamo un disco e vogliamo darvelo, nome o no". I primi Genesis presto sarebbero scomparsi, e Gabriel e compagni poterono riprendere il loro antico nome.
"From Genesis to Revelation" data al '69 ed è un disco di scarso interesse: il suono è pulito, vi sono delle atmosfere pregevoli e la voce di Peter è già interessante, ma manca decisamente un'ispirazione personale e profonda, l'ombra dei Moody Blues aleggia su tutti i brani. Dei cinque Genesis attuali mancano il chitarrista Steve Hackett ed il batterista Phil Collins; in loro vece vi sono rispettivamente Anthony Philips e John Silver.
Evidentemente, Johnathan King, fra le più bizzarre figure della scena pop inglese (a lui è dovuta, fra l'altro, la "Satisfaction" che i Tritons hanno portato al successo lo scorso anno) rimase profondamente deluso dai risultati commerciali conseguiti dall'album. Non altrimenti si spiega il passaggio del gruppo dalla Decca alla nascente Charisma di Tony Stratton- Smith.
Phil Collins
Steve Hackett
L'etichetta del cappellaio matto (tratto dall'"Alice" di Lewis Carrol) si dimostra subito l'ambiente ideale: i Genesis, che nel frattempo hanno sostituito John Silver con John Mayhew, hanno la ventura di trovarsi in un autentico crogiuolo di idee nuove, vengono a contatto con musicisti giovani ed esordienti, si trovano in una situazione di assoluta libertà. Un luogo ben diverso dalla solita Casa discografica, fredda, impersonale, burocratica e piena di limitazioni. La fantasia può scorrere senza freni, é nel frattempo i "leader" del complesso, Peter Gabriel, Tony Banks e Michael Rutherford, sono maturati. Il frutto è immediato e squisito: "Trespass", il secondo album del gruppo, è già un piccolo capolavoro.
In quel periodo la scena del pop inglese sta attraversando uno dei suoi momenti più belli e più creativi: da un lato, i grandi gruppi della generazione, Traffic, King Krimson, Jethro Tull, Moody Blues, Procol Harum, hanno raggiunto la loro maturazione; dall'altro, nuovi complessi si affacciano alla ribalta senza timori reverenziali: i Van Der Graaf, i Gentle Giant, gli Audience. il pop ha allargato i suoi confini, aprendo le porte alla tradizione folcloristica, cercando nuovi stimoli nel contatto con le culture asiatiche ed africane, immettendo nel proprio tessuto connettivo impulsi classicheggianti, instaurando un dialogo con il jazz più libero e più avanzato. I testi hanno acquistato nuova importanza, lo spettacolo sta cercando una sua fisionomia ed una sua precisa ragion d'essere come atto integrante dell'espressione artistica. Anche le copertine iniziano a rispondere ad un'esigenza più complessa: quella di partecipare con le immagini al disegno di comunicazione del musicista, e in questo quadro acquistano una certa popolarità anche gli autori delle "cover". Paul Whitehead è fra i più celebri "pittori del rock" di questo periodo. Sua è la copertina di "Trespass", come sue saranno le "cover" di "Nursery Cryme" e di "Foxtrot", e la sua collaborazione con i Genesis risulterà tra le più felici dei primi anni Settanta.
In ogni modo, ciò che conta soprattutto è la musica. In "Trespass" sono già presenti, e in bella luce, tutti i grandi temi dei Genesis: la voce di Peter, dolce e crudele, evocatrice di folletti incantati e di immagini macabre; le tastiere di Tony Banks, che disegnano con estrema precisione e senza un fronzolo inutile le atmosfere irreali e fiabesche tanto care al complesso: il suono ragionato di Rutherford, che media i chiaroscuri ed i tratti più colorati. Nella formazione non c'è spazio alcuno per i virtuosismi finbi a se stessi o per le divagazioni più o meno brillanti: gli arrangiamenti sono rigidi e precisi, ed il risultato è come un mosaico formato da innumerevoli piccoli tasselli, ciascuno al proprio posto, in perfetta armonia con gli altri. Né per questo, il suono dei Genesis è da considerarsi freddo, poiché lo sforzo di tutti è teso a suscitare e a far vivere immagini pulsanti, sensazioni che si rincorrono, e che colpiscono, in primo luogo, a livello istintivo. "Looking for someone", "The Knife","Visions of Angels" sono piccoli gioielli, e fra le righe lasciano intravedere i grandi gioielli che verranno. Vengono col terzo album, "Nursery Crime", forse il capolavoro del gruppo. La storia terribile, assurda e patetica di Cynthia e del piccoio Henry, la cosa più bella (non sono certo né il primo, né il solo a dirlo) che i Genesis abbiano mai fatto; la fiaba crudele di Ermafrodito; i pastelli delicati di "For absent friends"; quelli più incisivi di "The return of the giant hogweed"; i dialoghi incalzanti di "Harold the barrel": una galleria di istanti memorabili, su cui svetta "The musical box", per un gruppo che è già grandissimo.
