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G. PONTI
**Divisione di Chirurgia Maxillo-Facciale Ospedale S. Camillo - USL RM 10 - Primario Dott. P. Bormioli
 
I Cheloidi
 
Il più accurato intervento di Chirurgia Plastica è, di tanto in tanto, seguito dall'insuccesso per la formazione di un cheloide. Nel trattamento chirurgico di pazienti con cheloidi dolenti, pruriginosi, poco appariscenti, i migliori sforzi del chirurgo sono in gran parte insufficienti a prevenire la recidiva. Il problema della insorgenza dei cheloidi ha elementi comuni sia nello studio della guarigione delle ferite, sia nello studio delle neoplasie. La sofferenza degli individui colpiti e la fondamentale importanza dell'argomento, denunciano l'ineguatezza delle nostre attuali conoscenze.
 
CARATTERISTICHE DEI CHELOIDI
Un cheloide è una normale proliferazione fibrosa, localizzata nel derma e caratterizzata da sopraelevazione, estensione in senso laterale nei tessuti circostanti, crescita continuata ad andamento intermittente, assenza di regressione significativa e profonda tendenza a recidivare dopo l'ablazione. I sintomi del prurito e del dolore sono presenti contemporaneamente nella maggior parte dei casi.
L'ulcerazione è più rara; piccole aree di infezione con tramiti fistolosi drenanti, ponti cutanei e tasche sono alquanto più comuni. Nel periodo iniziale o durante i periodi di vivace accrescimento, la lesione tende ad essere rossastra, violacea e tesa, con modesta vascolarizzazione e piccoli vasi visibili sotto la superfice epiteliale. In periodi più tardivi e durante i periodi di quiescenza, il cheloide è meno denso e vascolarizzato, ma resta sopraelevato e più fisso del tessuto normale. La lesione ha una spiccata predilezione per la metà superiore del corpo, con capo, collo, petto, spalle e braccia come localizzazione comune. In questa area c'è una distribuzione centripeta: la maggior densità delle lesioni si ha nella linea mediana, capo, collo e petto.
La regione sternale è la sede più comune di cheloidi insorgenti su traumi sconosciuti non apparenti. Comunque, anche le cicatrici addominali sono frequentemente sede di insorgenza di cheloidi, specie in sede ombelicale o pubica.
In generale, i cheloidi tendono a crescere lungo, piuttosto che attraverso le linee cutanee, qualunque sia l'iniziale orientamento della lesione. Nonostante molti cheloidi siano clinicamente inconfondibili, bisogna insistere sul fatto che alcune delle loro caratteristiche sono comuni anche alle cicatrici ipertrofiche. Questa è sopraelevata, rossastra, tesa, pruriginosa e dolente, e, all'inizio della sua evoluzione, mostra segni di accrescimento. Tali cicatrici possono recidivare dopo l'asportazione specie se quei fattori - come la tensione e la forma - inizialmente responsabili della eccessiva formazione di tessuto cicatriziale, non sono stati modificati nella revisione. I segni distintivi del cheloide, - mancanza di regressione nel tempo, tendenza alla recidiva, estensione dentro il tessuto normale lateralmente - sono eventi che si manifestano col tempo, e che una immediata osservazione clinica non può stabilire.
E' quindi impossibile, clinicamente, differenziare una cicatrice ipertrofica da un cheloide, in tutti i casi.
