LA GUARDIA SVIZZERA

Roma, 1928

 

ORIGINE E PRIMI FATTI
 
Ogni giorno, invariabilmente, gruppi di persone sostano per pochi minuti o per qualche buona mezz'ora - avanti al Portone di Bronzo.
È gente che sempre si rinnovella, mutevole e incerta, di spiccato colore esotico, che resta in contemplazione e poi esprime la propria meraviglia in tutti i più varii idiomi del mondo.
I forestieri sostano lì sorpresi dall'avvincente idea di trovarsi sul limitare dell'immenso e sconosciuto mondo vaticano. Ma il loro stupore essi l'esprimono in una maniera ben caratteristica: nell'ammirare, con una specie di affettuosa compiacenza, la guardia svizzera che passa e ripassa sotto l'arco, nell'andito grandioso, e attende con austera tranquillità allo svolgersi del proprio turno.
E ben fanno gli esteri, dacchè la guardia svizzera è da secoli il simbolo verace della fedeltà che vigila armata le soglie auguste della dimora papale.
La Guardia
Le origini della guardia svizzera sembrano controverse, e in realtà più voci dicono che Sisto IV, il grande papa che affermò a Roma, vittoriosamente, lo spirito alacre e rinnovatore del Rinascimento, fosse stato proprio il primo ad assoldare la guardia svizzera. Ritengono infatti che Sisto IV nel 1476 inviasse un legato a Basilea e nel 79 si collegasse con gli elvetici.
Da ciò l'idea del primo arruolamento. Spettava però a Giulio II, il secondo papa della Rovere, iniziare la tradizione gloriosa delle guardie svizzere.
Giulio II nel 1503, nell'anno stesso in cui fu eletto, invitò i cantoni dell'Elvezia a spedire a Roma deputati per addivenire ad un trattato, che però fu concluso solo nel I505,
anno in cui il papa ottenne una compagnia permanente di 200 svizzeri per guardia della sua persona e dei suoi successori. Ciò avveniva nel 1506, proprio quando veniva posta la prima pietra della nuova basilica di San Pietro.
Possiamo immaginare con quale viva curiosità essi fossero accolti!
Infatti l'ingresso di centocinquanta uomini armati ci è ricordato in uno dei più curiosi documenti storici del l'epoca; vogliamo dire il Diario di Giovanni Burcardo, il celebre maestro delle cerimonie di Alessandro VI e Giulio II:
 
Iovis XXII circa XXIII, intrarunt per portam de Populo CL Svitenses, de mandato D. N. per d. p. de Hertenstein, cubicularium, cano nicum constantiensem, in Alemania et circa conducti, omnes vestitisque ad calceos inclusive divisa expensis D. N.; quorum capitaneus fuit d. Gaspar de Silinen. Intrarunt per portam de Populo, campum Flore ad plateam sancti Petri, ubi D. N. stans super lobias Pauli papae, benedixit eis; deinde intrarunt eorum habitationem extra palatium pro custodia palatii deputatam.
 
