ERMANNO PONTI

FILIPPO PASSAMONTI

 

 

STORIA E STORIE DI GROTTAFERRATA

1939
I - PRIMORDI

 

Chi furono i primi abitatori del Lazio, dei Colli Albani, del sito dove è Grottaferrata?

Se con la fantasia varchiamo i secoli e ci inoltriamo verso le ignote sorgenti della storia, si trova che la civiltà paleolitica nella sua seconda fase, delle lance e frecce di pietra a schegge ritoccate, ha lasciato orme anche nel Lazio mediante qualche strumento siliceo trovato fra le ghiaie alluvionali a Ponte Molle o affiorato nei territori di Monte Porzio Catone e delle Frattocchie, località non troppo distanti da Grottaferrata.

L'uomo abitò il Lazio fin dal periodo della fauna a clima caldo, (quando per le immense foreste d'Italia vagava l'elefante, guazzava l'ippopotamo, muggiva il bue primigenio) e fu testimone delle grandi eruzioni volcaniche.

Alla civiltà paleolitica subentrò la neolitica con la pietra levigata, che lasciò qualche relitto nel Viterbese, tra i Monti Corniculani, nei Campi di Annibale, nei pressi di Lanuvio, e alla neolitica successe la eneolitica col primo metallo, il rame, che l'uomo usò subito per le armi: asce piatte e pugnali triangolari.

All'età eneolitica possono riferirsi le prime e più remote tracce umane che siano emerse dal territorio di Grottaferrata.

Nel settembre del 1901, nella strada tra Grottaferrata e Marino e precisamente nell'interno della vigna Schiboni mentre si cavava la pietra vulcanica detta "sasso morto", furono scoperti un vaso e una punta di freccia in pietra, oggi conservati a Roma nel Museo Pigorini. C'erano avanzi di ossa in minuti frammenti con qualche traccia di color rosso, particolare di grande interesse perchè gli eneolitici erano avvezzi a cospargere d'una tinta d'ocra il volto dei defunti.

Dal mistero insondabile del suolo, I'umile tomba portava una eco debole, ma piena di fascino, dell'esistenza dei Prisci Latini!

In altre parti d'Italia (nell'Emilia, soprattutto) fioriva in quel tempo e s'espandeva la civiltà chiamata delle " terramare " coi suoi popoli d'agricoltori e di combattenti che plasmavano falci di bronzo, lance e spade.

Circa mille anni avanti la nascita di Cristo, Ia vita delle terramare bruscamente s'arresta. Secondo una ipotesi ingegnosa, quelle popolazioni sarebbero passate di qua dalI'Appennino allargandosi verso il Tirreno e verso il Tevere fino a passarlo e raggiungere i colli d'Alba.

Siamo ormai tra la preistoria e la storia, alla prima età del ferro che vanta nel Lazio numerose testimonianze comprovanti il rapido progresso della regione e i primi indizi dell'influsso etrusco. Ora di questa e delle età immediatamente successive, il territorio di Grottaferrata diede cospicue memorie grazie alle scoperte avvenute in anni e in siti diversi, a Boschetto, a Prato del Fico, a Villa Cavalletti.

Nel 1900, di fronte alla Mola dei Monaci in località Boschetto, l'esplosione d'una mina in una cava di selce fece apparire una tomba a pozzo chiusa in alto da un lastrone. Racchiudeva un corredo funebre che la semplicità della forma, il rozzo impasto delle stoviglie, I'assenza ancora totale del ferro rendevano del tutto identica alle tombe coeve di Tolfa e di Allumiere.

Era quella l'epoca in cui insensibilmente la regione laziale si andava dividendo in due parti: Etruria e Latium vetus. Le condizioni di vita miglioravano, come ci dicono la maggior ricchezza dei corredi funebri e la presenza di oggetti esotici, frutto di relazioni e traffici con genti lontane.

Nel rito funebre riacquista voga l'inumazione, che diviene prevalente sul principio del secolo settimo av. Cr. Le scoperte avvenute nel 1876 a Grottaferrata nei prati del Fico presso vigna Giusti furono d'eccezionale importanza perchè ci riportano a un'epoca anteriore a quella del celebre sepolcro arcaico del Foro Romano e delle necropoli delI'Esquilino e del Viminale.