 
ANATOMIA PATOLOGICA
Anatomopat., il cheloide è una massa di tessuto connettivo denso, malamente circoscritto, localizzato nel derma. Questa localizzazione dermica è significativa, in quanto i cheloidi sottomucosi sono rari o inesistenti. Nella nostra esperienza non ci sono cheloidi comparsi primitivamente sotto la mucosa, ed i pochi casi riportati nella letteratura non reggono ad una critica approfondita. Lo strato di epitelio stratificato sovrastante la lesione dermica, è appiattito e spesso assottigliato. Gli intrecci della rete i gomitoli delle papille così come le papille dermiche, possono essere assenti e le appendici epidermiche sono ridotte o mancanti. Le fibrille elastiche sono anch'esse, in genere, assenti. Caratteristica è la presenza di fibre collagene abnormemente larghe, rigonfie, eosinofile, intrecciate, di aspetto vetroso, che formano la massa della lesione. Il margine tra la lesione ed i tessuti circostanti è stato oggetto di molti studi ed interpretazioni diverse. Qualcuno vide il cheloide come estendentesi dentro il tessuto normale per espansione e descrive un margine discreto e formato da tessuto cicatriziale compresso ma normale. (HEIDINGSFELD 1909). Altre interpretazioni suggeriscono una progressiva trasformazione della cicatrice circostante nella caratteristica morfologica del cheloide (SYLVEN 1945). Diversi valori della frequenza e della attività delle mastzellen attorno al cheloide, sono state presentate (SYLVEN 1945; ROBINSON & HAMILTON 1953).
L'esatto punto di origine del cheloide rimane oscuro. E' stato suggerito che le lesioni si formano nella avventizia dei vasi e che la estensione ramificante del cheloide è una conseguenza (UNNA 1896). Il tessuto connettivo che chorion (LEWIS 1935) e gli involucri delle ghiandole sudoripare e dei follicoli piliferi sono stati anch'essi chiamati in causa. Piccoli fasci di fibre collagene anormali sono state notate nel derma di lesioni cheloidi recenti. (GAULIN & LATTES 1960).
La presenza di fibroblasti nelle sezioni istologiche di routine di un cheloide, è irrilevante. L'attività mitotica non è marcata nei cheloidi recenti ed è molto rara nelle lesioni mature. ANDERSON (1888) e HORTON (1953) hanno descritto il carcinoma insorgente su cheloide; ma nel primo caso sembra che fosse un fibrosarcoma indotto, il secondo tumore era un carcinoma a cellule basali in cute di cheloide irradiato. Un esempio inequivocabile di trasformazione maligna in cheloidi non irradiati non è stato ancora dato.
Storicamente, i cheloidi vennero descritti per la prima volta da ALIBERT (1806).
Egli li denominò "cancro-simili": "CANCROIDI". Nel 1816 introdusse il nome di CHELOIDI, riferendosi sia alla estensione della lesione in "branche", sia alla tendenza a crescere in lateralità nel tessuto normale, con un movimento simile a quello dei granchi. Nel 1825 egli intitolò il capitolo del suo testo di Dermatologia: "LES CANCROIDES OU KELOIDES", usando per la prima volta quest'ultima parola nel significato con cui venne più tardi usata dagli autori anglosassoni e tedeschi.
Dato che la descrizione di Alibert era classica, non venne stabilita nessuna definita correlazione istologica. Questo problema divenne di una difficoltà crescente quando si moltiplicarono le suddivisioni cliniche. Così, venne stabilita una distinzione tra cheloidi VERI o SPONTANEI, e quelli FALSI o insorgenti su trauma noto.
Più tardi ADDISON descriveva come CHELOIDE VERO la lesione che noi oggi conosciamo come "scleroderma", e denominò le lesioni di Alibert: "FALSI CHELOIDI". La confusione aumentò ancora con l'uso di suddividere le lesioni a seconda della localizzazione anatomica, l'aspetto fisico e la precisa natura del trauma iniziale. Con l'andar del tempo, queste distinzioni cliniche sono state rivedute con ochio critico e lasciate cadere. E' stato riconosciuto che un trauma iniziale, quantunque minimo, può di norma essere trovato per ogni cheloide e che i cheloidi di qualsivoglia eziologia hanno profonde similitudini nel comportamento clinico. Comunque, i primi tentativi di trovare distinzioni anatomopatologiche, per adattarle a quelle cliniche, dettero l'impressione che la difficoltà del patologo, nel distinguere i cheloidi dalle cicatrici fosse così grande da precludere il suo ausilio sia per la diagnosi che per la prognosi. Quest'ultimo punto di vista è completamente contrario alla nostra esperienza (COSMAN 1960). In una rassegna del nostro trattamento chirurgico di 340 cheloidi o lesioni così denominate, clinicamente, noi trovammo una stretta correlazione tra la diagnosi istologica ed il risultato clinico del trattamento. Il nostro laboratorio di patologia impiegò il criterio unitario della presenza delle caratteristiche fibre collagene slargate, eosinofile, jalino-simili, per la diagnosi di "cheloide".