Dal dimesso latino del cerimoniere famoso apprendiamo dunque che l'ingresso avvenne in un giovedì 22 gennaio quasi al tramonto. Entrarono in 150 per porta del Popolo dopo essere stati arruolati da von Hertenstein cubiculario pontificio e decano del capitolo lucernese. Erano già vestiti a spese del papa e loro capitano era Gaspare de Silenen patrizio di Lucerna. In bel corteo, per Campo de' Fiori, se ne andarono a S. Pietro a ricevere la prima benedizione pontificia. Dopo ciò poterono prendere possesso di quanto era già stato per loro apprestato.
Sappiamo anche che il denaro occorrente per le prime spese, ammontate a 490 ducati larghi e a 970 ducati comuni, era stato anticipato dalla celebre ditta bancaria dei fratelli Fugger.
Burcardo nulla ci dice riguardo alla divisa di questi primi 150 svizzeri senza dubbio perché essa in nulla si distingueva dal costume in vigore a quel tempo né c'era allora tra vestimento civile e militare una differenza regolamentare.
Il Colonnello Luigi Hirshbuhl, Comandante della Guardia Svizzera, 1928
Ma per la guardia svizzera molti ripetono la vecchia storiella che il costume lo avrebbe suggerito Michelangelo in un momento di esaltazione estrosa o di ironica malignità. Secondo altri il disegno sarebbe stato dato dal divino Raffaello, il quale poi sarebbe proprio l'inventore della caratteristica manica larga a sbuffi. In questo ha forse contribuito il vivo ricordo del gruppo di cinque guardie svizzere nel Miracolo di Bolsena; ma non si può trarre la conseguenza che quel costume, caduto in disuso nella prima metà dei 500 sia proprio da credersi una sua invenzione.
Del resto con l'attribuire ai più grandi artisti la concezione di un costume particolarmente felice nelle sue linee e nel colore, si veniva a proclamare che una tale opera apparteneva alla fioritura artistica del migliore rinascimento.
In verità - come ha benissimo dimostrato il Colonnello Repond nel recente e splendido volume: "Le costume de la garde suisse" - il primo documento iconografico che noi possediamo sull'argomento, è una miniatura che orna un poema manoscritto del poeta Michael Nagonius raffigurante il ritorno trionfale a Roma di Giulio II il 28 marzo 1507 dopo la spedizione di Bologna. Nella scorta si scorgono de' prigionieri e alcune guardie pontificie, tra cui il capitano Gaspard de Silenen riconoscibile dalla catena d'oro e dal bastone, emblemi del comando insigne.
Giulio nel suo amore e nella sua stima per gli svizzeri non si accontentò solamente della guardia del corpo. Egli ottenne anche truppe di combattimento mercè l'opera del bellicoso vescovo di Sion, Matteo Schinner, cui diede poi la porpora; e a meglio mostrare l'animo suo grato, nel I512, inviava alla confederazione lo stocco e l'elmo, onori riserbati ai principi. E agli svizzeri stessi accordò il titolo ambito di defensores libertatis Ecclesiae.
Ma una lode così alta doveva suscitare ire e invidia. Ne troviamo un'eco clamorosa e cattiva nel famoso libro dei Nuptiali di Marcantonio Altieri. Certo la spiccata predilezione di Giulio II verso le milizie straniere e la conseguente esclusione dei romani dalla «guardia di palazzo solito fra gli altri custodirsi per la maggior parte da gli Romani meritevoli » spiegano anche nella loro ingiusta veemenza le crucciose parole dell'uomo che si sente offeso nella suscettibilità stessa della stirpe: «senza ragione ne cavaste li Romani e... che ci metteste? Ii svizari, homini Barbari, homini senza fede; havidi et alieni d'ogni humanità, e nemici capitali di Roma e del nome Italiano.»
 
...
 
Con Giulio II comincia dunque la storia della guardia svizzera: Leone X nel 1514 confermava la Pretoriam cohortem, ma essa doveva assurgere a una grande importanza morale sotto il terzo comandante e cioè sotto Gaspard Roust. Premettiamo che una fortuita circostanza e cioè un affresco votivo raffigurante la crocifissione ed esistente nel Campo Santo Teutonico ( giusta l'interpretazione fatta nel 1908 da Robert Durrer) ci ha conservato il suo ritratto e la sagoma della sua armatura.
Con Gaspard Roust noi entriamo di colpo in una delle pagine più sanguinose e delle scene più drammatiche della storia di Roma Papale.
Come è stato con giusto sentimento di riconoscenza ricordato in questi ultimi tempi, il 6 maggio 1527 all'inizio dello sciagurato sacco di Roma, la guardia svizzera si sacrificò totalmente nel difendere l'accesso del Vaticano. Dell'intero corpo, solo quarantadue uomini (che erano di servizio quel giorno lì nel palazzo apostolico) sfuggirono al massacro seguendo il papa in Castel S. Angelo.
Dopo l'eccidio di tutti i soldati di guardia, mentre per il corridoio il papa si metteva al sicuro, gli svizzeri ancora resistevano, difendendo S. Pietro. Alla loro testa era il capitano Roust di Zurigo. Le orde non rispettarono il luogo santo; feroce si riaccese la mischia. Tutti caddero fino all'ultimo e con essi la consorte del Roust, mutilata prima delle braccia, poi uccisa sul cadavere del marito...
Il 7 giugno Clemente VII capitolava e sostituiva la sua guardia svizzera con 200 lanzichinecchi che cominciavano a essere i suoi carcerieri.
Passata la terribile bufera del Sacco, Clemente VII fu più volte sollecitato dai romani a ricostituire la fedele guardia: anzi essi offrirono di contribuire alla spesa dell'ingaggio.
Ma il papa Mediceo trasse la cosa in lungo, senza mai effettuarla e in realtà i maneggi di Carlo V si opponevano al ritorno degli svizzeri a Roma.
La situazione doveva mutare col successore di papa Clemente.
Nel 1542, prima ancora di averla rotta con l'imperatore, Paolo III, riprendeva al suo servizio 600 confederati e li ripartiva ugualmente tra Roma, Firenze, Bologna e Ancona.
Tali svizzeri non erano però arruolati che per tre anni e quindi non si trattò di un vero e proprio ripristino della guardia del papa.
La ricostituzione veniva però decretata da Paolo III il 3 febbraio 1548 con un effettivo di 225 uomini in un momento di tensione assai inquietante delle relazioni tra il papa e Carlo V.
La Guardia al Portone di Br