Dalla località " le Case " una via scende giù a toccare il fondo valle per risalire poi fino al margine della Via Latina dove, non molto tempo addietro, si trovava l'osteria del Fico.

La via costeggia per un tratto la vigna Giusti. Qui facendosi degli " scassati " perpendicolari alla strada, si scoprirono le antichissime tombe. Sulla scoperta si posseggono due relazioni, una di Luigi Ceselli, l'altra di Michele Stefano De Rossi.

Il Ceselli, che era un valente geologo, mentre osservava i banchi di sasso morto e le correnti di lava basaltica uscite da un cratere che esisteva, in tempi preistorici, sulla sommità della collina dove è la Villa Cavalletti, notò uno spazio di diverso colore dove rinvenne frammenti di vasi, rozzi e antichissimi, simili a quelli che erano stati scoperti anni avanti presso Palazzolo. Fece delle ricerche e dai signori Giusti e da un certo Pasquale Antimi potè aver notizie precise e studiare i vasi e altri oggetti che erano stati rinvenuti sul luogo. Si trattava di tombe consistenti in pozzi scavati nel Suolo, entro i quali, in una grossa vettina, si trovava l'ossuario dalla tipica forma di una piccola capanna e il corredo funebre: oggetti di bronzo, piccoli dischi, cerchietti, anellini, braccialetti, fibule, e altresì ceramiche: ciotole, anforette, calefattori, attingitoi di varie forme.

Molto prezioso materiale era venuto alla luce, ma sciaguratamente una gran parte di esso andò disperso fuori d'ltalia. Però quanto fu salvato (e si conserva Roma nel Museo Pigorini) dimostra che i cimeli criptoferrantensi rimontano alle prime età del ferro e precisamente al periodo del massimo sviluppo della civiltà laziale o prisco-latina. I materiali sono di tipo schiettamente indigeno, di carattere fortemente arcaico. I ritrovamenti di Grottaferrata si ricollegano agli altri verificatisi a Marino, Castei Gandolfo, Lanuvio e Velletri, e possono riferirsi al periodo compreso fra il secolo decimo e la metà del secolo ottavo.

A integrare le grandi scoperte del 1876, ne seguirono altre intorno al 1900 sia intorno a vigna Giusti, sia nella Villa Cavalletti. Esse testimoniarono la completa trasformazione del rito funebre da incinerazione a inumazione, il che era avvenuto pur mantenendosi nell'insieme parecchie delle antiche fogge.

Complessivamente, il suolo di Grottaferrata coi suoi quattro ritrovamenti di tombe arcaiche, ha svelato il mistero delle genti antichissime, rappresentando il cammino della civiltà in secoli anteriori alla stessa Roma, anteriori altresì alle epoche rappresentate dalle necropoli di Albano, della Riserva del Truglio a Marino, di Ariccia, Cecchina, Monte Giove, Pratica di Mare, Ardea.

Questa assoluta priorità in confronto di altri territori laziali costituisce per Grottaferrata un titolo di nobiltà che non va dimenticato, perchè annovera tradizioni di vita, d'arte, di riti sacri e severi, testimonianze delle età remotissime di nostra gente.


Circe e Ulisse, la maga e il venturiero, sarebbero stati - secondo le favole antiche - il padre e la madre del fondatore di Tuscolo, Telégono.

Il nome di Tuscolo è stato sempre considerato una netta derivazione etrusca e, quindi, il vivo ricordo della dominazione di quel popolo sul territorio laziale. Pure, con molta probabilità, il nome Tuscolo sorse in epoca che precede quella in cui gli Etruschi fecero sentire la loro influenza sul Latium vetus. In tal caso, il nome sarebbe un controsenso e riuscirebbe inesplicabile. Non è male, quindi, tentare altre vie di uscita.

Con validi argomenti. un grande glottologo italiano, Luigi Ceci. dimostrò la scarsa probabilità del fatto che i Latini creassero il vocabolo Tusculum derivandolo dagli Etruschi.

Nonostante tutte le apparenze, Tuscus e Tusculanus sono voci latine e non etrusche, voci che per puro caso hanno una somiglianza di suono con l'altro etimo. Gli Etruschi, dal canto loro, si chiamavano Rasena, Trsi e Trusi, e non già Tusci!