Lesioni così diagnosticate ebbero una percentuale del 47% di recidive, comparate con il 17% (di recidive) nelle lesioni per le quali il patologo aveva diagnosticato: "cicatrice" o "lesione dubbia". Siamo pertanto addivenuti alla conclusione che l'esame istologico è il più probante nel risolvere le incertezze cliniche nella diagnosi e prognosi delle cicatrici ipertrofiche e dei cheloidi.
 
INCIDENZA
La mancanza di una conferma an. patologica che conforti la diagnosi clinica, confonde la maggior parte degli studi sul problema dei cheloidi. perciò, l'attuale incidenza dei cheloidi in ogni vasto gruppo di popolazione, resta indeterminata.
In esempi della popolazione svizzera, NAEGLIE (1931) riportò un'incidenza clinica del 4,5% nei bambini, e del 13,3% nell'adulto. Queste curve sembrano più alte di quanto la nostra esperienza ci suggerisce. Poiché i cheloidi sono certamente più frequenti nei negri che nei bianchi, la relativamente asintomatica natura di molti cheloidi e la ripugnanza della maggior parte degli individui a perder tempo per cercare un trattamento per problemi minori, deve essere tenuto presente nella valutazione delle cifre per la relativa incidenza nelle due razze. Questo rapporto venne fatto da MATAS, (1896) nella sua monografia, in cui sulla base di 10 casi di cheloidi in individui ospedalizzati (vedi nota) trovò una percentuale di 9 negri per ogni bianco. Altri trovarono percentuali più alte o più basse. Per diversi motivi che limitano lo studio di queste statistiche, non si può dare un preciso indirizzo in cifre.
 
EZIOLOGIA
Molti fattori eziologici sono stati ritenuti responsabili della insorgenza dei cheloidi. Le spesse cicatrici che seguono alla guarigione di linfonodi t.b.c. fistolizzati, ed alle lesioni luetiche, portarono inizialmente ad una associazione con queste lesioni. Ciò non è suffragato comunque dalle presenti conoscenze.
A causa della più alta incidenza di cheloidi trattati nelle donne ed a causa della apparente maggior quantità di casi osservati negli anni immediatamente post-puberali, è stata avanzata l'ipotesi della possibile influenza di ormoni femminili nella formazione dei cheloidi. Comunque, è in questo sesso ed in questa età, che più frequentemente vengono fatti i trattamenti per cosmetologia. In più, la pratica di forare l'orecchio, può contribuire nella insorgenza precoce nelle donne. Nelle nostre serie le lesioni trattate erano prevalentemente in donne, ma non venne osservata una maggior incidenza quando veniva notato il tempo di insorgenza della lesione, piuttosto che quando veniva iniziato il trattamento. Inoltre, l'età media di insorgenza era intorno ai 22 anni ed era la stessa nei due sessi. Un alto contenuto in estrogeni nel tessuto cheloide, non è stato confermato dagli esami di laboratorio. Né vennero prodotti cheloidi cutanei in animali di laboratorio trattati con estrogeni ad alto dosaggio. (VARGAS, 1943). L'influenza ormonale è stata rimarcata da Jacobsson (1948) e da Davis (1951), i quali, come anche noi, hanno osservato casi singoli di insorgenza di cheloidi in gravidanza. Lo stato ipertiroideo è stato imputato per la insorgenza dei cheloidi da Justus (1919) ma nella nostra casistica non ci pare possibile sostenere l'ipotesi di tale associazione. Né esiste una conferma per la teoria di una alterata funzione delle paratiroidi. Identica mancanza di conferma esiste per la teoria di Marshall e Rosenthal, secondo cui, accumuli locali o generali di fluidi di tessuto, risultanti in "ernie del tegumento", porterebbero al cheloide. Gli stessi Autori. dichiararono anche, che la causa dei cheloidi fosse l'ispissatio sanguinis. Dello stesso valore speculativo è la nozione dei coaguli plasmatici indotti da mucopolisaccaridi e al conseguente stasi linfatica e vascolare, avanzata da Barnard ed altri (1961). Che qualcosa nel siero dei portatori di cheloidi acceleri la formazione di fibroblasti, venne suggerito da Robinson e colleghi. ('52, '53), ma più tardi venne negato anche questo concetto. Un'eziologia auto immunologica è stata suggerita da Horn ed altri (1959) ma rimane congetturale.
