ERMANNO PONTI

 DONNE E AMORI DI ROMA ROMANTICA

 
 
 
Maria Malibran
o la canzone del lago
 

 

"Ella m'apparì d'improvviso come l'interprete più pura e patetica della poesia, dell'amore, del dolore. Un nuovo mondo si era aperto avanti a me"

E ancora:

" Vi sono nel linguaggio umano certe parole che sembrano composte di luce come: giovinezza, amore, beltà... similmente nell'arte, ci sono certi nomi che sfolgorano intorno a loro l'incanto: Adriana Lecouvreur, la Rachel, Maria Malibran ".

Con queste penetranti espressioni, nei suoi Soixante ans de souvenirs pubblicati a Parigi nel I886, Ernest Legouvé prende a parlare della Malibran a cui dedica alcune fra le più belle e commoventi pagine che si siano mai scritte intorno a quell'eccezionale figura di donna e di artista.

Si era nell'ottobre 1832.. Legouvé aveva allora 25 anni e tentava la poesia, il romanzo e il teatro, in cui doveva poi emergere con drammi e commedie scritte anche in collaborazione con lo Scribe.

Intanto passava il tempo visitando i musei e i palazzi di Roma o intrecciando appassionate discussioni d'arte col suo amico Orazio Vernet, direttore dell'Accademia di Francia a Villa Medici.

Nei luminosi pomeriggi romani, sotto gli alti pini o nelle sale della villa, non era raro il caso che s'improvvisassero indovinati concerti, a cui prendevano parte la moglie e la figlia del pittore.

Una sera Legouvé sale come il solito a Villa Medici e resta attonito nel trovarvi la Malibran da lui già vista e ammirata a Parigi. Anzi la grande artista aveva avuto l'affettuosa bontà di invogliarlo allo studio del canto, trovando che aveva una ben timbrata voce di baritono.

Ma la sorpresa del Legouvé fu anche più intensa per la singolarità del quadro che si presentava ai suoi occhi.

Maria Malibran era tranquillamente seduta presso il tavolo e lavorava di cucito! Accanto a lei, e quasi ai suoi ginocchi, appena schiarata dalla luce discreta della lampada, la figliola di Vernet l'ascoltava parlare sommessa.

«Un'aureola di luce circondava i due volti, di cui uno presentava la bellezza nel suo fiorire, l'altro il genio nel suo splendore, e tutt' e due insieme rappresentavano la giovinezza!»

Appena riavutosi dalla sorpresa, Legouvé espresse la speranza di poter risentire nel poetico romitaggio di Villa Medici le note, tenere e vibranti, della voce meravigliosa.

"Non vi illudete- gli disse però la Vernet- Maria Malibran non canterà. É in una delle sue fasi di silenzio e son tre giorni che è impossibile strapparle un solo motivo! Viene qui, tutta lieta, tutta sorridente, prende il suo ricamo e s'assorbe in esso come se fosse avanti a una partitura di Mozart..."

Non c'era da fare altro, per il momento, che rassegnarsi e sperare su qualche improvviso ritorno di fiamma, sulla mutabilità di quel temperamento ultrasensibile e passionale.

Il giorno appresso, la conversazione cadde su Byron e si andò a pescare nel Childe Harold il canto quarto, il canto dove in una commossa e drammatica visione, con tono elegiaco si scioglie un inno alla devastata e romantica bellezza di Roma. Tutta la serata si passò a leggere, a tradurre, recitare le più belle strofe e la Malibran all'entusiasmo comune aggiungeva l'originalità delle sue osservazioni, lasciandosi a mano a mano conquidere dalla potente suggestione della poesia evocatrice... ma quando si pregò e si insisté perché ella cantasse, oppose un reciso rifiuto e dalla sua ugola d'oro non uscì nemmeno un trillo.

La lettura di Byron s'era però incisa con segreta forza nell'animo di lei e gli accenti accorati di Harold ancora le risuonavano nel cuore quando, il giorno dopo, in compagnia di Orazio Vernet, del Legouvé e di poche altre persone si trovò a vagabondare sotto le poetiche ombre della Villa Pamphilj, la più bella e misteriosa di Roma.

Era un pomeriggio d'ottobre; uno di quei pomeriggi che sembrano più profumati e inebrianti d'un mattino di primavera: la Malibran, pur seguendo la comitiva, rimaneva come estranea e pensierosa.

Nel corso della passeggiata giunsero in un angolo ombroso, avanti a una radura tutta verde, che formava quasi un minuscolo circo.

Il terreno era coperto da un lieve velluto di verde, i grandi pini dondolavano nell'aria, il fondo della scena era abbellito da un getto d'acqua che cadeva mormorando in una grande vasca di granito, e dava origine a una fontana sormontata- con le bizzarrie del barocco- da un ripiano a cui si poteva ascendere mediante otto o dieci gradini.

La squisita suggestività del sito, l'argentina frescura dell'acqua, il molle abbandono di quel pomeriggio assolato compirono il miracolo!

D'un tratto, la Malibran con quella grazia tutta fanciullesca che era una delle sue più deliziose attrattive, corse a porsi con la testa sotto le candide spume ritraendosene solo quando i capelli furono completamente bagnati. Allora li sciolse e fece correre giù per le spalle ad asciugarli. Il sole, traversando le chiome dei pini e gli arbusti con le sue minuscole frecce dorate, faceva qua e là scintillare le stille d'acqua rimaste fra i capelli suscitando come un pulviscolo di stelle. Ella alzò la fronte, vide il piano sovrastante la fontana e, cedendo all'impeto d'un nuovo pensiero, la fisionomia le si mutò, il sorriso si spense e il volto assunse un'espressione seria. Gli altri la videro fare un passo verso la piccola gradinata, poi salire lentamente mentre i capelli le ondeggiavano lievissimamente.

Arrivò su quella scabra pietra donde dominava la piccola, silente radura: volse gli occhi al cielo e intonò Casta Diva...

La voce mirabile che era rimasta per tanti giorni inoperosa si sciolse dalla sua gola con un palpito di gioia, in un dolce impeto infrenato.

Gli accenti melodiosi sembravano prolungarsi sotto la volta degli alberi, si mischiavano al sussurro dell'acqua, si effondevano tra il soffio dell'aria.

La chiusa villa assumeva l'aspetto d'un tempio mentre la commozione invadeva i cuori e faceva salire senza amarezza le lacrime agli occhi.

Tra quella cornice d'azzurro e di verde la donna eletta sembrava - ed era - un essere soprannaturale.

Quando scese, conservava nel volto un'espressione dolce e pia tanto che le prime parole d'entusiasmo verso di lei parvero soffuse d'un rispetto religioso.

Rapita da un'intima ebbrezza, essa era pervenuta all'assoluta e perfetta comprensione del bello. Natura e arte, cielo e canto, alberi e pietre, sussurro d'acqua e fremito di venti si fusero per lei e con lei in una scena d'immacolata purezza, creando uno di quei momenti sublimi "che sembra dover essere unico nell'intera vita di un artista".

Roma, vita mia

DONNE E AMORI DI ROMA ROMANTICA

Ermanno Ponti

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