Ogni giorno, invariabilmente, gruppi di
persone sostano per pochi minuti o per qualche buona mezz'ora -
avanti al Portone di Bronzo.
È gente che sempre si rinnovella,
mutevole e incerta, di spiccato colore esotico, che resta in
contemplazione e poi esprime la propria meraviglia in tutti i
più varii idiomi del mondo.
I forestieri
sostano lì sorpresi dall'avvincente idea di trovarsi sul
limitare dell'immenso e sconosciuto mondo vaticano. Ma il loro
stupore essi l'esprimono in una maniera ben caratteristica:
nell'ammirare, con una specie di affettuosa compiacenza, la
guardia svizzera che passa e ripassa sotto l'arco, nell'andito
grandioso, e attende con austera tranquillità allo
svolgersi del proprio turno.
E ben fanno gli esteri, dacchè la
guardia svizzera è da secoli il simbolo verace della
fedeltà che vigila armata le soglie auguste della dimora
papale.
La
Guardia
Le origini della guardia svizzera sembrano
controverse, e in realtà più voci dicono che Sisto
IV, il grande papa che affermò a Roma, vittoriosamente, lo
spirito alacre e rinnovatore del Rinascimento, fosse stato proprio
il primo ad assoldare la guardia svizzera. Ritengono infatti che
Sisto IV nel 1476 inviasse un legato a Basilea e nel 79 si
collegasse con gli elvetici.
Da ciò l'idea del primo
arruolamento. Spettava però a Giulio II, il secondo papa
della Rovere, iniziare la tradizione gloriosa delle guardie
svizzere.
Giulio
II nel 1503, nell'anno stesso in cui fu
eletto, invitò i cantoni dell'Elvezia a spedire a Roma
deputati per addivenire ad un trattato, che però fu
concluso solo nel I505,
anno in cui il papa ottenne una compagnia
permanente di 200 svizzeri per guardia della sua persona e dei
suoi successori. Ciò avveniva nel 1506, proprio quando
veniva posta la prima pietra della nuova basilica di San
Pietro.
Possiamo immaginare con quale viva
curiosità essi fossero accolti!
Infatti l'ingresso di centocinquanta uomini
armati ci è ricordato in uno dei più curiosi
documenti storici del l'epoca; vogliamo dire il Diario di Giovanni
Burcardo, il celebre maestro delle cerimonie di Alessandro VI e
Giulio II:
Iovis XXII circa XXIII,
intrarunt per portam de Populo CL Svitenses, de mandato D. N. per
d. p. de Hertenstein, cubicularium, cano nicum constantiensem, in
Alemania et circa conducti, omnes vestitisque ad calceos inclusive
divisa expensis D. N.; quorum capitaneus fuit d. Gaspar de
Silinen. Intrarunt per portam de Populo, campum Flore ad plateam
sancti Petri, ubi D. N. stans super lobias Pauli papae, benedixit
eis; deinde intrarunt eorum habitationem extra palatium pro
custodia palatii deputatam.
Dal dimesso latino del cerimoniere famoso
apprendiamo dunque che l'ingresso avvenne in un giovedì 22
gennaio quasi al tramonto. Entrarono in 150 per porta del Popolo
dopo essere stati arruolati da von Hertenstein cubiculario
pontificio e decano del capitolo lucernese. Erano già
vestiti a spese del papa e loro capitano era Gaspare de Silenen
patrizio di Lucerna. In bel corteo, per Campo de' Fiori, se ne
andarono a S. Pietro a ricevere la prima benedizione pontificia.
Dopo ciò poterono prendere possesso di quanto era
già stato per loro apprestato.
Sappiamo anche che il denaro occorrente per
le prime spese, ammontate a 490 ducati larghi e a 970 ducati
comuni, era stato anticipato dalla celebre ditta bancaria dei
fratelli Fugger.
Burcardo nulla ci dice riguardo alla divisa
di questi primi 150 svizzeri senza dubbio perché essa in
nulla si distingueva dal costume in vigore a quel tempo né
c'era allora tra vestimento civile e militare una differenza
regolamentare.
Il
Colonnello Luigi Hirshbuhl, Comandante della
Guardia Svizzera, 1928
Ma per la guardia svizzera molti ripetono
la vecchia storiella che il costume lo avrebbe suggerito
Michelangelo in un momento di esaltazione estrosa o di ironica
malignità. Secondo altri il disegno sarebbe stato dato dal
divino Raffaello, il quale poi sarebbe proprio l'inventore della
caratteristica manica larga a sbuffi. In questo ha forse
contribuito il vivo ricordo del gruppo di cinque guardie svizzere
nel Miracolo di Bolsena; ma non si può trarre la
conseguenza che quel costume, caduto in disuso nella prima
metà dei 500 sia proprio da credersi una sua
invenzione.