La razza e l'eredità sembrano più importanti nella suscettibilità al cheloide, che qualunque altro fattore generale conosciuto. Le vedute di Bohrod (1937) che la selezione sessuale nelle tribù di negri africani che praticano la scarificazione, favoriva lo sviluppo della caratteristica razziale a fare una cicatrizzazione spessa, sono state ampiamente, anche se tacitamente, accettate nonostante la mancanza di una conferma etnografica.
In più, bisogna notare che polvere e pigmenti vengono regolarmente introdotti dentro queste ferite-scarificazioni, e la quantità di questi materiali tende a determinare la massa della cicatrice,la quale non presenta le caratteristiche ramificazioni del cheloide. (Lacassagne, Lespinne, 1931). La letteratura dei gruppi familiari con cheloidi per diverse generazioni, è stata ben presentata da Bloom (1956). Comunque, pochi dei nostri pazienti presentano una simile anamnesi, ed in altre vaste casistiche è stata notata una identica povertà di anamnesi familiare positiva. Che questo possa esser messo in rapporto con una mancanza di precisione nel raccogliere l'anamnesi, è possibile; e che questa influenza ereditaria non sia tanto forte nei comuni portatori di cheloidi. Ciò che è certamente vero, è il fatto che alcuni dei nostri casi più gravi sono stati quelli in cui l'anamnesi familiare era positiva. I fattori locali sembrano giocare un ruolo importante nel problema, in quanto molti individui con cheloidi hanno altre cicatrici, il cui comportamento ed aspetto sono normali. Cosa siano questi fattori locali, è difficile da stabilire. Può essere attribuita una certa importanza alla tensione della ferita, l'orientamento di questa rispetto alle linee cutanee, la presenza o assenza d'infezione e se vi fu o no una guarigione per primam.
Il contributo più significativo concernente i fattori locali nella formazione dei cheloidi fu quello di Glucksman (1951). Nella disamina di cicatrici ipertrofiche e cheloidi, egli trovò speso, reazioni da corpo estraneo, con peli e materiale cheratinizzato endogeno. Basandosi su questo, venne suggerita l'idea che la peluria imprigionata tra i bordi delle ferite, fosse il fattore di primaria importanza nel determinare la cicatrizzazione ipertrofica (Mowlen, 1951). La possibilità di distinguere tra cicatrici e cheloidi, e l'assenza di un controllo clinico a distanza, indeboliscono queste argomentazioni. Pochi altri hanno notato una così alta incidenza di reazione da corpo estraneo, mentre è stata ben dimostrata la lenta scomparsa di elementi del derma deliberatamente introdotti (sotto l'epitelio) (Thompson, 1960). Di grande interesse è il modo in cui le alterazioni locali vengono considerate nel recente rapporto di Conway, Gillette, ecc. (1960): di un "anormale" fibroblasto (riscontrato) nelle culture di tessuto del cheloide. Se verificata, questa scoperta renderebbe possibile lo studio dei cheloidi a livello istologico. Un'altra tecnica recentemente applicata allo studio del materiale cheloideo è quella della carta cromatografica (1958). Non è stata notata una marcata differenza tra cheloide e tessuto connettivo normale, ma è stato osservato un aumento del contenuto idrico nei cheloidi, e qualche differenza qualitativa nei peptidi ed aminoacidi. Molto ancora resta da fare in questo campo di ricerche.
