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da nuovo Sound- annoVIII°- n.2- Aprile 1981

Gino Paoli

 Io, l'artista

NELL'INTERVISTA CHE SEGUE ESPRESSIONI DI QUESTO TIPO, AL LIMITE DELLA PRESUNZIONE, NE TROVERETE DIVERSE. EPPURE NON LEGGERETE NULLA CHE POSSIATE RITENERE INDISPONENTE: VI ACCORGERETE CHE L'ARROGANZA, QUANDO É CONSAPEVOLEZZA DI CIÓ CHE SI VALE, È UNA COSA ACCETTABILISSIMA. LA PENSAVA COSI' ANCHE PIERO CIAMPI, RECENTEMENTE 'RILETTO' DA PAOLI.
Intervista di Nicola Sisto

"Piero Ciampi scrive le sue canzoni sulle tovaglie di carta. Alcune, ne sono sicuro, si perdono insieme alle molliche e ai cerchi rossi lasciati dal bicchiere. Altre, invece, quelle che si salvano, te le racconta a tavola, o quando ti capita di dargli un passaggio. Altre ancora, infine, le registra su un disco". Queste parole di Francesco De Gregori sono forse la cosa più bella che mi è capitato di leggere su Piero Ciampi dopo la sua morte avvenuta ormai un anno fa. Più belle per due motivi: il primo è che essendo state scritte molto tempo prima di questo tragico evento sono totalmente estranee a qualsiasi accenno retorico che possa competere ad una commemorazione; il secondo è che appartenendo ad un non contemporaneo dell'artista livornese esse colgono sinteticamente, ma ugualmente con immensa affettuosità, l'essenza del personaggio al di là delle inevitabili difficoltà incontrate da chi ha dovuto necessariamente premettere un 'c'ero anch'io' nel momento in cui si è accinto a scrivere o parlare di Ciampi. In queste poche righe c'è dunque tutta la casualità di una espressione che più che l'essere figlia della poesia (troppo spesso si è, sbrigativamente, pensato a Ciampi come ad un poeta; De Gregori parla giustamente di 'canzoni' e non di poesie) è piuttosto vicina al confine di una prosa direttamente scaturita da un susseguirsi di pensieri a cui è difficile dare un ordine se non con il parametro di una vita combattuta contro la vita stessa, sempre così avversa. E poi, in queste righe, c'è il vino: la droga povera ma giusta attraverso la quale Ciampi raggiungeva uno stato di costante lucida alterazione che gli consentiva di dare musicalità al suo torrente di parole, al suo pensare ad alta voce; e più rosso scorreva tanto più il suono scivolava e si modulava seguendo quel pentagramma sui generis, che poteva forse indisporre ma non certamente lasciare indifferenti. Ma come è spesso nel destino degli outsider, la loro voce si libera sulle ali di una fama e di un riconoscimento postumi: più che normale quindi che un altro di quei meravigliosi ragazzi del '60, Gino Paoli, interpretando oggi undici canzoni di Ciampi in un album intitolato 'Ha tutte le carte in regola', lasci oltrechè una testimonianza d'amore per questo scontroso amico un prezioso obolo per la costruzione del monumento artistico di Ciampi, opera da pochi conosciuta nel suo splendore, prossima, speriamo, ad essere svelata ai più.

Naturalmente non potevamo fare a meno di incontrare Paoli per questo nuovo appuntamento discografico, anche se accade praticamente sempre, nel pariare con Gino il motivo per cui ci si vede diventa subito il pretesto per allargare una conversazione che si fa inevitabilmente interessante tanto da farti rimpiangere di avere così poche occasioni per poterti sedere a tavola e chiacchierare con lui. Questo perchè non c'è argomento dove Paoli non abbia da dire la sua, e, potete scommetterci, sarà sempre una 'sua' molto particolare dettata da quello strano miscuglio di saggezza fatto di 'sapere' vero e proprio e di filosofia esistenzialmente combattuta tra enorme amore per la vita ed accettazione non traumatica della morte. Salvo poi il considerare che spesso i 'saggi' non sono quei personaggi che pontificano con composta serietà ma che esprimono i loro giudizi incazzandosi, ridendo, bestemmiando, sparando a zero (i bersagli, per Gino, sono spesso gli attuali rappresentanti della 'canzone italiana') quando è necessario: espressioni di un uomo vivo, del Gino Paoli degli '80, presente e attento alla sua epoca, e non certamente di un depositario dei ricordi e nostalgie di una generazione. Gino Paoli o del trionfo dell'intelligenza: questa volta ad assistervi eravamo in pochi e tutti con un bicchiere di vino in mano.

Non credo si possa fare a meno di iniziare questa intervista col parlare di Ciampi. Il problema è che non possiamo parlare soltanto di questo e, come sappiamo, su questo grande artista potremmo riempire decine di pagine. Quindi ti chiedo: Ciampi in un episodio della sua vita.

"Mi chiedi una cosa veramente difficile, perchè credo sinceramente che gli episodi che si possano raccontare su un giornale siano veramenti pochi! Scherzi a parte, amo raccontare questo. Piero nel 1960 aveva una moglie irlandese da cui aveva avuto due figli. Un bel giorno questa qui si è stufata e dopo avergliene dette, naturalmente in irlandese, di tutti i colori, l'ha abbandonato se n'è andata via. La cosa sembrava lì per lì non avere scosso minimamente Piero: per due o tre anni ha continuato più o meno tranquillamente a fare la sua vita senza avere la più pallida idea di dove fosse fnita questa donna. Poi una bella mattina si è svegliato e ha detto, categorico: 'Vado a cercare mia moglie' . Ma dove? Gli chiesi. 'Non lo so, ma non importa. Io vado a cercare mia moglie' Naturalmente non l'ha mai trovata. Ecco, Piero era fatto anche cosi"

Senti Gino, quali sono le affinità umane fra te e un personaggio come Piero?