Del resto con l'attribuire ai più
grandi artisti la concezione di un costume particolarmente felice
nelle sue linee e nel colore, si veniva a proclamare che una tale
opera apparteneva alla fioritura artistica del migliore
rinascimento.
In verità -
come ha benissimo dimostrato il Colonnello Repond nel recente e
splendido volume: "Le
costume de la garde suisse" - il
primo documento iconografico che noi possediamo sull'argomento,
è una miniatura che orna un poema manoscritto del poeta
Michael Nagonius raffigurante il ritorno trionfale a Roma di
Giulio II il 28 marzo 1507 dopo la spedizione di Bologna. Nella
scorta si scorgono de' prigionieri e alcune guardie pontificie,
tra cui il capitano Gaspard de Silenen riconoscibile dalla catena
d'oro e dal bastone, emblemi del comando insigne.
Giulio nel suo amore e nella sua stima per
gli svizzeri non si accontentò solamente della guardia del
corpo. Egli ottenne anche truppe di combattimento mercè
l'opera del bellicoso vescovo di Sion, Matteo Schinner, cui diede
poi la porpora; e a meglio mostrare l'animo suo grato, nel I512,
inviava alla confederazione lo stocco e l'elmo, onori riserbati ai
principi. E agli svizzeri stessi accordò il titolo ambito
di defensores libertatis Ecclesiae.
Ma una lode così alta doveva
suscitare ire e invidia. Ne troviamo un'eco clamorosa e cattiva
nel famoso libro dei Nuptiali di Marcantonio Altieri. Certo la
spiccata predilezione di Giulio II verso le milizie straniere e la
conseguente esclusione dei romani dalla «guardia
di palazzo solito fra gli altri custodirsi per la maggior parte da
gli Romani meritevoli » spiegano
anche nella loro ingiusta veemenza le crucciose parole dell'uomo
che si sente offeso nella suscettibilità stessa della
stirpe:
«senza ragione ne cavaste li Romani e... che ci metteste? Ii
svizari, homini Barbari, homini senza fede; havidi et alieni
d'ogni humanità, e nemici capitali di Roma e del nome
Italiano.»
...
Con Giulio II comincia dunque la storia
della guardia svizzera: Leone X nel 1514 confermava la Pretoriam
cohortem, ma essa doveva assurgere a una grande importanza morale
sotto il terzo comandante e cioè sotto Gaspard Roust.
Premettiamo che una fortuita circostanza e cioè un affresco
votivo raffigurante la crocifissione ed esistente nel Campo Santo
Teutonico ( giusta l'interpretazione fatta nel 1908 da Robert
Durrer) ci ha conservato il suo ritratto e la sagoma della sua
armatura.
Con Gaspard Roust noi entriamo di colpo in
una delle pagine più sanguinose e delle scene più
drammatiche della storia di Roma Papale.
Come è stato con giusto sentimento
di riconoscenza ricordato in questi ultimi tempi, il 6 maggio 1527
all'inizio dello sciagurato sacco di Roma, la guardia svizzera si
sacrificò totalmente nel difendere l'accesso del Vaticano.
Dell'intero corpo, solo quarantadue uomini (che erano di servizio
quel giorno lì nel palazzo apostolico) sfuggirono al
massacro seguendo il papa in Castel S. Angelo.
Dopo l'eccidio di tutti i soldati di
guardia, mentre per il corridoio il papa si metteva al sicuro, gli
svizzeri ancora resistevano, difendendo S. Pietro. Alla loro testa
era il capitano Roust di Zurigo. Le orde non rispettarono il luogo
santo; feroce si riaccese la mischia. Tutti caddero fino
all'ultimo e con essi la consorte del Roust, mutilata prima delle
braccia, poi uccisa sul cadavere del marito...
Il 7 giugno Clemente VII capitolava e
sostituiva la sua guardia svizzera con 200 lanzichinecchi che
cominciavano a essere i suoi carcerieri.
Passata la terribile bufera del Sacco,
Clemente VII fu più volte sollecitato dai romani a
ricostituire la fedele guardia: anzi essi offrirono di contribuire
alla spesa dell'ingaggio.
Ma il papa Mediceo trasse la cosa in lungo,
senza mai effettuarla e in realtà i maneggi di Carlo V si
opponevano al ritorno degli svizzeri a Roma.
La situazione doveva mutare col successore
di papa Clemente.
Nel 1542, prima ancora di averla rotta con
l'imperatore, Paolo III, riprendeva al suo servizio 600
confederati e li ripartiva ugualmente tra Roma, Firenze, Bologna e
Ancona.
