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ERMANNO PONTI
UN CENSIMENTO DELLE OSTERIE ROMANE
 
Non so se lo gradirebbero maggiormente i bevitori autentici ovverso i platonici enofili, i timidi buongustai o gli ostinati assertori del regime secco, ma fuor d'ogni dubbio, al di sopra di ogni disputa e competizione, c'è da credere che riuscirebbe straordinariamente interessante un libro che contenesse la storia del vino da Noè a noi.
Libro di ampie vedute: dal tralcio di vite alla produzione dei primi mosti, dai variati mezzi di produzione alla rapida seppur contrastata diffusione (ricordate le Baccanti di Euripide e l'infelice fine di Penteo dichiarato nemico di Bacco?), dalle mille curiosità del commercio ai caldi elogi dei poeti - anche se fiacchi bevitori come Orazio - dal riverbero esercitato nella storia del pensiero umano alle opere d'arte generate sotto il suo influsso, giù giù fino alle insinuazioni dei fisici, alle calunnie dei detrattori; con un libro saremmo indotti a scoprire una insospettata ricchezza di ispirazioni, di eventi, di gioie, di contrasti, da indurci vagamente nel sospetto che la storia del mondo non sia stata finora scritta bene o che non sia stata scritta mai.
La letteratura sul vino è eccezionalmente ricca, ma sbandata e poco conosciuta. Ad ogni modo, se si troverà un uomo di buona volontà che prenda a tracciare con mano sicura la storia della nobile istituzione prettamente latina e romana, l'osteria - e non sarà costretto a limitarsi a un saggio anedottico, come fanno alcuni cultori di memorie romane con la presente pubblicazione - egli inevitabilmente dovrà attingere anche ad un raro libriccino ottocentesco, dovuto al "cavaliere" Alessandro Rufini. Fu costui - Dio glielo perdoni - uno storico e un letterato: non so precisamente quante opere scrivesse, ma anora si trovano nelle nostre biblioteche alcune delle sue produzioni: la "Guida di Roma", edita nel 1851, e un certo "Dizionario etimologico delle vie e piazze di Roma", il quale avrebbe l'onesta intenzione di spiegare, in base a ben provate deduzioni, l'origine spesso oscura, ma sempre interessante, dei nomi stradali della vecchia Roma papale.
Il Rufini, oltre che cavaliere, sarà stato un'ottima pasta d'uomo, ma se c'era una cosa al mondo per cui era negato, questa era precisamente l'indagine storica, ed in particolarissima maniera tutto ciò che fosse toponomastica. Invece ve lo trovate sempre innanzi, con la migliore faccia tosta del mondo, a contarvi le storie più ingenue, con un senso inarrivabile di superficialità e d'imperizia: il tutto presentato in uno stile che fa lievemente rabbrividire, tanto è goffo ed insipido.
Povero Rufini! C'è da credere che l'elogio non lusinghi eccessivamente… Eppure tutto questo è contro le nostre precise intenzioni, giacchè noi siamo sinceramente grati alla sua memoria. E questo, appunto in nome e nell'interesse dell'osteria romana e della sua storia ultrasecolare.
Ecco il perché. Il Rufini, un bel giorno, mentre si occupava delle indagini per acquistare tutte quelle cognizioni (che dovevano - ahimè - generare frutti così aridi e insipidi) che servirono di base alla compilazione del "Dizionario etimologico, ecc…, si avvide che non poche vie traevano la origine dai titoli di parecchie osterie, caffè, alberghi e locande.
Messo sulla buona strada da questa geniale constatazione, e oltre a ciò, tenendo presente il fatto che alcuni di quei nomi apparivano molto bizzarri e che quindi "sembrava di qualche interesse il non lasciare in oblio della posterità le opportune notizie", il Rufini, con una risoluzione che non possiamo che lodare, dopo essersi capacitato che nessun altro prima di lui aveva compiuto l'importante investigazione, si propose di mettersi all'opera e di colmare la grave lacuna.
"Fin d'allora mi nacque il pensiero - scrive - che non disutile poteva riuscire il formare l'elenco degli esercizi di sopra nominati, unendovi la spiegazione della origine di ciascun nome, e di renderlo di pubblica ragione".
Da buon romano, il nostro cavaliere si diè alla ricerca delle osterie, e una ad una percorse le vie della città papale, prese esatta nota del numero civico e del nome di ciascuna osteria (nonchè caffè ecc.) e dispose il tutto in rigoroso ordine alfabetico, prendendo a base della trattazione l'elenco delle vie, cominciando dal vicolo di S. Agata n. 4, dove aveva la sua alma sede l'"Osteria dello schizzetto" e terminando con via degli Zingari n. 9, all'"Osteria del Leone".
Dall'alfa all'omega tutti i pubblici esercizi della Roma del 1850 sono così passati in rassegna, accuratamente regisirati, assegnati ciascuno alla propria categoria, esaminati con scrupolosa obbiettività nel valore storico-etimologico del loro appellativo!
Frutto di cosi amahili e petipatetiche fatiche, risultò un originale volumetto, oggi divenuto raro, elegantemente edito a Roma nel 1855 col titolo, non breve, ma in compenso esauriente ed esplicito: " Notizie storiche intorno alla origine dei nomi di alcune osterie, caffè, alberghi e lucande esistenti nella città di Roma, raccolte dal cavaliere Alessandro Rufini ".
Tutta la Roma alberghiera e vinicola di ottant'anni fa sta cosi avanti a noi grazie a questa guida che ce ne scopre gli aspetti peculiari. Il buon Rufini, infatti, oltre le etimologie usò la saggia precanzione di segnare la esatta ubicazione di ogni locale - ciò che permette graziosi raffronti e utili ricerche - e premise al dizionarietto una serie di cifre diligentemente raccolte e controllate, che formano - senza che lui potesse menomamente prevederlo - il migliore, per non dire l'unico pregio del volumetto. Infatti egli ci tenne a distinguere i locali forniti di un nome a sé da quelli che non ne porlavano alcuno e a darci, come risultati definitivi del curioso censimento, le seguenti cifre "relative a tutto l'anno 1854": osterie 712, trattorie 29, caffè 217, locande 37, a}berghi 10, un totale, come ognun vede, di 1035 esercizi che, per una popolazione di eirca 165 mila abitanti (tanti ne poteva contar Roma in quella epoca) rappresentano un numero impressionante e darebbero adito a una serie di riflessioni utilissime.. Sono certamente questi dati che fanno - secondo la nobile protesta dell'Autore - " meglio di ogni altro considerare la utilità dello scopo del presente suo debolissimo opuscolo ".
Dei 1035 esercizi il Rufini dà l'ubicazione e l'etimologia soltanto di 808, " stante che i residuali non portavano nome alcuno" e in fondo al dizionarietto porta un "elenco per ordine" degli esercizi " di cui si è parlato nell'operetta con la indicazione della pagina per rinvenirli con facilità ".
Come per gli alberghi e per i caffè, consultando il dizionarietto, ed entrando nel mare magno delle osterie, ci s'incontra in una pleiade amorfa, una congerie inaudita di nomi assurdi, fantastici, leziosi, falsamente poetici, falsamente brillanti, spudoratamente volgari, intorno ai quali, con uno zelo pieno di compunzione, una buona fede illimitata e una genialità terra terra, il cavaliere Rufini ricama, annaspando, le monotone storielle delle sue etimologie, accettate e riprodotte senza un'ombra di critica, senza un barlume di verosimiglianza. Abbiamo già visto che il dizionarietto s'apre con I'"Osteria dello schizzetto", ed ecco quello che il Rufini ha il coraggio di riferirci:
 