La Guardia al Portone di Bronzo

onzo
 
ATTRAVERSO I SECOLI
 
Nel 1555 Marcello II, appena eletto, voleva licenziare la guardia svizzera, per lo specioso argomento che il papa non aveva bisogno d'armi per sua difesa. Al contrario, nel 1561, tra Pio IV e la guardia svizzera vennero stabiliti i Capitala capitanorum Castodiae Helveticoraum il cui inizio è di questo preciso tenore:
«Il nobile e valoroso signor Cav. Gaspare Sillano, cittadino di Lucerna, odierno capitano del Corpo degli Svizzeri di V. S. e tutto il corpo tota cohors ossia società di duecento e uno, supplicano umilmente che vengano riconfermate le precedenti condizioni».
Il primo articolo parla degli stipendi e del soprassoldo sia nel caso di viaggi di S. S., sia nel caso di guerra; si fa cenno del mantenimento di stipendio durante le malattie e si regola il congedamento, e il vestimento.
Pio V volle affermare la grande importanza che annetteva alla lotta contro la mezzaluna, facendovi partecipare la stessa sua guardia del corpo. Un primo drappello di dodici uomini partì per Cipro e quasi tutti vi morirono da eroi; un altro drappello seguì a Lepanto Marcantonio Colonna e undici ne tornarono partecipando al suo trionfo. E' doveroso ricordare che il loro capo Hans Rolli aveva strappato al nemico due stendardi che vennero portati a Roma e da Roma vennero poi donati all'arsenale di Lucerna ed oggi ancora si conservano nel museo federale di Zurigo.
Sappiamo che Pio V nel 1568 fece edificare presso i quartieri degli svizzeri del Vaticano la chiesa dei loro protettori SS. Martino e Sebastiano.
Sisto V mostrò una particolare benevolenza verso la guardia svizzera. Si legge nelle "Relazioni degli Ambasciatori veneti al Senato", nel rapporto dell'amb. Lorenzo Priuli: « Si trattiene con gli svizzeri, ai quali fa scriver lettere amorevoli dal capitano di quella guardia. Mostra verso di loro ottima volontà...».
E grazie a questo favore pontificio, ci sono conservate molte figurazioni delle guardie svizzere soprattutto negli affreschi della Bibl. Vaticana e così per mezzo di essi, ci è possibile misurare esattamente l'evoluzione compita dal costume della fedele guardia svizzera da Clemente VII a Sisto V, evoluzione felice e tale che dimostra come la corte del papa, sapesse mantenere il gusto squisito creato dalla rinascenza.
Un grande quadro ad olio dovuto probabilmente al pennello di Antonio Tempesta e conservato nel Palazzo Mattei mostra il solenne ingresso che 1'8 maggio 1598 Clemente VIII compì in Ferrara.
Una relazione del tempo ci desume: « veniva N. Sig. vestito pontificalmente col regno in testa... portato sopra una sedia da otto Palafrenieri... Intorno Sua Santità erano altri Palafrenieri, et dalle bande andava la solita guardia degli sguizzeri ».
Anche nel seicento e nel settecento la fedele guardia continuò a godere il favore e le cure dei pontefici: Urbano VIII al lato destro del portone di Bronzo eresse il baluardo tuttora esistente con artiglierie. Su di esso nelle solennità s'inalberava la bandiera della guardia. Inoltre costruì il quartiere e le case per le guardie stesse nell'angolo orientale del palazzo.
Ma questo ampio quartiere fu ristretto da Alessandro VII nel costruire il colonnato. Sotto lo stesso papa, nel giugno 1656, Cristina di Svezia, sdegnata con gli spagnoli che avevano dato aiuto contro il re di Svezia suo fratello, licenziò la loro guardia che teneva al suo servizio e prese dei perugini che fece vestire come gli stessi svizzeri ma con abito, calzoni e calza rossa e nera.
 