Tali svizzeri non erano però
arruolati che per tre anni e quindi non si trattò di un
vero e proprio ripristino della guardia del papa.
La ricostituzione veniva però
decretata da Paolo III il 3 febbraio 1548 con un effettivo di 225
uomini in un momento di tensione assai inquietante delle relazioni
tra il papa e Carlo V.
Nel 1555 Marcello II, appena eletto, voleva
licenziare la guardia svizzera, per lo specioso argomento che il
papa non aveva bisogno d'armi per sua difesa. Al contrario, nel
1561, tra Pio IV e la guardia svizzera vennero stabiliti i
Capitala capitanorum Castodiae Helveticoraum il cui inizio
è di questo preciso tenore:
«Il
nobile e valoroso signor Cav. Gaspare Sillano, cittadino di
Lucerna, odierno capitano del Corpo degli Svizzeri di V. S. e
tutto il corpo tota cohors ossia società di duecento e uno,
supplicano umilmente che vengano riconfermate le precedenti
condizioni».
Il primo articolo parla degli stipendi e
del soprassoldo sia nel caso di viaggi di S. S., sia nel caso di
guerra; si fa cenno del mantenimento di stipendio durante le
malattie e si regola il congedamento, e il vestimento.
Pio V volle affermare la grande importanza
che annetteva alla lotta contro la mezzaluna, facendovi
partecipare la stessa sua guardia del corpo. Un primo drappello di
dodici uomini partì per Cipro e quasi tutti vi morirono da
eroi; un altro drappello seguì a Lepanto Marcantonio
Colonna e undici ne tornarono partecipando al suo trionfo. E'
doveroso ricordare che il loro capo Hans Rolli aveva strappato al
nemico due stendardi che vennero portati a Roma e da Roma vennero
poi donati all'arsenale di Lucerna ed oggi ancora si conservano
nel museo federale di Zurigo.
Sappiamo che Pio V nel 1568 fece edificare
presso i quartieri degli svizzeri del Vaticano la chiesa dei loro
protettori SS. Martino e Sebastiano.
Sisto V mostrò una particolare
benevolenza verso la guardia svizzera. Si legge nelle
"Relazioni degli
Ambasciatori veneti al Senato", nel
rapporto dell'amb. Lorenzo Priuli: « Si
trattiene con gli svizzeri, ai quali fa scriver lettere amorevoli
dal capitano di quella guardia. Mostra verso di loro ottima
volontà...».
E grazie a questo favore pontificio, ci
sono conservate molte figurazioni delle guardie svizzere
soprattutto negli affreschi della Bibl. Vaticana e così per
mezzo di essi, ci è possibile misurare esattamente
l'evoluzione compita dal costume della fedele guardia svizzera da
Clemente VII a Sisto V, evoluzione felice e tale che dimostra come
la corte del papa, sapesse mantenere il gusto squisito creato
dalla rinascenza.
Un grande quadro ad olio dovuto
probabilmente al pennello di Antonio Tempesta e conservato nel
Palazzo Mattei mostra il solenne ingresso che 1'8 maggio 1598
Clemente VIII compì in Ferrara.
Una relazione del tempo ci desume: «
veniva N. Sig.
vestito pontificalmente col regno in testa... portato sopra una
sedia da otto Palafrenieri... Intorno Sua Santità erano
altri Palafrenieri, et dalle bande andava la solita guardia degli
sguizzeri ».
Anche nel seicento e nel settecento la
fedele guardia continuò a godere il favore e le cure dei
pontefici: Urbano VIII al lato destro del portone di Bronzo eresse
il baluardo tuttora esistente con artiglierie. Su di esso nelle
solennità s'inalberava la bandiera della guardia. Inoltre
costruì il quartiere e le case per le guardie stesse
nell'angolo orientale del palazzo.
Ma questo ampio quartiere fu ristretto da
Alessandro VII nel costruire il colonnato. Sotto lo stesso papa,
nel giugno 1656, Cristina di Svezia, sdegnata con gli spagnoli che
avevano dato aiuto contro il re di Svezia suo fratello,
licenziò la loro guardia che teneva al suo servizio e prese
dei perugini che fece vestire come gli stessi svizzeri ma con
abito, calzoni e calza rossa e nera.
Drappello
in grande uniforme
Nel 1660 sotto Clemente IX la guardia fu
ridotta a 120 individui: sotto Clemente XI risalì a
170.
Assai grazioso è l'episodio che ci
riporta un detto arguto di papa Ganganelli .
Nel 1769 dopo la funzione della sua
coronazione, Clemente XIV rimarcò d'averla goduta
comodamente, laddove nel 1758, per quella del suo immediato
predecessore, Clemente XIII, essendo egli allora semplice
religioso, si era visto mandare indietro dagli
svizzeri.