Il nome, secondo il Ceci, deriva dall'antica parola sacrale sabino-latina tescum, il cui significato non si può precisare, ma che appare sinonimo di templum.

Il vecchio Varrone scrive: " certe località campestri che appartengono alle divinità si chiamano tesca ".

Perciò Tusculum starebbe a significare " luogo deserto. aspro difficile"', appellativo esattissimo per una rocca in luogo elevato e forte, come Tuscolo, situato su un'altura a 670 metri circa, sulla via che per il passo dell'Algido mette in comunicazione il bacino del Tevere con quello del Liri. Tuscolo, nelle sue origini, si riannoda alla storia delle genti indoeuropee (e più propriamente al ramo latino-falisco), le quali genti in epoca imprecisata presero stanza sui piani e sui colli del Lazio.

L'apparizione dei Latini non avvenne prima dell'età eneolitica pel fatto che i popoli indoeuropei al momento in cui stavano per scindersi e irradiarsi nel mondo, già conoscevano l'uso dei metalli. Degli indocuropei facevano parte gli italici che poi si divisero in due rami principali: latino-falisco e umbro-sabellico.

Le tombe rinvenute nel territorio di Grottaferrata, compresa quella antichissima della Vigna Schiboni, con quasi totale certezza, attestano l'avvenuta apparizione in questi luoghi dei Prisci Latini, forte popolo di agricoltori che con tenacia si diè a dissodare, a lavorare, a migliorare il territorio lungo il declivio dei Monti Albani superando aspre difficoltà per giungere alla messa in valore del terreno in gran parte friabile. Fieri e disciplinati, vivevano in villaggi su alture salubri, cinti da argini di terra e di pietra, pronti a difendersi dai frequenti assalti e dalle scorrerie dei Sabini.

Tra i centri abitati che vennero presto a far corona ai Colli Albani, alle falde, a mezza costa, alla sommità, Tuscolo acquistò subito preminenza e fu uno dei più antichi, se non il più antico dei municipi del Lazio.

Esula dal nostro intento narrare le vicende della città, la storia dei suoi rapporti con Roma, le guerre e le alleanze. Ben presto gli abitanti di Tuscolo entrarono a far parte della cittadinanza romana e i Sulpici, i Fulvi, i Porci Catoni, i Quinzi, i Fonteii e molti altri costituirono altrettante famiglie oriunde di Tuscolo e note negli annali dell'Urbe.

Tuscolo era composto dell'acropoli chiusa da forti mura, di un suburbano lungo le pendici del colle e di un vastissimo agro tusculano che corrispondeva agli attuali territori di Frascati, Monte Porzio, Grottaferrata, e a parte di quelli di Marino, Rocca Priora, Montecompatri.

Fin dall'antichità tutto il territorio intorno a Tuscolo fu assai densamente popolato.

I vincoli di sangue indussero le città latine a federarsi tra loro. Il segno più bello della loro concordia era dato dall'annua celebrazione del sacrificio sul Monte Albano in onore di Giove, a cui interveniva Roma, Gabi, Labico, Pedo, Preneste, Tivoli, Nomento, Aricia, Lanuvio, Ardea. Laurento...

Erano le Feriae Latinae, dette anche semplicemente Latiar, antica e significativa festa federale dei Prisci Latini istituita, secondo la leggenda, fin dal tempo di Fauno e dello stesso Enea dopo la morte di re Latino.

Distrutta Alba Longa, la festa passò sotto la tutela di Roma e rimase in vigore per tutta l'età repubblicana e imperiale, acquistando il carattere di festa nazionale romanolatina.

Anche dopo la vittoria che Roma riportò nell'anno 416 contro la confederazione latina, le città non disertarono il rito, ma seguitarono a prendervi parte, qualunque fosse la loro condizione verso Roma: municipio, città alleata o semplice borgata.

Alle Feriae Latinae prendevano parte i consoli e i magistrati e la cerimonia consisteva soprattutto nel sacrificio del toro, sacrificio che doveva essere compiuto dai consoli, o da uno di essi. In loro assenza si nominava un ~"dittatore per le ferie latine'". Oltre i magistrati romani, intervenivano i magistrati delle città confederate.