Drappello in grande uniforme
Nel 1660 sotto Clemente IX la guardia fu ridotta a 120 individui: sotto Clemente XI risalì a 170.
Assai grazioso è l'episodio che ci riporta un detto arguto di papa Ganganelli .
Nel 1769 dopo la funzione della sua coronazione, Clemente XIV rimarcò d'averla goduta comodamente, laddove nel 1758, per quella del suo immediato predecessore, Clemente XIII, essendo egli allora semplice religioso, si era visto mandare indietro dagli svizzeri.
Di lì a pochi decenni la guardia svizzera era destinata a raffigurare in tutto il susseguirsi degli avvenimenti di Roma pontificia.
Come nel 1527, di fronte alla più grande sciagura del pontificato, essa seppe resistere e morire, così quando giunsero i tempi calamitosi dell'occupazione francese su Roma mostrò coraggiosamente il suo spirito di sacrificio e di fedeltà. Nel 1798 in seguito all' invasione francese e alla prigionia di Pio VI, fu dispersa; venne ricostituita nel 1800 e con le corazze fece buona figura, il 22 novembre 1801, quando Pio VII in solenne corteo andava a S. Giovanni Laterano per prendere possesso. Ciò avvenne sotto la guida di Carlo Pfyffer d'Altishofen di Lucerna, ma in modo un po' ristretto con costo di 55.000 scudi.
Il corpo constò di 64 individui, un capitano, un tenente, 2 aiutanti, 2 sergenti, 3 caporali, un tamburo, un piffero e 52 svizzeri. Dopo nuove sciagure, Pio VII torna nel 1814 e riaffida al colonnello Carlo Pfyffer d'Altishofen l'incarico di ricostituire il corpo.
Più volte nel comando si succedettero di padre in figlio i Pfyffer d'Altishoten, di Lucerna, stirpe di guerrieri che diede alla Francia il celebre colonnello, cui Carlo IX, nell'ardita ritirata su Meaux, fu debitore se potè sfuggire di mano agli Ugonotti.
Leone XII ne consolidò l'assetto nel 1824 con una convenzione col governo di Lucerna per la quale la Guardia fu portata a 200 uomini. Tale convenzione con lievi modificazioni vige tuttora.
Sarebbe cosa non facile ricordare a proposito dei paurosi torbidi svoltisi a Roma nel novembre del 1848 quante volte la guardia Svizzera dovesse prodigarsi in una difesa piena di abnegazione e di pericoli. Giovanni Marfurt e Giacomo Marmatt nel fatale 15 novembre, che vide l'eccidio di Pellegrino Rossi, essendo ti sentinella al Quirinale, corsero serio pericolo di essere fatti a pezzi dalla plebaglia. Il comandante Saverio Meyer di Schauensee per vero miracolo potè essere salvato.
 

 
LA GUARDIA E LE SUE MANSIONI
 
La « Cohors pedestris Helvetiorum a sacra custodia Pontificis » dipende dal Prefetto dei Sacri Palazzi Apostolici e dal Prelato Maggiordomo del Papa.
A preferenza delle altre guardie - dice il Moroni - presta non interrotto servizio sì di notte che di giorno. Si compone di svizzeri scelti e cattolici, comandati dal Capitano. Hanno chiese, quartiere e abitazione al Vaticano e al Quirinale (Questa ultima notizia per i tempi moderni ha bisogno di qualche... limitazione ).
Ma proseguiamo a spigolare nel "Dizionario di erudizione storico ecclesiastica". "Avendo custodia della sacra persona del papa, gli uffiziali hanno luogo nelle sue intime camere e gli altri in alcune di esse, dette perciò "degli Svizzeri". Ad essi è affidata pure la custodia delle porte e di altri luoghi di detti palazzi papali.
La guardia svizzera accompagna a piedi il Papa dalla sala alla porta del palazzo dove risiede, quando esce e quando vi ritorna, l'accompagna alle Cappelle per le feste dell'Annunziata, di S. Filippo, del la Natività, di S. Carlo e per la Coronazione e il Possesso.
La guardia svizzera, interviene anche alle consacrazioni dei vescovi e alle vestizioni di monache che si fanno dai cardinali e ai loro possessi nei titoli, diaconie e protettorie nonché ad alcune solenni feste nelle chiese di Roma, per accrescerne il decoro, pel dignitoso vestiario che indossano e per le antiche armi che usano.
Antica arma degli Svizzeri è, ad esempio , l'alabarda, già propria dei longobardi, detta anche scure danese perché da questo popolo ne passò l'uso nella Scozia, Inghilterra, Francia, Svizzera, e quindi in Italia.
Cortile dell'Elemosineria con il quartiere ed il bettolino
Nel possesso di Pio IX l'8 novembre 1846 il comandante Martino Pfyffer a cavallo in corazza e bracciali di acciaio dorato, con fregi arabescati e dorati, veste a maglie di ferro, ed elmo con pennacchio bianco, attorniato da sei svizzeri in corazza ed elmi di ferro, precedeva il corteggio, mentre quattro guardie svizzere che fiancheggiavano la carrozza papale, portavano le celebri e storiche alabarde della famiglia Borghese, concesse per quella circostanza straordinaria dal principe Don Marcantonio Borghese.
Oltremodo interessante è seguire il contegno della guardia svizzera durante i periodi di" Sede Vacante", che una volta erano brevi e gioconde parentesi di anarchia.
Ancora oggi si prescrive che, quando il Card. Camerlengo ha verificato la morte del Papa, il capitano delle guardie svizzere in nome dei suoi dipendenti rimetta al Cardinale Camerlengo una istanza, con la quale offrono i loro servizi al sacro collegio e ne domandano il corrispettivo compenso. Il Cardinale accetta la domanda e ordina che siano immediatamente pagati del mese che incomincia con quel giorno. Dopo di che, nei tempi passati si aveva il tipico episodio che nel momento in cui il Camerlengo usciva dal Palazzo Apostolico, gli svizzeri ne circondavano la carrozza e preceduti dal tenente al cavallo, l' accompagnavano al suo palazzo e vi montavano la guardia, senza tralasciare per questo la custodia dei Sacri Palazzi.
 