Di lì a pochi decenni la guardia
svizzera era destinata a raffigurare in tutto il susseguirsi degli
avvenimenti di Roma pontificia.
Come nel 1527, di fronte alla più
grande sciagura del pontificato, essa seppe resistere e morire,
così quando giunsero i tempi calamitosi dell'occupazione
francese su Roma mostrò coraggiosamente il suo spirito di
sacrificio e di fedeltà. Nel 1798 in seguito all' invasione
francese e alla prigionia di Pio VI, fu dispersa; venne
ricostituita nel 1800 e con le corazze fece buona figura, il 22
novembre 1801, quando Pio VII in solenne corteo andava a S.
Giovanni Laterano per prendere possesso. Ciò avvenne sotto
la guida di Carlo Pfyffer d'Altishofen di Lucerna, ma in modo un
po' ristretto con costo di 55.000 scudi.
Il corpo constò di 64 individui, un
capitano, un tenente, 2 aiutanti, 2 sergenti, 3 caporali, un
tamburo, un piffero e 52 svizzeri. Dopo nuove sciagure, Pio VII
torna nel 1814 e riaffida al colonnello Carlo Pfyffer d'Altishofen
l'incarico di ricostituire il corpo.
Più volte nel comando si
succedettero di padre in figlio i Pfyffer d'Altishoten, di
Lucerna, stirpe di guerrieri che diede alla Francia il celebre
colonnello, cui Carlo IX, nell'ardita ritirata su Meaux, fu
debitore se potè sfuggire di mano agli
Ugonotti.
Leone XII ne consolidò l'assetto nel
1824 con una convenzione col governo di Lucerna per la quale la
Guardia fu portata a 200 uomini. Tale convenzione con lievi
modificazioni vige tuttora.
Sarebbe cosa non facile ricordare a
proposito dei paurosi torbidi svoltisi a Roma nel novembre del
1848 quante volte la guardia Svizzera dovesse prodigarsi in una
difesa piena di abnegazione e di pericoli. Giovanni Marfurt e
Giacomo Marmatt nel fatale 15 novembre, che vide l'eccidio di
Pellegrino Rossi, essendo ti sentinella al Quirinale, corsero
serio pericolo di essere fatti a pezzi dalla plebaglia. Il
comandante Saverio Meyer di Schauensee per vero miracolo
potè essere salvato.
La « Cohors pedestris Helvetiorum a
sacra custodia Pontificis » dipende dal Prefetto dei
Sacri Palazzi Apostolici e dal Prelato Maggiordomo del
Papa.
A preferenza delle altre guardie - dice il
Moroni - presta non interrotto servizio sì di notte che di
giorno. Si compone di svizzeri scelti e cattolici, comandati dal
Capitano. Hanno chiese, quartiere e abitazione al Vaticano e al
Quirinale (Questa ultima notizia per i tempi moderni ha bisogno di
qualche... limitazione ).
Ma proseguiamo a spigolare nel
"Dizionario di erudizione storico ecclesiastica".
"Avendo custodia
della sacra persona del papa, gli uffiziali hanno luogo nelle sue
intime camere e gli altri in alcune di esse, dette perciò
"degli Svizzeri". Ad essi è
affidata pure la custodia delle porte e di altri luoghi di detti
palazzi papali.
La guardia svizzera accompagna a piedi il
Papa dalla sala alla porta del palazzo dove risiede, quando esce e
quando vi ritorna, l'accompagna alle Cappelle per le feste
dell'Annunziata, di S. Filippo, del la Natività, di S.
Carlo e per la Coronazione e il Possesso.
La guardia svizzera, interviene anche alle
consacrazioni dei vescovi e alle vestizioni di monache che si
fanno dai cardinali e ai loro possessi nei titoli, diaconie e
protettorie nonché ad alcune solenni feste nelle chiese di
Roma, per accrescerne il decoro, pel dignitoso vestiario che
indossano e per le antiche armi che usano.
Antica arma degli Svizzeri è, ad
esempio , l'alabarda, già propria dei longobardi, detta
anche scure danese perché da questo popolo ne passò
l'uso nella Scozia, Inghilterra, Francia, Svizzera, e quindi in
Italia.
Cortile
dell'Elemosineria con il quartiere ed il
bettolino
Nel possesso di Pio IX l'8 novembre 1846 il
comandante Martino Pfyffer a cavallo in corazza e bracciali di
acciaio dorato, con fregi arabescati e dorati, veste a maglie di
ferro, ed elmo con pennacchio bianco, attorniato da sei svizzeri
in corazza ed elmi di ferro, precedeva il corteggio, mentre
quattro guardie svizzere che fiancheggiavano la carrozza papale,
portavano le celebri e storiche alabarde della famiglia Borghese,
concesse per quella circostanza straordinaria dal principe Don
Marcantonio Borghese.
