ERMANNO PONTI

 DONNE E AMORI DI ROMA ROMANTICA

 
 
 
Carolina
o Liszt in veste talare
 

 

 
Un'indagine da compiersi sarebbe quella di stabilire la influenza che Roma ha esercitato su gli uomini di genio di tutte le età e di tutte le nazioni.
 
La città del passato ci attrae pei suoi aspetti e riflessi, per lo stragrande numero dei ricordi, per la poesia delle rievocazioni: al quadro luminoso dovrebbero concorrere le figure di tutti gli artisti, i poeti, i musicisti, i pensatori che a Roma vennero come pellegrini d'amore, a Roma si sentirono turbati, commossi, ispirati, a Roma ebbero modo di comporre opere celebrate o di averne la folgorante visione.
E vicino agli uomini di genio non bisogna dimenticare le donne: profili muliebri delicatamente accennati come su preziosi cammei o figure imperiose e statuarie che seppero amare, confortare, ispirare, tormentare; anime elette, che trovarono il loro nutrimento spirituale in incontri procellosi come drammi, o nei viali fioriti dell'idillio, nobilitati - impareggiabile sfondo - dall'ombra dei monumenti dell'Urbe.
 
E un acceso riflesso di questo magico ambiente sembra avvolgere di luci balenanti il lungo e passionato intreccio di due spiriti eletti: Franz Liszt e Carolina Sayn de Wittgenstein.
 
* * *
 
La prima volta che venne a Roma (nel 1838) Liszt era giovanissimo e contemplò le austere cerimonie della Sistina, cercando ispirazioni nel Palestrina e negli altri maestri della musica sacra.
 
Tornò nel 1861, più che celebre, ma a Roma lo aveva preceduto - e vi risiedeva da due anni - la donna la quale nella sconfinata dedizione al Maestro, nella devota ammirazione del suo genio poneva ogni ragione di vita.
Polacca e cattolica, di stirpe nobilissima, a quattordici anni, bella, colta, spiritosa, aveva sposato il principe Nicola Wittgenstein, aiutante di campo dello zar, molto più anziano di lei.
La diversità dei temperamenti e la disuguaglianza dell'età fecero sì che dopo un periodo non lungo, i coniugi di comune accordo si separarono.
 
Essa ormai viveva sola con la figlia quando, nel 1847, Franz Liszt nell'abbagliante fulgore dei trionfi e della gioventù capitò a Kiew, ove risiedeva Carolina, per eseguire nella "città santa" una serie di concerti.
L'incontro fu fatale. La donna fu preda di una passione che, come fuoco inestinguibile, dalle rive del Dniester, l'accompagnò alle rive del Tevere e non terminò che con la morte.
 
In Liszt ella adorava il genio e con quella trepida cura che è indizio di squisita femminilità, si creò l'umile e santo compito di dedicarsi tutta a lui, provvidamente altruista.
Cominciò con l'invitare il musicista nelle sue proprietà site nei dintorni di Kiew, dove il maestro avrebbe potuto attendere con tutta calma alle sue composizioni.
Quando poi Liszt decise di stabilirsi a Weimar, la principessa non esitò a realizzare i suoi interessi, a vendere i beni immobili, a lasciare per sempre la Russia e a seguire Liszt in Germania.
Voci e fremiti della loro passione rimangono - documento insuperabile - le lettere dell'uno e dell'altra, lettere folli, riboccanti delle più soavi e disperate espressioni:
" Buon giorno, angelo mio! vi amo e vi adoro dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina".
Ovvero:
"Oh le belle ore di Eilsen! quando le riprenderemo mai? Come saranno lunghi questi diciotto giorni di attesa! Cara, adorabile e adorata Carolina, in nome del cielo e dell'amor nostro, abbiate cura di voi e conservatevi meglio che potete, per la pazienza e la speranza d'un avvenire che è prossimo.
 
"Pensate che io vivo solo per vostro merito come spero che vivrò solo per voi"
 
E un inno di gioia e di poesia nella domenica delle Palme del I851:
 
" Ecco le prime violette di primavera. Io le invio a voi che siete la mia eterna primavera e il vivo fiore paradisiaco. Credetemi, Carolina..."
 
Sono lettere in cui l'uomo si manifesta compiutamente, in cui si svela con la vibrante ebbrezza della dedizione, in cui ama confidare i pensieri più intimi, i propositi, le fantasie, i sentimenti, gli orgogli.
 