 
L'universale concetto che la guardia svizzera sia una speciale prerogativa del Santo Padre è contraddetto da alcune eccezioni che meritano di essere ricordate.
Fino al pontificato di Pio VI, anche i Cardinali Legati (le legazioni erano le province di Bologna, Ravenna e Ferrara) e i Prelati che avessero il titolo di vice legati, tenevano con loro la guardia svizzera.
Questo si verificava per tutti í domini temporali della Santa Sede e quindi anche per la lontana e storica città di Avignone, che col contado venosino e la città di Carpentras faceva parte integrante dello stato pontificio.
A noi interessa assai più conoscere quel che sotto un tale aspetto riguarda Roma.
Troviamo qui una serie di tradizioni curiose, oggi del tutto dimenticate.
Il Monte di Pietà, per esempio, a maggior sicurezza dei molti oggetti preziosi e dei depositi, tenne per lunghissimo tempo a sua disposizione una piccola scorta di sette guardie svizzere.
Esse erano somministrate dal comandante della guardia svizzera e al pari degli svizzeri del papa usavano l'alabarda e le sciabole. Si distinguevano però nei colori del vestito che era nero e paonazzo.
Per conto suo, anche la Depositeria generale della Camera Apostolica teneva a sua disposizione altre cinque guardie svizzere e una, infine, ne troviamo presso la zecca Pontificia.
In questi tre luoghi gli svizzeri dipendevano, come è logico supporr dai superiori dei rispettivi stabilimenti.