Oltremodo interessante è seguire il
contegno della guardia svizzera durante i periodi di" Sede
Vacante", che una volta erano brevi e gioconde parentesi di
anarchia.
Ancora oggi si prescrive che, quando il
Card. Camerlengo ha verificato la morte del Papa, il capitano
delle guardie svizzere in nome dei suoi dipendenti rimetta al
Cardinale Camerlengo una istanza, con la quale offrono i loro
servizi al sacro collegio e ne domandano il corrispettivo
compenso. Il Cardinale accetta la domanda e ordina che siano
immediatamente pagati del mese che incomincia con quel giorno.
Dopo di che, nei tempi passati si aveva il tipico episodio che nel
momento in cui il Camerlengo usciva dal Palazzo Apostolico, gli
svizzeri ne circondavano la carrozza e preceduti dal tenente al
cavallo, l' accompagnavano al suo palazzo e vi montavano la
guardia, senza tralasciare per questo la custodia dei Sacri
Palazzi.
L'universale concetto che la guardia
svizzera sia una speciale prerogativa del Santo Padre è
contraddetto da alcune eccezioni che meritano di essere ricordate.
Fino al pontificato di Pio VI, anche i
Cardinali Legati (le legazioni erano le province di Bologna,
Ravenna e Ferrara) e i Prelati che avessero il titolo di vice
legati, tenevano con loro la guardia svizzera.
Questo si verificava per tutti í
domini temporali della Santa Sede e quindi anche per la lontana e
storica città di Avignone, che col contado venosino e la
città di Carpentras faceva parte integrante dello stato
pontificio.
A noi interessa assai più conoscere
quel che sotto un tale aspetto riguarda Roma.
Troviamo qui una serie di tradizioni
curiose, oggi del tutto dimenticate.
Il Monte di Pietà, per esempio, a
maggior sicurezza dei molti oggetti preziosi e dei depositi, tenne
per lunghissimo tempo a sua disposizione una piccola scorta di
sette guardie svizzere.
Esse erano somministrate dal comandante
della guardia svizzera e al pari degli svizzeri del papa usavano
l'alabarda e le sciabole. Si distinguevano però nei colori
del vestito che era nero e paonazzo.
Per conto suo, anche la Depositeria
generale della Camera Apostolica teneva a sua disposizione altre
cinque guardie svizzere e una, infine, ne troviamo presso la zecca
Pontificia.
In questi tre luoghi gli svizzeri
dipendevano, come è logico supporr dai superiori dei
rispettivi stabilimenti.
LA
GUARDIA TRA LA CRITICA E LA SATIRA
Una ricerca interessante sarebbe quela di
seguire le varie impressioni che della guardia svizzera
riportarono i viaggiatori. Stendhal, ad esempio, non si
mostrò entusiasta nè della guardia svizzera
nè del suo costume. Ecco come racconta la sua visita del 7
marzo 1828 al Vaticano: «...a
l'extrémité de la partie ronde de la colonnade
à droite, je vis certaines figures grotesques, vêtus
de bandes de drap jaune, rouge et bleu; ce sont de braves Suisses,
armés de piques et habillés comme on l'était
au quinzième siècle»
Qualche decennio più tardi, nel 1864 il Taine vede le
guardie svizzere alla Sistina e acidamente le trova
"bariolés" e "vetus
d'un costume opéra".
Ma molto più
interessante sarebbe evocare tutte le satire, più o meno
felici, che di secolo in secolo sono state composte nei riguardi
di una così cara e tradizionale istituzione.
Si può dire che -
come, del resto, avviene in ogni umana contingenza - la satira
nasce col nascere della Guardia Svizzera. Ne troviamo traccia fin
dalla prima metà del 500. Nella sua magnifica opera, il
colonnello Repond riproduce una fine
incisione del Du Pérac che ci ha conservato l'effigie
minuscola, ma netta, della guardia svizzera di Paolo III. Tale
stampa rappresenta la Festa di Testaccio e dove essere disegnata
mentre era ancor vivo Paolo III. Quindi la data dell'incisione
è compresa tra il marzo 1548 in cui la guardia fu
ricostituita e il 10 novembre 1549 data della morte di Paolo
III.
Non senza malizia, Du Pérac ha messo
in evidenza, al primo piano, un alabardiere svizzero che porta ai
suoi camerati un bel boccale di vino. Dunque già nel secolo
della Rinascenza si amava scherzare a Roma sui vizi nazionali
degli svizzeri e su la loro presunta inclinazione al bere.... come
se ciò potesse essere una loro strana e perfida
prerogativa.
