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Complicanze principali della chirurgia plastica della parete addominale
 
 
**G.Ponti - ***F. Moscati - ***D. Riitano - ***A. Tinti - */**P. Serafini
 
*Università degli studi di Chieti-Cattedra di Semeiotica Chirurgica
**Ospedale S. Camillo USL RM 10 - Divisione di Chirurgia Maxillo-Facciale
***Ospedale S.Camillo USL RM 10 - Divisione di Chirurgia Plastica
 
 
Tra le principali complicanze degli interventi di chirurgia plastica alla parete addominale si annoverano l’embolia polmonare, una massiccia necrosi cutanea e una sepsi acuta. L’embolia polmonare e la sepsi acuta sono infatti le più frequenti cause di morte tra questi pazienti. E’ stato stimato che l’embolia polmonare sia la terza della principali cause di morte negli Stati Uniti, e ogni anno muoiono ben 200.000 persone a seguito di un’embolia polmonare. Si tratta di una delle malattie acute per le quali è più facile che venga fatta una diagnosi errata. Sono stati individuati vari fattori a rischio che predispongono alla trombosi venosa profonda e all’embolia polmonare. Tra le carenze ereditarie vi sono alcuni disturbi ematologici, tra cui certe carenze genetiche e certi disturbi dell’attivazione plasminogena. I fattori di rischio acquisiti superano quelli ereditari. Tra i primi vi sono gli interventi chirurgici e vari disturbi iatrogeni connessi con coagulopatie e con altri disturbi ematologici. Il rischio che insorga una trombosi dopo un’anestesia generale può essere così classificato:
1. Basso rischio: nei pazienti sani, di età inferiore ai 40 anni, privi di fattori di rischio, sottoposti ad anestesia generale per meno di 30 minuti.
2. Rischio medio: nei pazienti di età superiore ai 40 anni sottoposti ad anestesia generale per più di 30 minuti, ma privi di grossi fattori di rischio.
3. Alto rischio: chiunque presenti un fattore predisponente quale un tumore maligno, un’insufficienza cardiaca congestizia, una degenza prolungata, un incidente cerebrovascolare con debolezza di un arto inferiore, obesità, soprattutto nelle donne di età superiore ai 65 anni.
I pazienti con un’anamnesi di trombosi venosa profonda. Inoltre molti autori considerano ad alto rischio le donne pluripare. A mio avviso ogni paziente sottoposto a un’ addominoplastica estesa che venga collocato sul tavolo operatorio in posizione flessa e la mantenga per vari giorni dopo l’intervento è ad alto rischio a causa della maggiore stasi venosa. Molti dei pazienti che si sottopongono a un’ addominoplastica sono donne pluripare. In un paziente a medio o alto rischio di una trombosi venosa è opportuno considerare attentamente le necessarie misure profilattiche.
E’ possibile ricorrere correntemente ai metodi seguenti:
 

TECNICA 1

 

Eparina, 5.000 U subQ, solitamente con calze elastiche graduate.

 

Vantaggi

Normalmente disponibile, facile da somministrare e da gestire.

Svantaggi

Occasionali complicanze emorragiche.

TECNICA 2

 

Stivali a compressione pneumatica agli arti inferiori

 

Vantaggi

Molto sicura; evita complicanze emorragiche.

Svantaggi

Deve essere protratta per almeno 3 giorni dopo l’intervento o finchè il paziente non sia pienamente in grado di camminare; richiede esami vascolari (ad esempio il Doppler) agli arti inferiori prima che se ne possa fare uso.

TECNICA 3

 

Eparina a basso peso molecolare abbinata a diidroergotamina .

 

Vantaggi

Normalmente disponibile, facile da somministrare e da gestire.

Svantaggi

Occasionali complicanze emorragiche.