 
LA GUARDIA TRA LA CRITICA E LA SATIRA
 
Una ricerca interessante sarebbe quela di seguire le varie impressioni che della guardia svizzera riportarono i viaggiatori. Stendhal, ad esempio, non si mostrò entusiasta nè della guardia svizzera nè del suo costume. Ecco come racconta la sua visita del 7 marzo 1828 al Vaticano: «...a l'extrémité de la partie ronde de la colonnade à droite, je vis certaines figures grotesques, vêtus de bandes de drap jaune, rouge et bleu; ce sont de braves Suisses, armés de piques et habillés comme on l'était au quinzième siècle» Qualche decennio più tardi, nel 1864 il Taine vede le guardie svizzere alla Sistina e acidamente le trova "bariolés" e "vetus d'un costume opéra".
Ma molto più interessante sarebbe evocare tutte le satire, più o meno felici, che di secolo in secolo sono state composte nei riguardi di una così cara e tradizionale istituzione.
Si può dire che - come, del resto, avviene in ogni umana contingenza - la satira nasce col nascere della Guardia Svizzera. Ne troviamo traccia fin dalla prima metà del 500. Nella sua magnifica opera, il colonnello Repond riproduce una fine incisione del Du Pérac che ci ha conservato l'effigie minuscola, ma netta, della guardia svizzera di Paolo III. Tale stampa rappresenta la Festa di Testaccio e dove essere disegnata mentre era ancor vivo Paolo III. Quindi la data dell'incisione è compresa tra il marzo 1548 in cui la guardia fu ricostituita e il 10 novembre 1549 data della morte di Paolo III.
Non senza malizia, Du Pérac ha messo in evidenza, al primo piano, un alabardiere svizzero che porta ai suoi camerati un bel boccale di vino. Dunque già nel secolo della Rinascenza si amava scherzare a Roma sui vizi nazionali degli svizzeri e su la loro presunta inclinazione al bere.... come se ciò potesse essere una loro strana e perfida prerogativa.
Bernardo Navagero, ambasciatore veneto, nel rapporto che indirizzava nel 1558 al suo governo sugli eccessi commessi durante il pontificato di Paolo IV loda ironicamente gli svizzeri, dopo aver con brutti colori dipinto i mercenari di altra origine: «Di queste genti... la guascona, siccome non si può negare, ch'era agile e pronta alle fazioni, così era tanto insolente contro l'onor delle donne e nel torre la roba di quelli che potevano manco..."
La gente italiana (il che mi dispiace dire perché son pur nato italiano, e vorrei vedere questa provincia padrona del mondo, come è già stata) era tutta intenta a rubare le paghe, servendosi, al tempo delle mostre dei passatori... La gente svizzera, siccome era assai modesta, così era disarmata; l'armi sue erano fiaschi e boccali, ch' ognuno ne portava quattro, e molti sei.....
Anche i poeti non sono stati da meno dei disegnatori e degli storici.
Per non citare che cose ben note, la sguaiata ottava del Tassoni mostra un'acrimonia tutta impastata di livore calunnioso:
"che un ubriaco svizzero paria di quei che con villan modo insolente sogliono, avanti al Papa, il dì di festa rompere a chi le spalle e a chi la testa".
Eppure proprio in quel tempo, in mezzo alla guardia svizzera c'era qualcuno non destituito di capacità, di gentilezza e di cultura. Basta accennare qualche cosa della sua molteplice attività, per sbugiardare l'allegro poeta modenese.
Più fonti storiche ci ricordano con lode il soldato Giovanni Grosso di Lucerna, che più tardi si appellò Giovanni Alto, nome più sonante. Grosso, faceva da guida ai forestieri.
Guida non ordinaria, e lo prova il fatto che nel 1641 egli pubblicò una raccolta delle vedute di Roma col titolo interessante: "Splendore dell'antica e moderna Roma". Roma, nella stamperia di Andrea Fei MDCXLI. Nel frattempo egli era divenuto ufficiale della guardia svizzera e dedicava le sue ore di ozio a riprodurre a colori, di sua mano, degli stemmi stranieri che sono stati riuniti in quattro bei volumi, che costituiscono un tesoro della biblioteca Chigi... "Stemma varie transmontanarum familiarum nobílium elegantissime et munifice miniata." Sulla copertina si legge: « Giovanni Alto, Svizero de Lucerna, uficiale della guardia di N. S.».

 
Riguardo alle dicerie e alle malignità che più volte si ventilarono intorno alla nostra guardia, vogliamo qui riferire un caso curioso.
Nel 1850, dopo il ritorno da Gaeta, di Pio IX il cappello di feltro nero con penne rosse, adottato sotto Gregorio XVI, venne mutato con un elmo a punta.
Fin qui nulla di male: dispiacque però il fatto che gli elmi erano quelli... dell'abolita Guardia Civica, i quali per di più non avevano alcuna analogia col resto dell'uniforme !
E la ragione della curiosa innovazione? «E' che trovandosi inoperosi, in buon numero, presso il cappellaio Antonini al Corso, questi, a cavarne partito, ne propose e riuscì a farne accettare l'acquisto».
Il nome di Gregorio XVI ci riporta spontaneamente al Belli e ai suoi saporosi e frizzanti sonetti romaneschi.
A dire il vero, il Belli non nomina che poche volte, cinque o sei, gli svizzeri, ma si giova qua e là delle loro parole e delle loro figure.
Basta ricordare il verso (vol. I; pagina 16, ed. Morandi).
"Tu me spenni pe'gurde e pe' maiocchi", dove la parola "gurda" significa "scudo" ma è diretta derivazione dal tedesco "gulden", fiorino, e che fu di certo importata dagli Svizzeri della guardia pontificia « quando erano Svizzeri autentici e genuini» come nota malignamente il Morandi.
Una infatti delle voci più malevole e più infondate è sempre stata quella di pensare che gli svizzeri non siano... svizzeri. Anche il notissimo, e volgaruccio , sonetto di Olindo Guerrini termina con la curiosa apostrofe:
"Tu, villano, esser nato in un Cantone; mia cittade star bella e star craziose: so frascatano, so, brutto. "
Ma torniamo - che è molto meglio - al Belli a cui lo Svizzero ha dato lo spunto al sonetto alquanto plebeo, ma interessante riportato dal Morandi al vol. I, pag. 68, nel quale si ricorda anzitutto che Leone XII aveva destinato uno svizzero della sua guardia per ognuna di varie chiese, onde armato di alabarda presiedesse nell'interno al rispetto del culto e al discacciamento de' cani, e fuori impedisse le indecenti soddisfazioni de' bisogni naturali.
Pericoloso sarebbe riportare il titolo del sonetto.
Tralasciamo del pari quel che successe allo screanzato che stava appunto contravvenendo a queste severe disposizioni:
"lì a lo scuro tra Madama Lucrezia e tra san Marco".
D'un colpo lo svizzero vigilante gli è sopra:
"quann'ecchete affiarato com'un farco un sguizzero del Papa duro duro"
I' altro fugge: e lo svizzero l'insegue e lo chiama e a lui si raccomanda
". . . Tartaifel, sor paine pss, nun currete tanto che so stracche..."
Il contravventore seguita a fuggire nonostante che l'ottima guardia gli gridi dietro di fermarsi e di andare con lui a stipulare un'immediata e cordiale conciliazione in qualche simpatica bettola romana:
"che peveremo un pon picchier te vine".
 