 
RISULTATI DEL TRATTAMENTO
Sfortunatamente, lo studio clinico del problema dei cheloidi e la valutazione della terapia, sono state handicappate da una sorprendente mancanza di documentazione per il lungo periodo del decorso di lesioni trattate e non trattate. La necessità di lunghi periodi di controllo a distanza è stata dimostrata nel NS materiale, dalla scoperta di un periodo medio intercorrente tra l'escissione e la recidiva, di mesi 12, 9. Molti fattori che precedentemente si pensava influenzassero il risultato dell'escissione, si sono dimostrati privi d'importanza nella NS esperienza. Inoltre, la prognosi non varia in modo significativo col variare della localizzazione, se la diagnosi istologica è stata: cheloide. La razza del paziente non influenza i risultati della asportazione. Allo stesso modo è da considerare la sede della lesione, la sua durata prima dell'intervento e la natura del trauma iniziale.
Mentre ciò che era stato clinicamente denominato "cheloide da ustione" si dimostrò istologicamente una cicatrice ipertrofica, talora più spesso di quanto non fosse giusta la diagnosi clinica di lesione cheloidea, la prognosi di un cheloide indotto dall'ustione non era migliore di quella di qualunque altra lesione cheloide. Sorprende anche il fatto che la presenza di un'altra cicatrice, cheloide o no, in un individuo a cui era stata escissa chirurgicamente una lesione, non si dimostrasse di alcun aiuto per la prognosi del risultato dell'escissione. Anche qui, la diagnosi istologica della lesione asportata, fu il fattore più importante (significativo). Una percentuale di successi lievemente più bassa, venne comunque notata, in quegli individui con altri cheloidi multipli. I pazienti i cui maggiori fastidi erano il prurito, il dolore o un recente accrescimento della lesione, presentavano una percentuale di recidive più alta, dei pazienti senza questi sintomi. La più bassa percentuale di successi in tutti questi gruppi, non sembra, comunque, tale da controindicare il tentativo di un trattamento. Questo si dimostrò giusto anche nella nostra casistica di lesioni recidivanti. Il reintervento fu seguito all'incirca dalla stessa percentuale di successo che nelle lesioni mai trattate prima. Il successo limitato di qualunque terapia era ben conosciuto da Alibert sia da tutti coloro che hanno trattato i cheloidi dopo (di lui). La sola ablazione senza trattamento coadiuvante, non ha avuto particolari sostenitori. La tecnica dell'asportazione e copertura con innesto è stata favorevolmente sostenuta (Goldman, 1901-Krieger, 1958) ma i nostri risultati non ci consentono di sostenere questo metodo come particolarmente efficace. In più, quelli dei nostri pazienti che vennero trattati con questo metodo hanno presentato un cheloide nella zona donatrice, con una incidenza del 46%. I nostri tentativi di usare la stessa cute del cheloide come innesto per coprire la zona di asportazione non si sono dimostrati, almeno per ora di particolare successo ed inoltre, talvolta si sono presentate difficoltà tecniche. Gli effetti dell'escissione intracheloidea, così come la richiesta di metodi di speciali suture o della non sutura, devono essere ancora investigate sistematicamente.