Tori bianchi erano offerti in sacrificio a Giove sul'alto del Monte Cavo. Possiamo immaginare la bellezza del rito tra gli antichi alberi, sulla verde vetta tutta circondata da purissimo azzurro. Il rito si risolveva nella distribuzione delle carni e tutte le città rappresentate ne ricevevano una parte.

Plinio il vecchio ci ha conservato una lista di trenta nomi di città (molte di esse affatto sconosciute) che sono le città latine confederate e presenti alle ferie: triginta carnem in monte Albano soliti accipere populi Albenses.

La data della festività era fissata dai consoli al momento della loro entrata in carica, segno visibile dell'importanza che si annetteva alla celebrazione che durava d'ordinario quattro giorni. I legati delle città latine, tra cui, con poche altre, primeggiava Tuscolo, si radunavano in una boscosa valletta presso Marino oggi Capo d'acqua, dove e la sorgente che ricorda il Caput Aquae Ferentinae di storica risonanza, circondata dal lucus ferentinus, che era il bosco menzionato più volte dagli antichi scrittori.

Tl nome " Capo d'acqua" conserva con schietta vivezza il ricordo delltantichissima denominazione classica. Di simili esempi è quanto mai abbondante tutto il territorio laziale e in modo particolare il territorio di Grottaferrata fin dai suoi limiti estremi verso Roma, nel qual punto - per citare un solo esempio - il tenimento di Morena ripete con sorprendente esattezza il nome di una famiglia romana, a cui apparteneva quel Murena che ebbe l'onore di esser difeso da Cicerone. E ruderi antichi ancora si scorgono presso l'omonimo casale, mentre quasi di fronte, sopra un piccolo poggio formato di lava basaltica e ridotto a terrazze per mezzo di massicce fondamenta si scorgono resti di imponenti costruzioni, le quali assai probabilmente anche loro conservano nel nome con cui sono comunemente conosciuti - i centroni - il ricordo di quell'aedificator Centronius che fu celebre costruttore di ville a Tivoli e a Preneste, nei primi tempi dell'lmpero.

La campagna verso Roma, oggi non molto popolata, doveva al contrario essere ricca di ogni sorta di fabbriche rustiche o signorili.

Di un antico piccolo centro abitato nel territorio di Grottaferrata, si scoprirono le vestigia fra il 1885 e il 1888 nell interno della " vigna di Ciampino" oggi Villa Senni. Tornarono alla luce resti di fabbriche, di piscine, di condotti: molti oggetti votivi, statuette, teste, gambe, piedi umani, e cosi pure oggetti domestici: lucerne, tazze, anfore. dolii, pesi... Si scoprì, tra l'altro, un ambiente sotterraneo, chiuso alla bocca da tegoloni antichi, nel quale era un bancone ricavato nella roccia e di fronte, sopra una piccola sporgenza, una statuetta anche essa ricavata nel masso e una piccola ara.

Si trattava, come risultò da un'iscrizione, del Vicus Angusculanus, col quale, gli abitanti delle ville vicine e di altri piccoli nuclei avevano costituito, a quanto pare, una specie di consorzio per l'acqua di cui avevano grande bisogno. A evitare contestazioni intorno all'uso di essa, fecero forse un condotto donde indistintamente tutti potessero attingere e sul quale (come è provato dalle fistole acquarie tornate in luce) venne iscritto X Pub. Decimiensium. Col tempo poi il nome Angusculanus (che sembra accennare alla piccolezza del centro abitato) cadde in disuso e prevalse invece l'altro che indicava lì la presenza della decima colonna miliaria da Roma, cioè la fermata ad Decimam.

La colonna " miliaria " ci dà subito la visione delle gloriose strade consolari e ci ricorda che la migliore arteria fra Roma e il territorio di Tuscolo era la Via Latina, una delle più antiche e importanti strade romane.

Dal decimo al quattordicesimo miglio essa attraversava l'agro tusculano: a Villa Senni, a Borghetto, nella vigna già Passamonti si hanno tracce visibili dell'antica pavimentazione.

La Via Latina con le sue numerose diramazioni dava vita a un sistema stradale ricco e complesso. Il suo tracciato si trova alquanto a sinistra della attuale "Via Anagnina" e la sua direzione originaria è indicata da alcuni ruderi di sepolcri, tra cui quello, che è forse di Vinicio Opimiano, presso Villa Senni e l'altro di Metilio Regolo presso il ponte del bosco di Grottaferrata.

