ERMANNO PONTI

 DONNE E AMORI DI ROMA ROMANTICA

BARBARA
o Casanova beffato
 

Agli ultimi di settembre del 1748, da Napoli giungeva a Roma Giacomo Casanova. Non aveva ancora venti anni, ma era già al principio della sua perversa, randagia e turbinosa esistenza d'avventuriero. Veniva nella silenziosa e sognante città dei papi ad abbracciare - nientemeno! - con la più grande serietà del mondo, la carriera ecclesiastica.Ve lo figurate l'abate Casanova in tricorno e ferraiolo? Eppure tal sarebbe rimasto e chissà dove sarebbe arrivato se a turbargli i sogni e la tranquilla ascensione non ci si fosse messa una donna ! Ma si plachino questa volta i severi Catoni pronti a corrugare le sopracciglia al nome dell'esacrato libertino. La povera Barbaruccia non ci offrirà che un'umana e trepidante storia d'amore, degna di compassione e di rispetto.Ciò non toglie che essa sia stata per il futuro avventuriero una donna fatale che ebbe un gran peso sulla vita e sull'avvenire di lui. Per causa sua Casanova dove abbandonare Roma, e l'abbandonò con immenso rimpianto... Ve lo ritenevano infatti con voci ineguali la simpatia mostratagli da papa Lambertini, la protezione del cardinale Acquaviva, le cordiali amicizie, i facili amori, il fascino malioso di una vita che appagava quel suo torbido spirito e un ambiente che, mentre soddisfaceva già il suo insanabile prurito di vanità, ben più grandi trionfi poteva riserbargli nel futuro.

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Il cardinal Troiano Acquaviva dei duchi di Atri era personaggio assai influente in Curia, sia per la considerazione in cui lo teneva il papa, sia per la duplice qualità di ambasciatore del re di Spagna e del re di Napoli. A lui appunto con una commendatizia di don Lelio Caraffa si presentò il giovane e scapestrato veneziano. E il cardinale gli offrì subito un posto ideale nella sua ambasciata: alloggio al palazzo di Spagna, vitto, provvigione e tranquillo avviamento ai misteri della diplomazia. Tutto ciò era subordinato all'unica condizione che il giovane apprendesse al più presto il francese in modo da poterlo speditamente parlare.E Casanova, senza interrompere l'idillio con la bella Lucrezia da lui conosciuta nel viaggio da Napoli a Roma, pur andando ogni giorno a sorbire cioccolata e consigli di saggezza dal padre Giorgi, attendeva con zelo a quanto gli aveva ordinato il Cardinale, recandosi a lezione da un'avvocato romano, certo Delacqua, che dimorava proprio incontro al palazzo dell'ambasciata, in quella piazza così caratteristica con le sue locande lussuose, i forestieri, i caffè colmi d'abati petulanti e maldicenti. Il maestro di francese aveva una graziosa figlia, Barbara, che i primi tempi era sempre presente alle lezioni, anzi talora sostituiva il padre. Casanova s'accorse che un altro giovanotto, che veniva a prendere lezione, era innamorato cotto della ragazza e ne era corrisposto. Un giorno costui scomparve e non si vide più in casa Delacqua.Che era avvenuto ?Il nostro amico lo seppe un giorno in cui, uscendo da messa, s'imbatte con l'altro che era triste e avvilito. Confidenza per confidenza, Casanova venne a sapere che, informato dalla maligna fantesca, il padre di Barbaruccia aveva rudemente messo alla porta il troppo zelante allievo.Che fare ? come uscire da una simile condizione ? come poter sposarla se lui era povero, semplice figlio di famiglia e lei non aveva un soldo? Maciò che più crucciava in quel momento, era il fatto di non saper nulla di lei!...«Dimenticatela» suggerì lo scettico gaudente: ma un tale consiglio venne accolto assai male. «Noi eravamo allora - narra Casanova - lungo lo scalo di Ripetta e avvedendomi che egli fissava le acque del Tevere con un'aria stravolta, paventai qualche atto d'insania e per tranquillizzarlo, promisi che prudentemente avrei chiesto al padre notizie di Barbara».