Bernardo Navagero, ambasciatore veneto, nel
rapporto che indirizzava nel 1558 al suo governo sugli eccessi
commessi durante il pontificato di Paolo IV loda ironicamente gli
svizzeri, dopo aver con brutti colori dipinto i mercenari di altra
origine: «Di
queste genti... la guascona, siccome non si può negare,
ch'era agile e pronta alle fazioni, così era tanto
insolente contro l'onor delle donne e nel torre la roba di quelli
che potevano manco..."
La gente italiana (il che mi dispiace dire
perché son pur nato italiano, e vorrei vedere questa
provincia padrona del mondo, come è già stata) era
tutta intenta a rubare le paghe, servendosi, al tempo delle mostre
dei passatori... La gente svizzera, siccome era assai modesta,
così era disarmata; l'armi sue erano fiaschi e boccali, ch'
ognuno ne portava quattro, e molti sei.....
Anche i poeti non sono stati da meno dei
disegnatori e degli storici.
Per non citare che cose ben note, la
sguaiata ottava del Tassoni mostra un'acrimonia tutta impastata di
livore calunnioso:
"che
un ubriaco svizzero paria di quei che con villan modo insolente
sogliono, avanti al Papa, il dì di festa rompere a chi le
spalle e a chi la testa".
Eppure proprio in quel tempo, in mezzo alla
guardia svizzera c'era qualcuno non destituito di capacità,
di gentilezza e di cultura. Basta accennare qualche cosa della sua
molteplice attività, per sbugiardare l'allegro poeta
modenese.
Più fonti storiche ci ricordano con
lode il soldato Giovanni Grosso di Lucerna, che più tardi
si appellò Giovanni Alto, nome più sonante. Grosso,
faceva da guida ai forestieri.
Guida non ordinaria, e lo prova il fatto
che nel 1641 egli pubblicò una raccolta delle vedute di
Roma col titolo interessante: "Splendore
dell'antica e moderna Roma". Roma, nella
stamperia di Andrea Fei MDCXLI. Nel frattempo egli era divenuto
ufficiale della guardia svizzera e dedicava le sue ore di ozio a
riprodurre a colori, di sua mano, degli stemmi stranieri che sono
stati riuniti in quattro bei volumi, che costituiscono un tesoro
della biblioteca Chigi... "Stemma
varie transmontanarum familiarum nobílium elegantissime et
munifice miniata."
Sulla copertina si legge: « Giovanni
Alto, Svizero de Lucerna, uficiale della guardia di N.
S.».
Riguardo alle dicerie e alle
malignità che più volte si ventilarono intorno alla
nostra guardia, vogliamo qui riferire un caso curioso.
Nel 1850, dopo il ritorno da Gaeta, di Pio
IX il cappello di feltro nero con penne rosse, adottato sotto
Gregorio XVI, venne mutato con un elmo a punta.
Fin qui nulla di male: dispiacque
però il fatto che gli elmi erano quelli... dell'abolita
Guardia Civica, i quali per di più non avevano alcuna
analogia col resto dell'uniforme !
E la ragione della curiosa innovazione?
«E' che
trovandosi inoperosi, in buon numero, presso il cappellaio
Antonini al Corso, questi, a cavarne partito, ne propose e
riuscì a farne accettare l'acquisto».
Il nome di Gregorio XVI ci riporta
spontaneamente al Belli e ai suoi saporosi e frizzanti sonetti
romaneschi.
A dire il vero, il Belli non nomina che
poche volte, cinque o sei, gli svizzeri, ma si giova qua e
là delle loro parole e delle loro figure.
Basta ricordare il verso
(vol. I; pagina 16, ed.
Morandi).
"Tu
me spenni pe'gurde e pe' maiocchi", dove la parola "gurda"
significa "scudo" ma è diretta derivazione dal tedesco
"gulden", fiorino, e che fu di certo importata dagli Svizzeri
della guardia pontificia « quando
erano Svizzeri autentici e genuini»
come nota malignamente il Morandi.
Una infatti delle voci più malevole
e più infondate è sempre stata quella di pensare che
gli svizzeri non siano... svizzeri. Anche il notissimo, e
volgaruccio , sonetto di Olindo Guerrini termina con la curiosa
apostrofe:
"Tu,
villano, esser nato in un Cantone; mia cittade star bella e star
craziose: so frascatano, so, brutto. "
Ma torniamo - che è molto meglio -
al Belli a cui lo Svizzero ha dato lo spunto al sonetto alquanto
plebeo, ma interessante riportato dal Morandi al vol. I, pag. 68,
nel quale si ricorda anzitutto che Leone XII aveva destinato uno
svizzero della sua guardia per ognuna di varie chiese, onde armato
di alabarda presiedesse nell'interno al rispetto del culto e al
discacciamento de' cani, e fuori impedisse le indecenti
soddisfazioni de' bisogni naturali.