Al Tuscolo si accedeva però anche per la Via Labicana e per altre vie secondarie, anzi si può pensare che l'intero e spazioso territorio tusculano ebbe per confine il decimo miglio della Via Appia (le Frattocchie); il decimo miglio della Via Latina (Villa Senni); il decimo miglio della Via Labicana (Finocchio).

La pavimentazione di queste strade fu più volte integralmente rinnovata. Un indizio interessante se ne ebbe nel 1903 quando sulla direzione del diverticolo che dal tredicesimo miglio della Latina sale a Tuscolo, al disotto dei poligoni stradali si rinvennero ossa umane coperte da tegoloni disposti a capanna, i quali portavano impressi bolli laterizi del secondo secolo dopo Cristo e dimostravano che la pavimentazione della strada, o il suo integrale rinnovo doveva essere di necessità avvenuto in epoca posteriore a quella indicata dai bolli.

Purtroppo, la maggior parte delle pavimentazioni delle antiche strade del Tusculano è stata travolta dal tempo e distrutta, tanto più che dei grossi poligoni stradali. interi o spezzati, si sono sempre serviti i vignaiuoli per le macere alzate intorno intorno alle vigne. Una parte però si è salvata per la grande quantità di terra che sopra di loro si è accumulata per il lungo volger di secoli e che in qualche punto ha potuto raggiungere l'altezza di quattro metri.

Quanto alle antiche proprietà, ai campi e alle ville, esse erano separate dalle vie, ovvero divise fra loro da fosse limitales, da pali, da file d'alberi, da pietre terminali. e infine da macere, il cui uso è proprio del Tusculano, come ebbe a ricordare Varrone.

Tranquillità di vita, feracità di suolo, mitezza di cielo e cordiale schiettezza di abitatori già dovevano essere la prerogativa del felice suolo tusculano e questo confluire di amabili circostanze spiega agevolmente come, fin dall'ultimo secolo della repubblica, il ridentissimo territorio - e in particolare il sito dove ora sorge Grottaferrata --cominciò a esser preferito dai ricchi romani come luogo di soggiorno e di riposo.

Nè il paesaggio poteva essere più accogliente!

Dalla parte che domina la Valle Latina, di contro al Mons Albanus, il Tuscolo si erge scosceso e quasi a picco, ma dall'altra parte verso l'aperta distesa della campagna,

esso degrada dolcemente con una serie di poggi e di colli, di insenature e di vallette. A tratti vi è quasi una fuga tumultuosa di poggi tondeggianti che si affrettano verso il piano secondo l'ondulazione capricciosa che segnarono le antiche correnti laviche, scendendo in curve armoniose o arrestandosi con taglio netto e formando terrazze naturali quasi tutte volte verso Roma.

Questo grandioso anfiteatro aperto sullo scenario delI'Urbe a mano a mano si popolò e infine si andò letteralmente ricoprendo di ville così che ogni poggio appariva come un settore e ogni terrazza come un gradino dell'anfiteatro, gli uni e gli altri intersecati dalle strisce bianche delle numerose strade pavimentate a poligoni di selce.

Non è facile ricostruire con la fantasia l'effetto di questo insieme di colline quale poteva mirarsi dall'alto dell'acropoli di Tuscolo e che sembrava scendere verso la pianura alternando il verde raggiante dei giardini al bianco dei marmi e ai mille toni del paesaggio.

Nessuna contrada del Lazio fu, come il Tusculano, popolata di ville. Esse non sorsero in fretta, tumultuosamente, ma in gran parte rappresentarono il costante ampliarsi delle antiche borgate, dei vici e dei pagi sparsi nella vastità dell'agro, cresciuti ai grado di aziende agricole e trasformati in ville nell'ultima età della repubblica e al principio dell'impero. E l'ospite più celebre, il proprietario più noto di una villa nel Tusculano, fu il principe degli orarori romani, Marco Tullio Cicerone.

