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Considerazioni sul disformismo maxillo-facciale
 
**G. Ponti - ** F. Vitiello - * C. Rapani - ** A. Boccieri-*/** P. Serafini
*Università degli studi di Chieti - Cattedra di Semeiotica Chirurgica - Dir Prof. A. L. Gaspari
**Divisione di Chirurgia Maxillo-Facciale Ospedale S. Camillo - USL RM 10 Primario Dott. P. Bormioli
 
La dismorfogenesi facciale provoca malformazioni all’estetica del viso. Benché inizialmente esse possano non essere evidenti, vanno tuttavia accuratamente individuate in modo da consentire alla chirurgia plastica di mimetizzarle o ristrutturarle. Un presidio diagnostico in caso di dismorfismo facciale è rappresentato dall’analisi cefalometrica. Vengono qui presentati due casi, in cui si esaminano l’ipoplasia della zona centrale del viso e la deficienza mandibolare, nonché la rispettiva soluzione con l’osteoplastica, la rinoplastica e gli interventi sui tessuti molli. Vengono quindi illustrati i criteri diagnostici e di trattamento applicabili chirurgia estetica del viso.
Introduzione
Il dismorfismo, dal greco morphos, che significa "forma" o "aspetto", e dys, che significa "cattivo" o "sbagliato", viene definito come una cattiva forma. Dismorfismo è un termine relativo. Il buon senso tradizionale tende a riconoscere che la forma e la funzione si integrano, che una struttura funzionale è anche generalmente bella e che la chirurgia funzionale e quella estetica non si escludono a vicenda. Le considerazioni estetiche ai fini della correzione del dismorfismo facciale possono ripercuotersi su funzioni quali la parola, la deglutizione e la respirazione. Un naso esteticamente bello ma con vie respiratorie non funzionali è inaccettabile. Il presente rapporto suggerisce che, se le zone di dismorfismo o di allineamento alterato vengono attentamente affrontate fin dall’inizio della terapia, esistono maggiori probabilità di ottenere un risultato più duraturo e assicurare al paziente i vantaggi aggiuntivi di non avere l’aspetto di chi ha subito un’operazione e nel contempo far diminuire le probabilità che la funzionalità sia carente.
Determinate modifiche delle principali zone di allineamento dismorfiche assicurano in genere un sinergismo estetico e una ridotta mobilità funzionale, dato che è più facile realizzare riduzioni e aumenti precisi e conservativi in presenza di un allineamento strutturale corretto. La stabilità chirurgica sarà inoltre favorita da un uso realistico delle tecniche operatorie, senza voler cercare di compensare le zone dismorfiche spingendosi al di là delle possibilità di un determinato tipo di intervento.
Le cause e le implicazioni estetiche del dismorfismo facciale sono particolarmente rilevanti nelle sindromi di Crouzon, di Aperts, di Treacher-Collins, nelle fessure facciali e in asimmetrie quali la microsomia emifacciale. L’eziologia è analoga a quella di molte delle malformazioni estetiche meno gravi. Tra le cause ricordiamo quelle genetiche, incidenti nell’età dello sviluppo, nonché funzioni anomale che provocano un’alterazione della crescita, la quale a sua volta causa carenze o eccessi di tessuti.
Sono state individuate alcune delle zone in cui si può verificare una crescita anomala. Si tratta del neurocranio, della base del cranio, della crescita a V, della crescita condiloidea, nonché della crescita e della compensazione del segmento dento-alveolare. Nella valutazione occorre tener conto della forma facciale del brachicefalico rispetto al dolicocefalico.
Un approccio semplificato all’analisi della dismorfogenesi per quanto concerne la chirurgia estetica è quello di tipo strutturale. In molti casi, il risultato di tali anomalie nello sviluppo può suggerire le malformazioni dei tessuti molli. L’eziologia consiste in un allineamento alterato dello scheletro e può essere grosso modo suddivisa in due settori. Il primo comprende gli eccessi o le carenze nella zona centrale o nel terzo inferiore del viso; il secondo concerne i vari tipi di occlusione. Ambedue questi aspetti dovrebbero essere presi in considerazione da un punto di vista tridimensionale, tenendo conto di parametri sia quantitativi sia qualitativi. E’ tuttavia opportuno sottolineare che si deve applicare una valutazione clinica e non semplicemente dei valori numerici. Nell’analisi finale occorrerà confrontare tutte le diverse informazioni per poter ottenere il risultato migliore.