Pericoloso sarebbe riportare il titolo del
sonetto.
Tralasciamo del pari quel che successe allo
screanzato che stava appunto contravvenendo a queste severe
disposizioni:
"lì a lo scuro
tra Madama Lucrezia e tra san Marco".
D'un colpo lo svizzero vigilante gli
è sopra:
"quann'ecchete
affiarato com'un farco un sguizzero del Papa duro
duro"
I' altro fugge: e lo svizzero l'insegue e
lo chiama e a lui si raccomanda
". . . Tartaifel, sor
paine pss, nun currete tanto che so stracche..."
Il contravventore seguita a fuggire
nonostante che l'ottima guardia gli gridi dietro di fermarsi e di
andare con lui a stipulare un'immediata e cordiale conciliazione
in qualche simpatica bettola romana:
Nel 1878 Leone XIII fissò
l'effettivo del corpo a 123 uomini. Secondo tale disposizione si
ebbe un capitano col grado di colonnello, un sottotenente col
grado di maggiore, un cappellano col grado di capitano di prima
classe -che ha il titolo di monsignore e la dignità di
prelato domestico - una guardia mastro segretario capitano,
giudice capitano, un tenente capitano, un sergente maggiore col
grado di tenente, sette caporali, due sergenti maggiori, due
portinai, cento alabardieri e due tamburi.
Il corpo ha la sua banda musicale composta
di una ventina di giovanotti dai polmoni di eccezionale
gagliardia.
Nella fausta circostanza del giubileo di
Leone XIII, il 3 marzo 1903, la guardia svizzera rivestì le
armature di ferro, corazze, bracciali ed elmi che non aveva
più indossato da trentadue anni, e cioè dalla festa
di S. Pietro e Paolo del 1870, ultimo pontificale solenne
pubblicamente celebrato da Pio IX.
Sugli elmi vi era il pennacchio in crine
rosso piovente dal centro.
Il sergente, sull'uniforme rossa e nera,
portava anch'esso la corazza, come gli uomini di truppe e
sull'elmo il pennacchio in crine bianco.
Quattro ufficiali, compreso il comandante,
indossavano le corazze d'acciaio brunito ed arabescate in
oro.
Tal corazze provenivano dai loro
antecessori nel corpo delle guardie. Basta ricordare che tra essi
il Maggiore Pfyffer portava quella di Martino Pfyffer già
comandante della medesima guardia.
Gli elmi, i quali non erano mai in
antecedenza portati dagli ufficiali, eccetto che dal comandante
nella solenne cavalcata del "Possesso"
erano stati fatti nuovi su disegno di quello esistente presso la
famiglia Pfyffer ed appartenuto a Martin Pfyffer d'Altishofen:
dalla parte bassa dell'elmo sorge una penna rossa che giunge fino
alla parte più alta dello stesso. Il comandante l'ha
bianca. Si ripristinò in quella circostanza anche l'uso che
quando il papa va in sedia gestatoria ovvero sul "talamo" per le
processioni del Corpus Domini, sia preceduto dal capitano e dagli
ufficiali delle guardie svizzere, lateralmente da 6 sottufficiali
che sulle spalle dovessero sostenere gli spadoni, due dei quali
hanno la forma serpeggiante. Questi sottufficiali rappresentano i
Cantoni svizzeri cattolici che si segnalarono nella difesa della
S. Sede.
Nel volgere dei secoli l'uniforme e
specialmente il copricapo, aveva subìto varie
modificazioni. Durante il pontificato di Gregorio XVI gli svizzeri
avevano un cappello alla Guglielmo Tell, di gusto molto
discutibile, nei primordi del pontificato di Pio IX riebbero
l'elmo, ma un elmetto moderno, poco confacente con lo stile
dell'uniforme.
Ma nel 1908, per iniziativa di
società cattoliche della Germania, che ne fecero dono al
Papa, vennero rimessi in onore per l'uniforme di parata, gli
antichi elmi del cinquecento, di bellissimo effetto, con le
magnifiche corazze di acciaio, (le quali erano state abbandonate
da oltre un secolo) rabescate e damascate, che cingono sino ai
fianchi tutto il corpo del soldato. Tale ritorno all'antico
riuscì perfettamente intonato all'ambiente grandioso del
Vaticano, dove tutto è tradizione.
I giornali cittadini riportavano appunto in
data 22 novembre 1908: "Ieri
il picchetto di guardia degli svizzeri al portone di bronzo del
palazzo vaticano, era formato di militi aventi il nuovo copricapo
sull'antico modello disegnato da Michelangelo. Tanto questo
picchetto, quanto l'altro al portone di via delle Fondamenta sono
sempre armati di alabarde.
