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G.PONTI* P.SERAFINI G.MELA** S.FAMILIARI
* AIUTO DIVISIONE DI CHIRURGIA MAXILLO - FACCIALE OSPEDALE "S.CAMILLO" U.S.L. RM/1O
**OSPEDALE CIVILE DI SASSARI DIVISIONE DI ORTOPEDIA - PRIMARIO: PROF. F. SOTGIU
 
Le inclusioni organiche in chirurgia plastica
 
 
RIASSUNTO
Gli A. descrivono l'utilizzazione clinica in chirurgia plastica delle diverse inclusioni organiche, tentando di ricostruire, nell'aspetto esterno morfologico, i contorni normali dell'anatomia cranio-facciale. Sono indicati differenti metodi e diverse applicazioni.
 
SUMMARY
The A. describe the clinical utilization of the organic homoplastic materials in plastic surgery, trying to reconstruct skull defects and facial loss of substance.Various methods and surgical procedures are explained.

 
I difetti cranio-facciali, congeniti o acquisiti hanno bisogno di protesi interne (o meglio inclusioni) in una certa fase del processo riparativo, per contribuire a ricostruire il difetto coprendo determinate carenze o perdite di sostanza dello scheletro osteocartilagineo oppure rialzando i tessuti molli, ecc.
In breve, si tratta di inclusioni che cercano di ricostruire, nell' aspetto esterno morfologico, i contorni normali dell'anatomia cranio-facciale. Non vogliamo elencare le protesi chirurgiche nè le premesse storiche di questo tipo di interventi. Non ci occuperemo nemmeno degli innumerevoli materiali inorganici di riempimento adottati nei vari periodi.
Secondo noi le aloplastiche, che tempo fa dominavano il campo della chirurgia facciale, debbono rimanere relegate in secondo piano. La loro indicazione principale è data da notevoli perdite di sostanza ossea dello scheletro cranio-facciale ma per ogni singolo caso occorre scegliere il materiale a seconda delle caratteristiche peculiari in questione (Mir e Mir e Oller Daurella, Rodriguez Arias e Mir e Mir).
Per qualsiasi ricostruzione facciale entrano in gioco molti fattori (mobilità funzionale di tutte le parti molli che costituiscono l'espressione dell'individuo, cambiamenti atmosferici, masticazione, operazioni di igiene quotidiana, ecc.), per cui le inclusioni di materiale inorganico (metallo, acrilico) sembrano essere predestinate all'insuccesso in un'elevata percentuale di casi. Anche i materiali assolutamente inerti, perfettamente tollerati dall'organismo umano, possono provocare l'alterazione dell'equilibrio e la successiva eliminazione della protesi rigida che trova rapidamente o lentamente la strada verso l'esterno, a causa di piccoli traumi, alterazioni organiche generali e perfino dell'azione della gravità.
Per quanto riguarda i materiali organici utilizzati, possono appartenere allo stesso individuo, ad un'altra persona o anche ad animali; si tratta ciòe di autoinnesti, omoinnesti o eteroinnesti. Riteniamo che questi ultimi debbano rimanere estranei alla pratica chirurgica dati i risultati mediocri che offrono, come molti autori hanno riconosciuto.
Restano i materiali organici umani che possono essere auto o omoinnesti, a seconda che appartengano o meno alla stessa persona. Sono stati utilizzati molti tessuti per riempire le depressioni facciali o per rialzare una narice sprofondata: fascia lata, tendine, grasso, derma (Straatsma) ma senza dubbio l'osso e la cartilagine sono stati e continuano ad essere i materiali di elezione.
 