OGGI (1928)
 
Nel 1878 Leone XIII fissò l'effettivo del corpo a 123 uomini. Secondo tale disposizione si ebbe un capitano col grado di colonnello, un sottotenente col grado di maggiore, un cappellano col grado di capitano di prima classe -che ha il titolo di monsignore e la dignità di prelato domestico - una guardia mastro segretario capitano, giudice capitano, un tenente capitano, un sergente maggiore col grado di tenente, sette caporali, due sergenti maggiori, due portinai, cento alabardieri e due tamburi.
Il corpo ha la sua banda musicale composta di una ventina di giovanotti dai polmoni di eccezionale gagliardia.
Nella fausta circostanza del giubileo di Leone XIII, il 3 marzo 1903, la guardia svizzera rivestì le armature di ferro, corazze, bracciali ed elmi che non aveva più indossato da trentadue anni, e cioè dalla festa di S. Pietro e Paolo del 1870, ultimo pontificale solenne pubblicamente celebrato da Pio IX.
Sugli elmi vi era il pennacchio in crine rosso piovente dal centro.
Il sergente, sull'uniforme rossa e nera, portava anch'esso la corazza, come gli uomini di truppe e sull'elmo il pennacchio in crine bianco.
Quattro ufficiali, compreso il comandante, indossavano le corazze d'acciaio brunito ed arabescate in oro.
Tal corazze provenivano dai loro antecessori nel corpo delle guardie. Basta ricordare che tra essi il Maggiore Pfyffer portava quella di Martino Pfyffer già comandante della medesima guardia.
Gli elmi, i quali non erano mai in antecedenza portati dagli ufficiali, eccetto che dal comandante nella solenne cavalcata del "Possesso" erano stati fatti nuovi su disegno di quello esistente presso la famiglia Pfyffer ed appartenuto a Martin Pfyffer d'Altishofen: dalla parte bassa dell'elmo sorge una penna rossa che giunge fino alla parte più alta dello stesso. Il comandante l'ha bianca. Si ripristinò in quella circostanza anche l'uso che quando il papa va in sedia gestatoria ovvero sul "talamo" per le processioni del Corpus Domini, sia preceduto dal capitano e dagli ufficiali delle guardie svizzere, lateralmente da 6 sottufficiali che sulle spalle dovessero sostenere gli spadoni, due dei quali hanno la forma serpeggiante. Questi sottufficiali rappresentano i Cantoni svizzeri cattolici che si segnalarono nella difesa della S. Sede.
Nel volgere dei secoli l'uniforme e specialmente il copricapo, aveva subìto varie modificazioni. Durante il pontificato di Gregorio XVI gli svizzeri avevano un cappello alla Guglielmo Tell, di gusto molto discutibile, nei primordi del pontificato di Pio IX riebbero l'elmo, ma un elmetto moderno, poco confacente con lo stile dell'uniforme.
Ma nel 1908, per iniziativa di società cattoliche della Germania, che ne fecero dono al Papa, vennero rimessi in onore per l'uniforme di parata, gli antichi elmi del cinquecento, di bellissimo effetto, con le magnifiche corazze di acciaio, (le quali erano state abbandonate da oltre un secolo) rabescate e damascate, che cingono sino ai fianchi tutto il corpo del soldato. Tale ritorno all'antico riuscì perfettamente intonato all'ambiente grandioso del Vaticano, dove tutto è tradizione.
I giornali cittadini riportavano appunto in data 22 novembre 1908: "Ieri il picchetto di guardia degli svizzeri al portone di bronzo del palazzo vaticano, era formato di militi aventi il nuovo copricapo sull'antico modello disegnato da Michelangelo. Tanto questo picchetto, quanto l'altro al portone di via delle Fondamenta sono sempre armati di alabarde.
La sentinella compie il suo ufficio con l'alabarda, lasciando il fucile nella rastrelliera, non essendo il fucile consono con la ripristinata antica uniforme.»
Ma è ora - dopo questa parte ufficiale - di avvicinarsi di più a questi ottimi figli della generosa Elvezia e di domandare loro come sappiano passare le ore e i giorni sotto il bel cielo di Roma.