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Così, senza volerlo, Casanova si lasciò prendere nei lacci dell'intrigo! Peggio fu il giorno dopo quando la fanciulla passando da una camera all'altra e guardandolo con intenzione, lasciò cadere una carta che l'altro si crede in dovere di accogliere. Era una lettera che a sua volta ne racchiudeva una seconda: diceva così: «Se temete di commettere un errore consegnando questa lettera al vostro amico, bruciatela. Compiangete una fanciulla infelice e siate discreto ».Per quanto commosso, il prudente abate intuì che era assai rischioso impicciarsi della faccenda e stabilì per questo, non di bruciare la lettera, ma di riconsegnarla alla mittente.Per strana fatalità il giorno dopo non riuscì a vederla: all'opposto, più tardi, si scontrò col povero innamorato così desolato, così abbattuto che Casanova non seppe resistere e gli consegnò la lettera. L'altro l'afferrò, la lesse, la rilesse, ci stampò i baci più infocati... infine unto pregò e tanto insistette che indusse il compiacente amico a trasmettere la risposta: ciò che fece puntualmente la mattina seguente.L'onesto Delacqua era malato e la figliola dette lezione senza allontanarsi dal letto di lui: ma per uno come Casanova fu estremamente facile rimetterle la missiva che ella ripose in tasca con molta fretta mentre un vivo rossore le saliva alle gote.Tutto questo - stando a quanto racconta - commoveva assai il nostro eroe, il quale, anzi, era assai lusingato di provare un sentimento nuovo... un sentimento di pietà e di altruismo, di essere l'appoggio e il consolatore di Barbaruccia.«Mai i suoi occhi si fissarono nei miei, mai la sua mano incontrò la mia, mai vidi nel suo abbigliamento il desiderio di comparire agréable». E una volta (ahi, ahi!) che ella con timido ardore, per esprimere la riconoscenza del suo cuoricino angosciato, gli prese la rnano, facendo l'atto di portarla alle labbra, l'altro non lo permise, ma in compenso (sempre pratico, lui !) volle abbracciarla, ed ella, arrossendo, voltò modestamente la testa et cela me fit plaisir.

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Il padre guarì, Barbara si riconciliò apparentemente con lui e riuscì a far licenziare la serva a lei ostile e ad assumerne una più condiscendente. Casanova fu liberato dalle sue delicate mansioni, del che fu lieto perché credeva chiusa per lui una faccenda che non gli garbava troppo... Invece ! Nei primi giorni di gennaio si vide comparire di nuovo il suo uomo, tutto contento questa volta, ad annunciargli che aveva preso in affitto certe soffitte nella casa contigua a quella di Barbara: «ella lo sa e questa notte io uscirò per l'abbaino del granaio per introdurmi da lei e così fisseremo l'ora e il giorno in cui la porterò via con me. Ho deciso: andremo a Napoli e ci sposeremo: e dal momento che la fantesca che dorme nel granaio non potrebbe ignorare la fuga, la condurremo con noi». «E che Dio vi assista» concluse Casanova, il quale, se era seccato allora, fu addirittura terrorizzato otto giorni dopo vedendolo entrare in camera sua con un vezzosissimo abate che egli riconobbe per Barbara deguisée in tal modo.

Pochi giorni dopo, mentre passeggiava a Villa Medici con un abate dell'ambasciata, questi ebbe a confidargli che nella notte, in piazza di Spagna, ci sarebbe stata l'esecuzione per parte del bargello e degli sbirri di un ordine santissimo, ordine cioè partito direttamente dal papa, ma per il quale, tuttavia, data la località, era stato necessario l'assenso del card. Acquaviva che come ambasciatore di Spagna aveva, per antico diritto, giurisdizione assoluta sul quartiere. Si trattava di visitare qualche casa sospetta per levarne qualcuno che non se l'aspettava. Insomma la famiglia del giovane innamorato era stata segietamente informata del proposito di fuga e faceva ogni sforzo per impedirla.Casanova per le parole dell'abate, ebbe il sospetto che si trattasse dei due amanti. Andò in cerca del giovane amico, ma non riuscì a trovarlo. D'altronde teme compromettersi recandosi a casa sua o in quella di Barbara. Passano le ore. La notte di gennaio incombe tetra sulla città quando - era presso la mezzanotte - Casanova aprendo la porta della camera per toglierne la chiave, ebbe la sorpresa di vedere un abate precipitarsi dentro e gettarsi hors d'haleine su una poltrona. Era Barbara. Casanova allibì, comprese, in un attimo, l'enorme responsabilità che si assumeva: avrebbe dovuto respingerla, avrebbe dovuto chiamare gente Ma come fare?