La pavimentazione di queste strade fu più volte integralmente rinnovata. Un indizio interessante se ne ebbe nel 1903 quando sulla direzione del diverticolo che dal tredicesimo miglio della Latina sale a Tuscolo, al disotto dei poligoni stradali si rinvennero ossa umane coperte da tegoloni disposti a capanna, i quali portavano impressi bolli laterizi del secondo secolo dopo Cristo e dimostravano che la pavimentazione della strada, o il suo integrale rinnovo doveva essere di necessità avvenuto in epoca posteriore a quella indicata dai bolli.

Purtroppo, la maggior parte delle pavimentazioni delle antiche strade del Tusculano è stata travolta dal tempo e distrutta, tanto più che dei grossi poligoni stradali. interi o spezzati, si sono sempre serviti i vignaiuoli per le macere alzate intorno intorno alle vigne. Una parte però si è salvata per la grande quantità di terra che sopra di loro si è accumulata per il lungo volger di secoli e che in qualche punto ha potuto raggiungere l'altezza di quattro metri.

Quanto alle antiche proprietà, ai campi e alle ville, esse erano separate dalle vie, ovvero divise fra loro da fosse limitales, da pali, da file d'alberi, da pietre terminali. e infine da macere, il cui uso è proprio del Tusculano, come ebbe a ricordare Varrone.

Tranquillità di vita, feracità di suolo, mitezza di cielo e cordiale schiettezza di abitatori già dovevano essere la prerogativa del felice suolo tusculano e questo confluire di amabili circostanze spiega agevolmente come, fin dall'ultimo secolo della repubblica, il ridentissimo territorio - e in particolare il sito dove ora sorge Grottaferrata --cominciò a esser preferito dai ricchi romani come luogo di soggiorno e di riposo.

Nè il paesaggio poteva essere più accogliente!

Dalla parte che domina la Valle Latina, di contro al Mons Albanus, il Tuscolo si erge scosceso e quasi a picco, ma dall'altra parte verso l'aperta distesa della campagna,

esso degrada dolcemente con una serie di poggi e di colli, di insenature e di vallette. A tratti vi è quasi una fuga tumultuosa di poggi tondeggianti che si affrettano verso il piano secondo l'ondulazione capricciosa che segnarono le antiche correnti laviche, scendendo in curve armoniose o arrestandosi con taglio netto e formando terrazze naturali quasi tutte volte verso Roma.

Questo grandioso anfiteatro aperto sullo scenario delI'Urbe a mano a mano si popolò e infine si andò letteralmente ricoprendo di ville così che ogni poggio appariva come un settore e ogni terrazza come un gradino dell'anfiteatro, gli uni e gli altri intersecati dalle strisce bianche delle numerose strade pavimentate a poligoni di selce.

Non è facile ricostruire con la fantasia l'effetto di questo insieme di colline quale poteva mirarsi dall'alto dell'acropoli di Tuscolo e che sembrava scendere verso la pianura alternando il verde raggiante dei giardini al bianco dei marmi e ai mille toni del paesaggio.

Nessuna contrada del Lazio fu, come il Tusculano, popolata di ville. Esse non sorsero in fretta, tumultuosamente, ma in gran parte rappresentarono il costante ampliarsi delle antiche borgate, dei vici e dei pagi sparsi nella vastità dell'agro, cresciuti ai grado di aziende agricole e trasformati in ville nell'ultima età della repubblica e al principio dell'impero. E l'ospite più celebre, il proprietario più noto di una villa nel Tusculano, fu il principe degli orarori romani, Marco Tullio Cicerone.

Indice dell'opera:

I- Primordi

IX-Armi, arte, fede

XVII-Il Comune

II-Marco Tullio

X-Un pittore e un cardinale

XVIII-Buon tempo antico

III-Pagani e cristiani

XI-Peste e briganti

XIX-Cartiere e ferrerie

IV-Medioevo

XII-Ciampini e il "Cracas"

XX-Voci del passato

V-Imprese di guerra

XIII-Le donne, i cavalier...

XXI-Crypta-Ferrata

VI-Un Papa e un Imperatore

XIV-Tra il vecchio e il nuovo

XXII-Cronache

VII-Il Castello della Molara

XV- Ottocento

XXIII-Grottaferrata novissima

VIII-Savelli, Orsini, Colonna

XVI-Romanticismo

XXIV-Ritorno al Tuscolo

 

Roma, vita mia
 Editrice SOPI - Roma
Ermanno Ponti
sopi@flashnet.it