Non mancano fra i "Gardisten" quelli che abbiano dieci, quindici ed anche venti anni di servizio, ma la maggior parte sono di età fra i venti e i trenta.
Fior di gioventù, vengono tutti dai cantoni della Svizzera e sono tutti di buona famiglia. E' molto comune la tradizione di approfittare del soggiorno di Roma per perfezionare la propria cultura.
Più di un magistrato, più d'un avvocato e più d'un professore e di un'artista svizzero, ha vestito per un periodo più o meno lungo la pittoresca uniforme a strisce rosso nere gialle.
La guardia Svizzera abita nel quartiere che si allarga sotto il torrione di Martino V, lungo il colonnato berniniano, dietro al tratto del muro che giunge sino di fronte alla chiesa di S. Anna. Gli ufficiali e il cappellano dimorano in appartamenti speciali.
C'è l'armeria, con un centinaio di "Mauser" ed altrettante alabarde, più un'ottantina di corazze di acciaio, le quali per la prima volta dopo il 1870 tornarono a far mostra di gala in S. Pietro nel marzo del 1903 pel giubileo pontificale di Leone XIII.
C'è la sala di lettura con una quantità notevole di testi cattolici svizzeri.
Un accenno speciale merita il simpatico "bettolino", giustamente ricordato in qualche fine descrizione letteraria. E' un mondo a parte, che bisogna conoscere e dove con qualche riserva, si può essere ammessi.
Sono tre stanzoni: alle pareti si osservano tra l'altro due grandi quadri rappresentanti la cappella di Guglielmo Tell sul lago dei Quattro Cantoni e il Leone di Lucerna del Thorwaldsen.
Naturalmente la cucina è tedesca, ma riguardo a bevande, il vino è in assoluta prevalenza italiano anzi dei Castelli!
La guardia, come è ben naturale, non manca di una propria cappella. Essa, come abbiam detto, si trova quasi a ridosso del contrafforte del palazzo, tra questo e il colonnato berniniano, nel tratto compreso tra il portone dell'Elemosineria e il Portone di bronzo. Dopo il 1870 lo separa dal colonnato un grosso muro, alto oltre due metri.
La cappella è di linee architettoniche assai semplici. Sull'altar maggiore è un bell'affresco attribuito al Maratta (alquanto però deteriorato) raffigurante l'Annunciazione; ai lati sono altri due affreschi, San Sebastiano e San Martino, i due santi soldati.
Ma, sia pure con fuggevole accenno, è doveroso accennare alla storica chiesa di S. Pellegrino presso l'antica Porta Viridaria (ora nel territorio vaticano dietro la chiesa di S. Anna) che ceduta dal Capitolo di S. Pietro nel 1656, fu per due secoli la chiesa nazionale degli svizzeri.
In essa e nel piccolo cimitero contiguo sussistono importanti iscrizioni storiche.
La guardia non manca nemmeno di una propria bandiera; che è un drappo assai ampio, con cinque bande alternantesi orizzontalmente, azzurre, rosse, gialle, con lo stemma del Pontefice regnante, quello di Giulio e nel mezzo, l'arme del colonnello comandante.
 
 
Il 22 gennaio 1906 la Guardia celebrò con gran pompa il quarto centenario della propria fondazione, il 20 ottobre 1927 nel cortile delI'Elemosineria apostolica è stato inaugurato il monumento, opera dello scultore Zimmerman, zurighese, che ricorda l'eroico sacrificio dell'alba triste del maggio 1527.
Date eloquenti, che ricordano nella loro sublime semplicità come la fedele Guardia Svizzera sia collegata strettamente a tutti gli avvenimenti tristi o lieti che da quattro secoli accompagnano la storia varia e complessa del Papato. In questo è il più alto elogio di "cette petite troupe d'élite".
Piccolo esercito, eppure, come giustamente si è espresso uno scrittore straniero, è da credere che non esista al mondo un altro corpo militare che goda una popolarità talmente estesa. In realtà la sua uniforme arcaica, dai colori vistosi, getta una nota pittoresca e squisitamente caratteristica nei solenni cortei e nelle sontuose cerimonie papali.