Sarebbe un’evenienza insolita che un paziente estetico presentasse indicazioni che richiedano una flebografia; ma se dalla sua anamnesi risultasse un precedente episodio importante di trombosi venosa profonda o una possibile embolia polmonare, sarebbe opportuno eseguire questo tipo di indagine prima dell’intervento. In effetti un paziente esposto a un rischio rilevante evidenziato grazie ad esami sofisticati potrebbe logicamente aver bisogno di un’interruzione della vena cava inferiore prima dell’intervento. Attualmente si usa ricorrere alla collocazione percutanea di un filtro di Greenfield nella vena cava inferiore. Negli ultimi 10 anni sono stati compiuti notevoli progressi nel trattamento della trombosi venosa profonda e del tromboembolismo. Questi gruppi sono stati individuati e sono state fissate idonee direttive per la terapia profilattica.
Vari studi sostengono l’efficacia di questi programmi. Sono numerosi gli studi che hanno evidenziato una riduzione della trombosi venosa profonda dal 32% al 5%
e dal 20% al 4%. E’ pertanto nostro dovere adottare simili misure nel trattamento dei nostri pazienti onde ridurre le probabilità che si verifichi questa grave complicanza, che può anche essere letale. La necrosi della parete addominale nei pazienti in cui non sia presente una sepsi è spesso legata a un ostacolo vascolare dovuto all’eccessiva tensione sulla linea di sutura o a una malattia sistemica non riconosciuta quale un disturbo vascolare o una malattia del collageno.
Una riduzione cutanea massiccia dovrebbe essere trattata con uno sbrigliamento adeguato e con cure locali. Il ricorso al laser C02 ridurrà al minimo la perdita di sangue; è tuttavia indubbio che una dissezione con uno strumento tagliente sia altrettanto valida, anche se un po’ più cruenta. Le cure locali dopo lo sbrigliamento dovranno essere intensive fintantoché non risulti evidente la granulazione. A questo punto si dovrà scegliere tra lasciar chiudere la ferita per granulazione o tramite un innesto cutaneo d spessore variabile. I letti di granulazione accoglieranno senza difficoltà gli innesti cutanei; d’altro canto, le sedi donatrici produrranno ulteriori cicatrici, il che può essere inaccettabile per il paziente. In genere l’area inizialmente distaccata si cicatrizzerà senza difficoltà per seconda intenzione, la cicatrice si contrarrà e la ferita finale sarà notevolmente più piccola dell’area originale. Si potrà ricorrere a una successiva revisione della cicatrice qualora essa rappresenti un problema per il paziente. In un paziente sottoposto a addominoplastica inversa per rimuovere siliconomi migranti dovuti a un precedente aumento del seno mediante iniezione di silicone libero, la cute ha presentato, all’intervento chirurgico, un’intensa reazione al silicone e quindi un ostacolo vascolare che impediva una cicatrizzazione idonea. La zona della cute necrotica è stata sbrigliata con il laser al C02 e ha consentito una granulazione e una cicatrizzazione per seconda intenzione .
Le infezioni necrotizzanti dei tessuti molli della parete addominale rappresentano complicanze che solo eccezionalmente possono essere letali. In realtà, a questa particolare complicanza possono essere associati vari problemi rilevanti dovuti alla liposuzione, fino alla mortalità. Spesso l’entità del disturbo viene sottovalutata, per cui il relativo trattamento é inadeguato. Tale associazione di eventi può produrre un esito fatale. Le infezioni necrotizzanti dei tessuti molli sono ben diverse da quelle provocate dallo Staphylococcus aureus, che produce dense secrezioni purulente. Le infezioni necrotizzanti dei tessuti molli si estendono lungo i piani fasciali. Inizialmente la cute sovrastante è intatta, ma con il progredire del processo si verifica una trombosi dei vasi perforanti dalla cute, che quindi produce una necrosi, che rappresenta un segno tardivo.
Tra gli altri sintomi locali tardivi si annoverano la cancrena dermica, la cianosi, la formazione di vesciche o di una zona scura sulla cute, dolore acuto o zone diffuse di anestesia, leggero drenaggio rossastro, cellulite con vasto edema in aumento nonostante gli antibiotici. Tra i sintomi sistemici ricordiamo la confusione, la tachicardia, la tachipnea e la chetoacidosi, anch’essi segni tardivi. Baxter ha affermato che la caratteristica di un’infezione necrotizzante dei tessuti molli consiste nell’assenza dei segni classici dell’infiammazione locale, nel coinvolgimento solitamente vasto dei tessuti molli e nella necessità di una terapia chirurgica immediata e generalmente estesa.