INNESTO OSSEO
 
Fino alla comparsa di alcuni metalli, leghe e materiali acrilici inerti (tantalio, vitalio e lucite), l' autoinnesto osseo rappresentava l'unica soluzione sicura per coprire grandi perdite di sostanza ossea nei difetti cranio - facciali. L'innesto osteoperiosteo della tibia è stato in questo senso il più usato, sebbene molti autori (in certi casi) abbiano preferito l'osso costale della scapola o dell'iliaco.
L'osso puro e l'osso nuovo, così come i"banchi" di osso di cui tanto si parla, sono indicati in traumatologia ed ortopedia quando occorre un deposito di calcio; ma in chirurgia plastica, almeno fino ad ora, non possono competere con gli autoinnesti di tessuto osseo vivo.
Per inserire un innesto osseo nella sua nuova sede si possono verificare due meccanismi: il tessuto vivo trapiantato continua a vivere, senza che i suoi elementi cellulari scompaiano, oppure scompare il tessuto vivo in quanto tale e rimane solo lo scheletro di calcio che verrà nuovamente invaso e farà da sostegno al nuovo osso. Solo nel primo caso si otterrà un risultato plastico stabile. Per riuscirci, occorre considerare due requisiti essenziali: contatto ravvicinato dell'innesto con il nuovo letto osseo e qualità dell'innesto che (sebbene a prima vista potrebbe sembrare l'opposto) dara più garanzie di successo quanto più sarà poroso.
Converse utilizza la papilla ossea in sangue fresco, ottenuta sminuzzando un innesto poroso di cresta iliaca aspettando fino a quando il sangue comincia a coagulare. Il risultato è ottimo, purchè il difetto osseo da ricostruire non sia molto esteso.
 
LA CARTILAGINE
 
Nonostante quanto abbiamo detto, è la cartilagine il materiale di riempimento più usato in chirurgia plastica per la correzione dei difetti facciali più frequenti, quali narici o bordi orbitali difettosi, aplasie più o meno evidenti del mento, degli zigomi, ecc.
Possiamo dire che la cartilagine costale autogena e omologa (fresca o conservata) è stata fino ad oggi la fonte principale quale materiale di riempimento nella chirurgia riparatrice.
La cartilagine reticolare od elastica che forma il padiglione auricolare, l'epiglottide, parte dell' aritenoide, ecc e che è caratterizzata dalla sua elasticità dovuta alla presenza di una rete estesa di fibrille elastiche distribuite in tutta la sostanza fondamentale (in misura maggiore nelle zone profonde): queste fibre non attraversano le capsule grosse che avvolgono gli elementi cellulari; e la cartilagine fibrocongiuntiva che costituisce i dischi intervertebrali, i menischi articolari della diartrosi ed i tarsi palpebrali, e che è caratterizzata dalla presenza di cellule più piccole ed arrotondate poste in file o cordoni e separate tramite una capsula molto sottile dalle fibre collagene grosse che costituiscono la sostanza base di questo tipo di cartilagine, disposte più o meno parallelamente, come nei tendini, sebbene si incrocino tra loro.
Cartilagine ialina. Il fatto che sia stata la cartilagine in genere (e quella costale in particolare) il materiale di elezione nella chirurgia riparativa è dovuto ai fattori già esposti; i tessuti mesenchimali possono essere trapiantati come innesti liberi pur conservando la precedente struttura e misura (totalmente o parzialmente).
Secondo L. A. Peer, autore di studi dettagliati sull' argomento, l' autoinnesto di cartilagine realizzato con una tecnica attenta e su pazienti in ottime condizioni generali e locali può produrre i migliori risultati in assoluto. Ci riferiamo alla cartilagine ialina, la più usata fino ad oggi. I fenomeni di riassorbimento che talvolta si verificano sarebbero dovuti alla morte del tessuto trapiantato e alla successiva disintegrazione della sostanza intercellulare o matrice.
Il carattere avascolare del tessuto cartilagineo ha fatto pensare, con motivazioni fondate, alla possibilità di effettuare con successo omoinnesti di tessuto vivo fresco. Infatti, ciò accade in diversi casi; ma in tanti altri il riassorbimento parziale o totale, precoce o tardivo, costituisce la regola (L.A.Peer, J.M.Converse, ecc.).
I rischi e i fastidi causati dall'intervento sul torace (fonte comune di prelevamento) per prelevare l'innesto vivo hanno indotto molti chirurghi plastici ad usare abitualmente la cartilagine conservata, riservando l' autoinnesto soltanto ai casi in cui l' omoinnesto ha gia prodotto risultati negativi.
Non mancano nemmeno autori come C.L.Straith e W.B. Slaughter che favoriscono decisamente l' omotrapianto conservato di cartilagine costale. D'altra parte, L.A.Peer ha osservato che la cartilagine costale conservata in alcool al 50% rimane nell'organismo come qualsiasi altro corpo estraneo, ma dopo circa dieci mesi i tessuti vicini la invadono per cui viene ad essere lentamente assorbita, a volte anche con comparsa di zone calcificate.
E' chiaro che quando l'alterazione e solamente istologica, senza toccare la morfologia esterna della correzione, non si può parlare di insuccesso da un punto di vista plastico.
Lavorando con la cartilagine costale autogena e conoscendo la fisiopatologia di questo tessuto cartilagineo, L.A.Peer ha proposto e diffuso la tecnica del "Diced Cartilage Graft". La suddivisione del pezzo di cartilagine ialina viva facilita la nutrizione dei suoi elementi cellulari per imbibizione. In questo modo le condizioni di sopravvivenza del trapianto migliorano. Inoltre, il sangue che in un primo momento riempie le cavità esistenti tra le parti cartilaginee, viene poi sostituito da tessuto connettivo ben vascolarizzato, in modo da conferire una notevole unità alla massa o pezzo cartilagineo trapiantato, evitandone contratture ed alterazioni.
Riassumendo, possiamo dire, a proposito della cartilagine ialina, che ebbene fino ad oggi non esista un accordo totale tra gli autori, si possono accettare (quando risultino indicate) l'autoinnesto di cartilagine settale e la tecnica del "diced cartilage graft" (entrambe di L.A.Peer). Gli altri tipi e tecniche, sia tramite autoinnesto o omoinnesto fresco o conservato, presentano tutti vantaggi e problemi per cui nessuno di essi offre garanzie di successo.
 