Metodi e risultati
Vengono qui presentati due casi per illustrare il dismorfismo della zona centrale e del terzo inferiore del viso. Ambedue i casi sono stati fotografati di fronte, dal lato destro e sinistro, e obliquamente da destra e sinistra. Sono state eseguite due radiografie cefalometriche, una prima di qualsiasi trattamento e l’altra non prima di un anno dalla cessazione della terapia. Tali radiografie sono poi state digitalizzate per contrassegnare i tessuti duri e quelli molli, servendosi di un numerizzatore Scriptel e di un programma di software "Dentofacial Planner". Ciò ha consentito la sovrapposizione delle radiografie cefalometriche, che è stata eseguita per ambedue in base alla linea di riferimento sella-nasion. Inoltre, alle varie zone del viso sono stati attribuiti valori numerici da uno a cinque. Tali zone consistevano nell’aspetto estetico generale, nel rapporto mento-collo, nell’aspetto del naso, nella prominenza del mento, nella prominenza malare e nell’aspetto del vermilion. Sono stati misurati valori quantitativi rispetto a piani di riferimento in senso sia angolare sia lineare, confrontandoli con la norma. Si tratta di parametri numericamente limitati per semplificare e per non ingenerare confusione, che hanno riguardato la lunghezza mandibolare, la profondità mascellare, la verticale sottonasale, il tipo di occlusione dentale, e l’angolazione degli incisivi inferiori rispetto al piano mandibolare.
Nel Caso A la paziente presentava una mandibola retrusa, una minor lunghezza mandibolare, una malocclusione di 2a Classe, una scarsa proiezione del mento, una eccessiva protrusione dentale con un angolo incisivo maggiore, una diminuzione della distanza del mento dalla verticale sottonasale, e un eccesso nasale dorsale. La paziente è stata sottoposta a una ricostruzione in più fasi, che è consistita in una terapia ortodontica, in un avanzamento tramite osteotomia mandibolare divisa sagittale bilaterale, e in un intervento di slittamento anteriore del mento che ha fatto aumentare la lunghezza mandibolare complessiva di 13 mm. Ciò ha accentuato la linea mento-collo, producendo una protrusione dentale accettabile. Grazie alla genioplastica a slittamento anteriore si ottiene una migliore armonia del viso e una migliore proiezione del mento. La mandibola retrusa è stata avanzata fino ad ottenere un’occlusione di 1a Classe, migliorando il posizionamento dei tessuti molli.
Dopo l’intervento mandibolare, una rinoplastica riduttiva e conservativa ha migliorato l’equilibrio nasale. La protrusione dentale con l’aumentata proiezione mentale ha consentito di adottare la decisione clinica a favore di una rinoplastica conservativa.
Nel Caso B la paziente presentava un prognatismo mandibolare derivante da una retrusione mediofacciale a carico delle prominenze malari, della mascella e del dorso nasale. Da un punto di vista qualitativo la paziente presentava una retrusione della zona centrale del viso, con vermilion insufficiente, scarso supporto delle labbra, deboli prominenze malari, malformazione nasale a sella, e una linea mento-collo insufficiente. Da un punto di vista quantitativo, l’evidenza era controindicativa e richiedeva un’ulteriore valutazione dei parametri dei tessuti molli e duri. La paziente fu sottoposta a trattamenti in più fasi, vale a dire a un trattamento ortodontico e ad un LeFort III modificato, od osteotomia malare-mascellare (che ha consentito di portare in avanti il bordo infraorbitario di 7 mm e la spina nasale anteriore di 3 mm). Ad essa è seguita una rinoplastica di aumento e una liposuzione della parte superiore del collo. I vari trattamenti hanno portato a un migliore equilibrio del viso, un buon supporto delle labbra e un vermilion sufficiente, migliori prominenze malari, un’occlusione dentale di 1a Classe, un leggero miglioramento della linea mento-collo, e un naso più imponente, il tutto in armonia con le altre caratteristiche facciali della paziente.