Invece, incredibile a dirsi, l'lnghilterra non batte ciglio di fronte a questo eccellente album, e i Genesis non ottengono il minimo successo: al pari di tanti altri gruppi meritevolissimi (Gentle Giant, Van Der Graaf Generator) restano nell'anonimato, soffocati dalI'ombra nascente di Marc Bolan e di tutto il "giam-rock" che lo ha seguito, oppure dagli infernali schemi dell' "hard-rock". E' l'ltalia che accoglierà il loro messaggio: un'Italia che in quel periodo sembrava destinata a grandi traguardi, vuoi per la presenza di una parte di pubblico già incredibilmente maturo, vuoi per la vasta proliferazione di formazioni nuove e coraggiose (ma gli appassionati più sensibili sarebbero rimasti sempre una piccola percentuale elitistica, e la gran parte dei gruppi avrebbe finito per deludere profondamente, in una marea di Gerusalemme Liberate, di Bibbie di Vangeli, e di Divine Commedie).
L'ltalia, dunque, accoglie il messaggio dei Genesis, li porta in classifica, e tributa loro grandi onori in occasione della prima tournée.
Il complesso, nel frattempo, ha messo a punto un eccezionale spettacolo "live", dove le trovate sceniche la mimica di Gabriel, i travestimenti - in quel tempo, vi era la celebre volpe - rivestono un particolare significato e sono in stretta correlazione con testi e musiche. Phil Collins, un batterista di non troppe pretese ma estremamente funzionale, e Steve Hackett, un chitarrista molto espressivo, hanno rilevato il posto lasciato vacante da Phillips e Mayhew e il gruppo in breve raggiunge un perfetto affiatamento.
"Foxtrot", il quarto album, suscita i primi commenti negativi (fra gli estimatori del complesso, è chiaro). A mio avviso, il disco è invece eccellente, e se non dice molto in senso evolutivo, raggiunge gli stessi risultati di intensità, limpidezza e lucidità di "Nursey Cryme". Non c'e un'altra "Musical Box", è vero: ma brani come "Watcher of the skies", "Get'em out by friday" "Time table", e soprattutto la lunga suite "Supper's ready", meritano un grandissimo rispetto. "Foxtrot" fa una timida comparsa anche nelle classifiche inglesi: viene subito spazzato via da Slade, T. Rex e compagnia bella, ma in ogm caso un pnmo sasso è stato gettato. Saranno le successive tournée e il quinto album, "Genesis live" (che riprende "The Knife", "Musical Box" "The return of the giant hogweed""Watcher of the skies" e "Get'em out by friday") che finalmente porteranno il nome dei Genesis nelI'olimpo (in senso commerciale, si intende) del rock inglese. "Selling England by the pound", il sesto LP, pubblicato esattamente un anno fa, raccogherà i frutti e sara il primo vero successo del complesso.
Tony Banks
Peter Gabriel
"Selling Engiand by the pound" è indubbiamente un buon album, ma in esso sono presenti alcuni cedimenti e le prime sbavature dell'avventura dei Genesis. Certo: validissimi risultano " Dancing with the moonlit knight., "Firth of fifth" e "The cinema show", certo Steve Hackett si dimostra molto maturato, e la formazione, nel suo insieme, pare aver guadagnato un paio di scalini di tecnica, ma le impressioni negative restano e nello spettacolo "live", che pur non è mai stato così magnificamente "perfetto", piuttosto che venir scemate, trovano una nuova piccola conferma.
Fino ad oggi ho visto i Genesis cinque (o forse sei) volte, e devo dire onestamente che la prima delusione, sia pur relativa e piccola, l'ho proprio ricevuta durante l'ultimo concerto. Non intendo tirare conclusioni affrettate, tipo "ora che sono diventati famosi, hanno perso la vena e il mordente di un tempo", oltre tutto credo poco a questo genere di affermazioni. E' un fatto, però, che il prossimo doppio album del gruppo (che dovrebbe venir pubblicato a giorni) potrà smentire o confermare queste piccole sensazioni negative.
Nel primo caso, tutto bene. Nel secondo vorrebbe dire che qualcosa incomincia a scricchiolare anche nella casa del "pifferaio di Hamelin" e del "folletto delle tastiere": speriamo, ovviamente, che non sia così. 

Victor Alfieri

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