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
 
Alla luce dei risultati conseguiti da altri autori in fatto di "inclusioni" organiche in chirurgia plastica e dei nostri anni di esperienza, riteniamo che oggi si possano fare due affermazioni categoriche:
1) non esiste nessun metodo o tecnica di "inclusione organica" che possa garantire il successo al 100% sul lungo periodo ovvero l'invariabilità degli ottimi risultati ottenuti sul momento;
2) Qualunque sia il metodo e la tecnica utilizzata, si possono ottenere "alcuni" risultati ottimali e non migliorabili.
Quale strada occorrerà seguire ? E quale sarà, allora, il metodo di elezione ?
Francamente, riteniamo che il fattore "contingente", sia da un punto di vista locale della zona da riparare che delle condizioni generali proprie di ogni paziente, sia quello da seguire per scegliere il tipo, metodo e tecnica di "inclusione organica" da praticare.
Dopo di ciò si dovrà scegliere tra tutti i metodi disponibili quelli, o meglio, quello che offra garanzie di successo permanente vicine al 100% del risultato ottimale, ovvero la meta ultima dei nostri sforzi.
Abbiamo avuto occasione di trattare pazienti che erano stati operati una o più volte da altri chirurghi i quali sul momento avevano ottenuto il risultato chi con autoinnesto costale, altri con eteroinnesti, altri con omoinnesto costale conservato, ed alcuni (due) con innesto osseo, ma tutti avevano perso totalmente o parzialmente l'inclusione che era stata loro praticata, per riassorbimento, dopo pochi mesi.
 
 
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IPPOCRATEIOS
Mensile di medicina e chirurgia
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