La sentinella compie il
suo ufficio con l'alabarda, lasciando il fucile nella
rastrelliera, non essendo il fucile consono con la ripristinata
antica uniforme.»
Ma è ora - dopo questa parte
ufficiale - di avvicinarsi di più a questi ottimi figli
della generosa Elvezia e di domandare loro come sappiano passare
le ore e i giorni sotto il bel cielo di Roma.
Non mancano fra i "Gardisten" quelli che
abbiano dieci, quindici ed anche venti anni di servizio, ma la
maggior parte sono di età fra i venti e i
trenta.
Fior di gioventù, vengono tutti dai
cantoni della Svizzera e sono tutti di buona famiglia. E' molto
comune la tradizione di approfittare del soggiorno di Roma per
perfezionare la propria cultura.
Più di un magistrato, più
d'un avvocato e più d'un professore e di un'artista
svizzero, ha vestito per un periodo più o meno lungo la
pittoresca uniforme a strisce rosso nere gialle.
La guardia Svizzera abita nel quartiere che
si allarga sotto il torrione di Martino V, lungo il colonnato
berniniano, dietro al tratto del muro che giunge sino di fronte
alla chiesa di S. Anna. Gli ufficiali e il cappellano dimorano in
appartamenti speciali.
C'è l'armeria, con un centinaio di
"Mauser" ed altrettante alabarde, più un'ottantina di
corazze di acciaio, le quali per la prima volta dopo il 1870
tornarono a far mostra di gala in S. Pietro nel marzo del 1903 pel
giubileo pontificale di Leone XIII.
C'è la sala di lettura con una
quantità notevole di testi cattolici svizzeri.
Un accenno speciale merita il simpatico
"bettolino", giustamente ricordato in qualche fine descrizione
letteraria. E' un mondo a parte, che bisogna conoscere e dove con
qualche riserva, si può essere ammessi.
Sono tre stanzoni: alle pareti si osservano
tra l'altro due grandi quadri rappresentanti la cappella di
Guglielmo Tell sul lago dei Quattro Cantoni e il Leone di Lucerna
del Thorwaldsen.
Naturalmente la cucina è tedesca, ma
riguardo a bevande, il vino è in assoluta prevalenza
italiano anzi dei Castelli!
La guardia, come è ben naturale, non
manca di una propria cappella. Essa, come abbiam detto, si trova
quasi a ridosso del contrafforte del palazzo, tra questo e il
colonnato berniniano, nel tratto compreso tra il portone
dell'Elemosineria e il Portone di bronzo. Dopo il 1870 lo separa
dal colonnato un grosso muro, alto oltre due metri.
La cappella è di linee
architettoniche assai semplici. Sull'altar maggiore è un
bell'affresco attribuito al Maratta (alquanto però
deteriorato) raffigurante l'Annunciazione; ai lati sono altri due
affreschi, San Sebastiano e San Martino, i due santi
soldati.
Ma, sia pure con fuggevole accenno,
è doveroso accennare alla storica chiesa di S. Pellegrino
presso l'antica Porta Viridaria (ora nel territorio vaticano
dietro la chiesa di S. Anna) che ceduta dal Capitolo di S. Pietro
nel 1656, fu per due secoli la chiesa nazionale degli
svizzeri.
In essa e nel piccolo cimitero contiguo
sussistono importanti iscrizioni storiche.
La guardia non manca nemmeno di una propria
bandiera; che è un drappo assai ampio, con cinque bande
alternantesi orizzontalmente, azzurre, rosse, gialle, con lo
stemma del Pontefice regnante, quello di Giulio e nel mezzo,
l'arme del colonnello comandante.
Il 22 gennaio 1906 la Guardia
celebrò con gran pompa il quarto centenario della propria
fondazione, il 20 ottobre 1927 nel cortile delI'Elemosineria
apostolica è stato inaugurato il monumento, opera dello
scultore Zimmerman, zurighese, che ricorda l'eroico sacrificio
dell'alba triste del maggio 1527.
Date eloquenti, che ricordano nella loro
sublime semplicità come la fedele Guardia Svizzera sia
collegata strettamente a tutti gli avvenimenti tristi o lieti che
da quattro secoli accompagnano la storia varia e complessa del
Papato. In questo è il più alto elogio di
"cette petite troupe
d'élite".
Piccolo esercito, eppure, come giustamente
si è espresso uno scrittore straniero, è da credere
che non esista al mondo un altro corpo militare che goda una
popolarità talmente estesa. In realtà la sua
uniforme arcaica, dai colori vistosi, getta una nota pittoresca e
squisitamente caratteristica nei solenni cortei e nelle sontuose
cerimonie papali.