La figliola di Carolina, Maria, si maritò nel 1859 divenendo principessa Hohenlohe. La madre era ancora assai giovane, e, libera da ogni ingerenza materna, s'abbandonò con rinnovato fervore al suo sogno più caro: sposare Liszt.
Ma tanto lei quanto il musicista erano rigidi cattolici e tra loro non era possibile altro che un matrimonio secondo i riti di Santa Chiesa. Si poteva però tentare che il primo matrimonio venisse dichiarato canonicamente nullo. Si iniziò la procedura ai tribunali ecclesiastici e a perorare la causa, la principessa venne sollecitamente a Roma. Ciò che chiedeva non era assurdo, né illogico: il principe Wittgenstein era protestante e per conto suo aveva già ottenuto il sospirato divorzio.
 
* * *
 
Giunse a Roma e prese alloggio in via del Babuino, al terzo piano di una vecchia casa (quella segnata col n. 89, all'angolo di via Alibert), famosa perché vi aveva abitato e vi era morto l'architetto Giuseppe Valadier.
La nobiltà e la società romana fecero una calda accoglienza a questa straniera romantica, fantastica, espansiva, vivace e coltissima (scrisse libri a iosa). A nessuno era ignoto il motivo della sua venuta a Roma. Si seguivano i suoi passi presso la Curia, si commentava il suo amore per il Liszt e tutto questo la rendeva interessante.
Essa non viveva che di Liszt e per Liszt, pur occupandosi di tutto ciò che fosse cultura, pur dimostrando immenso amore per Roma, i suoi monumenti, le collezioni artistiche, pur assistendo con trasporto alle cerimonie religiose e giungendo perfino a chiudersi per intere settimane in qualche convento di stretta clausura, privilegio che le era stato concesso dalla benevolenza del papa.
 
Fra il 1861 e il 1864 Liszt capitò parecchie volte a Roma senza prendervi stabile dimora e, per stare più vicino alla principessa, alloggiava all'albergo Alibert.
Venne finalmente il giorno in cui dopo le lunghe soste, dopo la faticosa procedura giudiziaria, la principessa ebbe la gioia di sapere che la domanda era stata accolta, che il matrimonio era annullato, che essa aveva recuperato la sua libertà.
Nulla si frapponeva all'esaudimento del voto tanto atteso e subito con alacrità andò apprestando ogni cosa per la cerimonia.
 
Dopo un lungo soggiorno a Parigi, Liszt arrivò a Roma il 21 ottobre 1863. Il giorno appresso segnava il cinquantesimo anniversario per Liszt e appunto in quel giorno il matrimonio doveva essere celebrato di buon mattino nella chiesa di San Carlo al Corso, appositamente parata con sfarzoso lusso.
Tutta Roma parlava dell'avvenimento...
Ma stranezza del destino! la cerimonia non avvenne!
Furono proprio i preparativi solenni a richiamare l'attenzione di alcuni parenti della principessa che soggiornavano a Roma. Quella esibizione di mondanità urtò la loro suscettibilità e con sollecitudine fecero passi presso il papa con lo scopo di ritardare il matrimonio.
E ci riuscirono!
La sera del 21 ottobre, il cardinale Antonelli mandò alla principessa, a significarle l'ordine sovrano di rinvio del matrimonio giacché il papa intendeva rivedere personalmente il processo.
É facile immaginare il dolore della misera donna, che tanto aveva lottato e sofferto e sperato.
 
* * *
 
Passò qualche tempo.
Il 10 marzo 1864 il principe Wittgenstein venne a morte.
Ormai nessun impedimento giuridico, nessuno scrupolo religioso impediva la celebrazione del matrimonio.
Ahimè! Era destino che anche questa volta...
Con un vero e proprio colpo di scena, Liszt che aveva sognato di legare la sua esistenza a quella della donna amata, quando ogni impedimento fu tolto, paventò di perdere la magnifica libertà della sua vita d'artista e quindi, quando ogni cosa era di nuovo pronta per la cerimonia, sparì dalla vista di tutti.
Invano lo si attese, invano lo si cercò.
Invece non si era affatto allontanato da Roma!
Era corso a chiudersi, come in una cittadella sicura, nel Vaticano e in luogo di celebrare le nozze, di lì a poco, la mattina del 25 aprile 1865, nella cappella di mons. Hohenlohe (il futuro cardinale) nel Vaticano medesimo, prendeva gli ordini minori...
Da allora vestì da prete e mandò in giro biglietti da visita con la scritta: l'abbé Liszt, au Vatican.

Roma, vita mia

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Ermanno Ponti

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