Ella si getta ai suoi piedi, implora pietà... Come non commuoversi avanti a una fanciulla così bella e infelice? Nervoso, agitato, egli ascolta il romantico racconto della fuga.A notte inoltrata una vettura, in cui era il suo amante, attendeva presso la scalinata di Trinità di Monti. Come d'accordo, essa era uscita di soppiatto da casa, vestita da abate: la serva la precedeva di qualche passo portando fin involto e non si avvide chi la sua padrona si era dovuta fermare per riappuntare una fibbia della scarpetta.

E il breve contrattempo bastò a salvarla. L'altra infatti arriva alla vettura, vi sale franca e gli sbirri nell'oscurità e nella fretta la scambiano per la padrona.Quando Barbara arriva, scorge al fioco lume di una lampada una trentina di sbirri: uno di essi monta a cassetta e la vettura parte a trotto serrato... verso la prigione! Allibita, stravolta, la povera Barbaruccia non pensa nemmeno per un attimo a tornare a casa, ma seguendo un improvviso impulso, entra difilata nel palazzo dell'ambasciata rifugiandosi nella camera dell'amico fidato. La poveretta si lusingava che nessuno l'avesse scorta: invece uno dei tanti spioni sparsi per la piazza aveva visto il giovane e procace abatino entrare di corsa nel palazzo: di ciò aveva fatto il suo bravo rapporto, di guisa che, mentre Casanova s'arrovellava, comprendendo quale responsabilità era per lui l'ospitare per quella notte la piccola e tremante Barbaruccia, dal canto suo la polizia circondava prima dell'alba il palazzo e un uditore del Papa veniva a chiedere al Cardinale il permesso di procedere a una perquisizione.

Al tempo stesso Casanova giuocando di destrezza e di audacia, riusciva a nascondere Barbaruccia in un angolo oscuro del palazzo. La scongiurava a non dir nulla e le faceva scrivere un biglietto con cui ella supplicava il Cardinale a prenderla sotto la sua protezione. Quindi la lasciò sola e raggiunse gli altri abati facendo lo gnorri. Di lì a poco seppe con intimo sollievo che l'ordine di perquisizione già accordato era stato repentinamente revocato. Infatti - come gli fu riferito - a nove ore precise il maestro di camera aveva visto un grazioso abate andar da lui con un biglietto pregandolo vivamente di rimetterlo a Sua Eminenza. Il Cardinale, appena lettolo, aveva fatto entrare l'abate e immediatamente sospendere la perquisizione. Il cardinale Acquaviva manifestò subito un animo cavalleresco e generoso: a sue spese fece entrare Barbaruccia in un convento donde la poverina non sarebbe uscita che per diventare la sposa del suo seduttore.Ma se da questa parte la storia si chiudeva in modo confortevole, dall'altra tutta Roma - l'oziosa e maldicente Roma papale - non rifiniva di fare le più maligne risate sul piccolo scandalo e sull'inopinato rifugio notturno in cui si era mutato il palazzo di Sua Maestà Cattolica. Il Cardinale, tempra d'uomo energico e avveduto, ne fu turbato e comprese ciò che doveva fare. Un bel giorno l'abate Casanova, che pure aveva compiuto sforzi titanici di prudente equilibrio, fu chiamato ad audiendum verbum e Sua Eminenza con molte scuse e con molto garbo, pur riconoscendo (dice lui) l'innocenza e il nobile disinteresse mostrato nella faccenda lo pregava di por fine all'indegno pettegolezzo allontanandosi, entro otto giorni, dall'ambasciata e da Roma! Fu un colpo per l'avventuriero. Roma gli piaceva e sentiva che vi avrebbe fatto fortuna. Adirato, imbizzarrito, deliberò di andare a smaltire la stizza... a Costantinopoli, dove noi non lo seguiremo, paghi d'aver rievocato, della sua vita peccaminosa, una pagina in cui, mentre veniva a giocare una assai umile parte, ebbe invece - ironia del destino - a pagarla per tutti!

Roma, vita mia

DONNE E AMORI DI ROMA ROMANTICA

Ermanno Ponti

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