 
METODI DI TRATTAMENTO
La combinazione di terapie usata più diffusamente è: l'asportazione e la x-terapia post operatoria. Questa è il programma con cui abbiamo fatto la più gran parte dell'esperienza. De Beurman e Gougerot (1906), Freund (1913), Wickham e Degrais (1913) furono i primi a proporre questo metodo. L'uso originale della X-terapia preparatoria in aggiunta a quella post venne propugnata da Gillies (1942).
Nelle nostre statistiche furono fatte di norma, dosi di 800r, in 4 parti pre e post operatorie, variando i fattori del kilovoltaggio e filtrazione, benché un considerevole numero di pazienti non sia stato trattato affatto con la X terapia. La rassegna dei nostri risultati dimostrò che la diagnosi istologica era ben più importante della somministrazione o meno della terapia radiante. Comunque, le lesioni trattate con l'irradiazione, si comportarono lievemente meglio di quelle non irradiate. Non è stato dimostrato alcun vantaggio tra l'associazione dell'irradiazione pre o post intervento da un alto, e l'irradiazione precoce post intervento dall'altro. Nella nostra casistica di lesioni irradiate, le nostre osservazioni suggeriscono che l'irradiazione è molto più efficace se vien fatta nel periodo delle due settimane dopo l'intervento. Questo fattore "tempo" è sostenuto da altri studi; e ci sono indicazioni che alti dosaggi di X terapia sono necessari se si vuole che il trattamento abbia un significato (1960). Sono state presentate vaste statistiche in cui sono stati usati X terapia o radium terapia, sole o combinate. Dal momento che la diagnosi istologica delle lesioni trattate non era stata verificata, è difficile asserire i risultati. Dove i grafici dettagliati sono utili, come nelle serie di Jacobsson (1948), è fortemente suggestiva l'idea che le lesioni trattate con successo fossero cicatrici ipertrofiche e no cheloidi. Le percentuali di successo con queste lesioni che apparivano essere dei cheloidi, sono strettamente simili a quelle ottenute da noi così come da molti altri. Bisogna insistere comunque, che la X terapia combinata a una gran varietà di altri agenti, ivi inclusi la Vit. E, (Davis 1951) e gli ultra suoni (Kuitert 1955) sembra capace, almeno temporaneamente, ad alleviare la sintomatologia del dolore e prurito. Allo stato delle nostre presenti conoscenze, l'uso della X terapia in questo modo e con adeguati schemi non possono essere condannate. La terapia enzimatica con ialuronidasi, sola o associata ad altre sostanze, è stata in voga per un breve periodo, ma in molte mani si è dimostrata poco soddisfacente. Altri agenti enzimatici abbandonati sono stati la fibrinolisina, la pepsina, la bile di tartaruga e la kutapressina. Di maggior significato teorico è stata la terapia ormonale locale e sistemica (,), con l'impiego di ACTH e di derivati adrenosteroidi, introdotte da Conway e Stark nel 51. Asboe - Hansen (56) riferirono risultati favorevoli con l'uso di idrocortisone per iniezioni locali, e l'uso di unguenti sulla ferita aperta e sulla ferita in guarigione più tardi, venne riferito da Feller nel 1959. Le nostre esperienze con diverse forme di trattamento locale e generale con cortisonici non è stata soddisfacente. Comunque, rapporti come quelli di Whitehill (54) sull'uso profilattico di unguento all'idrocortisone nelle ferite addominali, e quelli di Mancini, Stringa e Canepa (1960) suggeriscono che trattamenti molto precoci o molto prolungati possono essere utili. L'uso di tetra-idrossichinone (kelly e Pinkus 1958) attende anch'esso un ulteriore giudizio.
Per tutti gli studi come questo comunque, un miglio controllo e un adeguato controllo a distanza del paziente, con una definitiva diagnosi istologica devono essere pretesi se si vuole che i risultati abbiano un significato.
 
IPPOCRATEIOS
Mensile di medicina e chirurgia
Editrice SOPI - Roma

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