Gran parte degli autori sono favorevoli a un approccio molto aggressivo in presenza di qualsiasi infezione necrotizzante dei tessuti molli, che considerano emergenze che mettono in pericolo la vita del paziente. La fascite necrotizzante è una qualsiasi infezione necrotizzante dei tessuti molli che si diffonde lungo i piani fasciali con o senza una cellulite sovrastante. Può essere causata da un singolo organismo o da una combinazione di batteri. Se è coinvolto il muscolo si preferisce parlare di mionecrosi batterica. Il decorso di questa malattia si misura in ore e il trattamento deve essere immediato e aggressivo.
La variante scrotale di questa malattia sviluppa rapidamente una cancrena dermica provocata dal fatto che praticamente non esiste grasso sottocutaneo tra la fascia e l’epidermide. Questa variante è stata definita cancrena di Hournier. Il gas dei tessuti molli è raro salvo che nelle infezioni clostridiali avanzate e si riscontra con maggior frequenza in pazienti diabetici. L’incisione deve essere praticata nella fascia, il che produrrà sovente un fluido denso, maleodorante e scuro. La fascia può presentarsi annerita e necrotica. Il processo si estende nel grasso sotto forma di necrosi a liquefazione nero-verdastra. Tutto il tessuto deve essere radicalmente escisso, e campioni idonei dovranno essere sottoposti a coltura e ad esami di sensibilità. Freichlag ha riferito che la mortalità era passata dal 43% al 71% quando si rendeva necessaria più di un’operazione per asportare il materiale necrotico infetto. Si dovrebbe fare ogni tentativo per conservare i lembi cutanei se la cute appare vitale, mentre non si deve accettare nessun compromesso circa la rimozione del tessuto malato. L’entità dello sbrigliamento è solitamente abbastanza rilevante e può interessare tutto lo spessore della parete addominale. Le ferite vengono tamponate aperte e le medicazioni devono essere cambiate più volte al giorno nell’unità cure intensive. Si dovrà continuare così fino alla formazione di tessuto per granulazione. Se viene resecata l’intera parete addominale possono risultare esposti i visceri, per cui sarà necessario cambiare le medicazioni estese fintantoché non si produca tessuto per granulazione.
Ultimamente abbiamo utilizzato la rete Marlex per poter trattare questo tipo di perdita della parete addominale. Quando l’addome si chiude, la rete Marlex può essere ripiegata senza difficoltà ed eventualmente rimossa. Quando il tessuto di granulazione sarà adeguato si dovrà nuovamente scegliere tra la sutura secondaria e il trapianto cutaneo. In caso di presenza di una mionecrosi batterica la prognosi è ben più grave. Questi pazienti hanno spesso bisogno di un intenso supporto cardiovascolare e polmonare. Possono essere necessari il catetere di Swan-Ganz e l’intubazione con supporto respiratorio. Sono consigliabili dosi massicce di antibiotici, in base agli studi sulle colture e sulla sensibilità.
Per le infezioni clostridiali si usa la penicillina G in dosi di 10-20 milioni di unità al giorno.
Per le infezioni miste si ricorre agli antibiotici ad ampio spettro con una terapia doppia o tripla. Se sono coinvolti gli arti possono rendersi necessarie delle fasciotomie onde prevenire la sindrome del sezionamento, o addirittura l’amputazione di un arto interessato può essere occasionalmente necessaria per salvare la vita al paziente. Può essere preziosa la terapia con ossigeno iperbarico qualora sia dimostrata un’infezione clostridiale. Per fortuna queste complicanze pericolose per la vita non si verificano di frequente nella pratica della chirurgia plastica. Dobbiamo comunque esserne al corrente e adottare ogni precauzione per prevenirne l’insorgenza. Inoltre dobbiamo prestare la massima attenzione ai segni e ai sintomi di un’infezione necrotizzante dei tessuti molli, in presenza dei quali è facile che venga fatta una diagnosi inesatta e adottato un trattamento inadeguato, e il cui esito è quasi sempre fatale.
 
RIFERIMENTI
 
1. Dalen JE, Albert JS: Natural history of pulmonary embolism. Prog CV Dis 17:259-270, 1975.
2. Mohr DN et al.: Recent advances in the management of venous embolism. Mayo Clin proc 63:281-290,
1988.
3. Leyvraz PF et al.: Adjusted versus fixed dose subcutaneous heparin in the prevention of deep vein thrombosis after total hip replacement. N Eng Med 309:954-958, 1983.
4. Turpie AG et al.: A randomized controlled trial of a low molecular weight heparin to prevent deep vein thrombosis in patients undergoing elective hip surgery. N Eng J Med 315:925-929, 1986.
5. Baxter CR: Surgical management of soft tissue infections. Surg Clin NA 52:1483, 197P.
6. Freischlag JA et al.: Treatment of necrotizing soft tissue infections: The need for a new approach. Am J Surg 149:751, 1985.
7. Ahrenholz DH: Necrotizing soft tissue infections. Surg Clin NA 68:199-214, 1988.

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Mensile di medicina e chirurgia
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