" Raccontasi che l'antico padrone di quest'osteria, essendo un uomo assai burlone e faceto, scherzasse sovente con gli avventori, ora con parole ed ora con fatti, e vuolsi che fra le altre bizzarrie, si annoverasse anche quella di schizzare in volto del vino, che in antecedenza aveva posto in bocca, operando tutto ciò per sola celia e con le persone di confidenza ".
E meriterebbe di riferire quanto dice l'autore - con notizie raccolte, speriamo bene, sui luoghi delle sue stesse peregrinazioni - a proposito delle caratteristiche osterie dei "tre gigli", del "cameo", dei "cinque santi", delle "tre regine", dei "tre mori", delle "tre once", del "palazzo scuro" (!), dei... "beccamorti", della "bella presenza", del "compasso", della "donna di casa", della... "disperazione", dei "sorci", della "Testa di Morto" (!), delle "tre ferrate della vedova"! Fermiamoci dinanzi a questo ultimo complesso di nomi che sa di romanticismo; ma, al solito, il Rufini ci lascia delusi nella nostra aspettativa: "«Dallo stato "vedovile" della proprietaria di questa osteria - spiega - e dalle ferrate poste nelle finestre della medesima, ebbe origine il titolo che porta ».
Vicino alle etimologie di pura fantasia, ce ne sono infinite altre dove l'imperizia dell'autore è evidente: basti accennare a quella di "Cacciabove" e della "Caifa", ma noi finiremmo - e senza scopo - con dimostrarci severi verso questo ottimo nostro cavaliere, il quale ha scritto così per scrivere "sine ira et studio", lasciandoci però un curioso documento che, come abbiamo detto, non dovrà essere per nulla trascurato quando, come fervidamente ci auguriamo, si troverà qualcuno che vorrà procedere nuovamente al ccnsimento di tutte Ie osterie romane, passate e presenti: lavoro non da cerlosino, ma degno di un gaio spirito indagatore e... saggiatore.

E. P.


Roma, vita mia
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