Discussione
Gli elementi in comune tra questi due casi sono rappresentati da un aspetto anomalo della bocca, della zona nasale e degli occhi. Le zone dismorfiche sono rispettivamente il terzo inferiore del viso nel primo caso e la zona centrale nel secondo. Il Caso A presentava una malocclusione scheletrica di 2a Classe, mentre nel Caso B questa era di 3a Classe. Dato che in genere i visi dismorfici non sono ortognatici, può rendersi opportuna, previa esauriente valutazione, una correzione della malocclusione scheletrica. Ciò è più evidente nel caso con la mandibola retrusa (Caso A).
Il Caso A presentava un’ipoplasia del ramo e del corpo mandibolare, una zona mentale carente con una zona alveolare e dentale anteriore eccessivamente protrusa, una leggera retrusione malare, una zona nasale prominente e, in misura leggera, alcune anomalie della base cranica. Al dismorfismo del Caso A è stato ovviato tramite un intervento chirurgico sulla mandibola e una rinoplastica conservativa. Il posizionamento dei tessuti molli inferiori con un idoneo vermilion superiore è stato coordinato con l’avanzamento dello scheletro facciale inferiore, consentendo il contemporaneo allungamento del labbro superiore modificando l’atteggiamento delle labbra. Ciò ha contribuito tra l’altro ad alleviare la tensione delle labbra e quella dei tessuti molli dal naso. E’ stata anche allungata la linea mento-collo.
Nel caso di prognatismo relativo (Caso B), esisteva una situazione opposta. La lunghezza della linea mento-collo e il vermilion erano insufficienti. In questo caso la chirurgia mandibolare non avrebbe dato risultati soddisfacenti. L’avanzamento della zona centrale del viso, l’aumento del naso, e l’assottigliamento mento-collo tramite la liposuzione hanno consentito di correggere tali carenze, dapprima ristrutturando la zona scheletrica mediofacciale retrusa e quindi affrontando la zona mento-collo. Se fosse stata praticata una chirurgia mandibolare riduttiva, la linea mento-collo sarebbe peggiorata, creando una malformazione difficile da correggere con un intervento sui tessuti molli.
Ambedue i programmi chirurgici hanno affrontato idoneamente le deficienze strutturali specifiche e il cattivo allineamento. Ciò ha migliorato le basi dei tessuti molli e duri mediofacciali e mandibolari, ed ha in tal modo consentito il successivo intervento di assottigliamento dei tessuti molli, il che ha portato alla completa correzione della malformazione, piuttosto che alla creazione di una nuova. L’analisi cefalometrica costituisce un validissimo strumento per valutare il dismorfismo ma deve essere utilizzata unitamente ad altri parametri diagnostici. Le analisi cefalometriche si basano sull’uso della base cranica come punto di riferimento fisso. Molte malformazioni diventano evidenti utilizzando questo punto fermo di riferimento. Variazioni di lieve entità legate a un leggero dismorfismo della base cranica possono essere all’origine di una diagnosi errata circa l’ubicazione delle malformazioni facciali, il che vale soprattutto per il Caso B. Gran parte delle analisi e dei piani dell’analisi cefalometrica sono specifici di una determinata filosofia o tecnica. Dato che l’elaborazione in base ad essi può ingenerare confusione, gli autori hanno preferito ricorrere alla profondità mascellare, alla lunghezza mandibolare della verticale sottonasale, e all’angolo degli incisivi inferiore per dimostrare la validità delle analisi cefalometriche ai fini di una semplificazione della diagnosi.
La profondità mascellare è l’angolo formato dal piano orizzontale di Francoforte in una linea che va dal nasion al punto A. E’ mediamente pari a 90°+ 3°. Tale misurazione determina la normalità della zona centrale del viso rispetto alla base cranica anteriore e richiede una base cranica relativamente normale. Tale misura riguarda i tessuti duri, ma è comunque possibile trarne qualche informazione sui tessuti molli. La seconda misura riguarda la verticale sottonasale, cioè la distanza tra i tessuti molli del mento e una linea perpendicolare al piano orizzontale di Francoforte attraverso la sottonasale. La media va dai - 3 mm ai + 3 mm. Si tratta prevalentemente di un’analisi sui tessuti molli, legata a una base cranica accettabile e ad una buona posizione mediofacciale o sottonasale, che serve a valutare la posizione dei tessuti molli e di quelli duri nel mento. La terza misura riguarda la lunghezza mandibolare, che va dal condilion, la parte superiore più arretrata del processo condiloideo individuabile nella radiografia cefalometrica laterale, allo gnation, il punto inferiore più avanzato della prominenza mentale. Il valore finale corrisponde all’angolo degli incisivi inferiore, che è un angolo ottenuto tra la proiezione dell’asse degli incisivi inferiori e il piano mandibolare, che viene misurato dall’angolo mandibolare al mento (mentum), vale a dire la parte più bassa della prominenza mentale. Il gonion è il punto ottenuto dalla bisezione del margine posteriore del ramo e del bordo inferiore della mandibola.
Nel Caso A, tali valori si riferiscono a una diagnosi cefalometrica tradizionale, in quanto la base cranica non è significativamente anomala. Tuttavia, nel Caso B, la profondità mascellare dà l’impressione che la zona centrale del viso sia normale e la verticale sottonasale dà la sensazione che la mandibola sia prognatica. Da un’ulteriore analisi si evince che la lunghezza mandibolare è normale o appena inferiore alla norma, e una successiva analisi con il metodo Jarabakevidenzia varie anomalie statisticamente significative della base cranica. Ciò consente al clinico di soppesare tutte le informazioni e integrarle con un uso idoneo delIa valutazione clinica, fino a prendere la decisione di ristrutturare la parte centrale del viso.
Infine, la protrusione mandibolare, evidenziata nel Caso A dall’angolazione degli incisivi rispetto al piano mandibolare, viene messa in relazione con il contatto dei denti anteriori e il bisogno di far chiudere le labbra, con i denti in equilibrio con la lingua e le labbra. La norma varia tra 90° e 105° nei singoli pazienti. Inoltre, la protrusione è anche indirettamente connessa con la posizione del mento. Il mento diventa più prominente man mano che diminuisce l’angolazione degli incisivi rispetto al piano mandibolare. Ne consegue che quanto più gli incisivi inferiori sono Sporgenti o angolati, tanto più il mento deve essere prominente ai fini dell’equilibrio facciale. Ciò è esemplificato nel Caso A. Inoltre, la prominenza nasale è meno evidente in presenza di una maggiore prominenza del mento, che a sua volta è evidenziata da una minore protrusione dentale. Quando si corregge il dismorfismo mandibolare si riduce il dismorfismo relativo del naso.
 
Conclusione:
In conclusione, gli interventi estetici sul profilo che ricorrono unicamente a un aumento del mento e a una rinoplastica, benché utili, possono dare risultati inferiori alle aspettative ove esistano un errato allineamento scheletrico e una malocclusione. E’ quanto abbiamo dimostrato con i due casi presentati. Il caso della deficienza mandibolare presenta anomalie dei tessuti molli quali i muscoli mentali iperattivi e una tensione labiale generalizzata con una posizione anomala delle labbra. Ciò influisce sul posizionamento e sulla migrazione degli impianti al mento (17) e su un’evidente accentuazione delle malformazioni della gibbosità del dorso nasale (18). Molto spesso la lunghezza marginale mento-collo non presuppone una lunghezza mandibolare prognatica ma piuttosto una retrusione mandibolare o mediofacciale e costituisce una controindicazione per la chirurgia di retrusione mandibolare (19). Nel Caso B ciò è stato esemplificato con appositi valori che hanno dato un’errata impressione di normalità nelle strutture mediofacciali (20). Ma ad un successivo esame è risultato chiaro che la lunghezza mandibolare rientrava nella norma e che la linea mento-collo non avrebbe sopportato una riduzione. Questo caso costituisce quindi un ulteriore esempio di come una valutazione puramente quantitativa possa essere inadeguata se non vengono contemporaneamente presi in considerazioni i parametri dei tessuti molli, la valutazione clinica e la valutazione della base cranica.
La posizione del mento è influenzata dalla posizione dento-alveolare anteriore, da quella mandibolare posteriore e da quella mascellare. Ai fini dell’armonia del viso la protrusione dentale e la dimensione del mento variano direttamente. Infine, l’allineamento scheletrico migliora l’atteggiamento e la posizione delle labbra. Se non si prevede un rialIineamento dello scheletro, il solo aumento tramite gli impianti e la rinoplastica non dà risultati ottimali.
 
RIFERIMENTI
 
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