"Che siamo due grossi artisti e... qui mi fermerei. Si, perchè tra artisti non e necessario, quando ci si scambiano delle cose, che esistano grosse affnità. Prendi Brel, io ho interpretato delle sue canzoni, eppure la sua misoginia, la sua concezione disperata, dolorosa del rapporto con una donna era un fatto che non mi apparteneva affatto. Eppure il suo essere artista me l'ha fatta capire pur non sapendo minimamente di cosa lui stesse parlando, mi ha dato alla fne qualcosa. Cosi per Ciampi: moltissimo di lui mi è estraneo, ma lui da artista mi ha parlato nel modo giusto perchè io, artista, lo recepissi. La differenza è proprio tutta qui: perchè due' persone 'normali' si capiscano è necessario sappiano entrambi di cosa stanno parlando, per due artisti questa condizione non è indispensabile ".

Rimaniamo ancora per un attimo sull'argomento. Tu e noi tutti sappiamo come Ciampi negli ultimi tempi si trovasse in una situazione di indigenza economica e di prostrazione mentale oltrechè naturalmente fisica. Non credi che se tu avessi inciso questo album diciamo un paio di anni fa lo avresti aiutato concretamente? Sotto questo profilo non è difficile nè maligno vedere questo lavoro come una tipica commemorazione, come un 'coccodrillo' in fondo inutile. Onestamente, cosa ne pensi?

"Innanzi tutto che questa operazione non è una commemorazione avendola già in mente da oltre due anni; il fatto di non averla realizzata prima è dovuto poi proprio al fatto che non lo avrei assolutamente aiutato dal momento che fare io un intero album di canzoni sue sarebbe staío togliergli una palla che gli spettava da vent'anni e che purtroppo non ha mai raccolto. Io ho cantato spesso sue canzoni, in tutte le mie interviste ho parlato di lui come una di quelle persone che mi dispiaceva non fossero mai uscite fuori. Ma incidere un disco di sole cose sue avrebbe portato a delle considerazioni da parte del pubblico del tipo "senti come sono belle le canzoni di Ciampi cantate da Paoli, peccato che fatte da lui siano cosi brutte" e così via, e questo non gli sarebbe stato certamente di aiuto. Oggi questo disco ha invece il sapore di un rendergli giustizia, di dire con giusta arroganza: "in mezzo a tanta mediocrità, a tanti mestieranti, è passato un vero artista e non ve ne siete accorti"".

Veniamo a te, al tuo lavoro, anzi come ami definirlo al tuo mestere. In sette anni tre episodi: 'I semafori rossi non sono Dio', 'Il mio mestiere' e 'Ha tutte le carte in regola'. Di questi soltanto uno, il secondo, porta la tua firma. Dove è finita quell' 'anima' di Paoli che oggi, avendo in mano solo delle tue interpretazioni, stentiamo a ritrovare?

"Mio nonno, vecchio triestino, mi diceva sempre: "quando non hai niente da dire, è meglio che tu stia zitto". lo ho sempre seguito il suo consiglio. Vedi, l'industria discografica ha delle esigenze di continuità, di scadenze, che fn dall'inizio non ho mai assecondato stabilendo subito rapporti molto chiari: io scrivo soltanto quando secondo me quello che sto per dire è abbastanza vicino all'essere straordinario; altrimenti non se ne fa niente. Non mi interessa fare delle cose solo perchè devo vendere, perchè devo rimanere sul mercato. Il successo, le vendite sono degli incidenti per me"

Chiedere aggi ad un tuo vecchio fan, uno cresciuto con 'La gatta' e con 'Il cielo in una stanza' per intenderci, cosa pensa delle tue ultime cose significa vedere spesso un viso atteggiato ad una smorfia di delusione. A chi è arrivato il Paoli de 'Il mio mestiere' e a chi arriverà il Paoli di questo nuovo disco?

"Non certamente ai miei vecchi fans, a quelli che hanno attaccato all' attaccapanni di 'Sapore di sale 'o de "il cielo in una stanza ' un proprio ricordo; tra l'altro non considero un mio fan chi fa o chiede dello squallido revival. A chi francamente non lo so, io non so chi esattamente fossero quelli che per settanta serate hanno riempito i teatri dove io andavo a cantare "il mio mestiere" Non ho mai pensato di scegliere il mio pubblico, di accontentare o scontentare qualcuno, fondamentalmente non me ne frega niente".

I tuoi figli hanno oggi l'età giusta per essere i maggiori acquirenti di dischi, la vera e propria portante del mercato discografico. Cosa ascoltano figli di tanto padre?

"Fortunatamente stanno gradatamente uscendo dal condizionamento che l'industria e i mezzi di comunicazione sistematicamente determinano nei giovani, nei giovanissimi, anzi direi addirittura nei bambini se consideri il fenomeno dei dischi per bambini, delle sigle televisive che vendono milioni di copie. Si sono creati dei punti di riferimento, Cat Stevens e i Rolling Stones per mio fglio Giovanni, Jim Croce per mia figlia Amanda; senza comunque disdegnare, anzi ascoltando volentieri, quello che trovano in casa, da Stanley Clarke a Ornette Coleman tanto per fare un esempio".

E il padre non lo ascoltano?

"Sì, ma credo lo facciano solo per cortesia".

Credi che i tuoi figli abbiano sofferto di una situazione familiare diciamo così, complessa?

"No, credo che non abbiano sofferto affatto. Io ritengo che in situazioni come la mia siano due le cose importanti, quelle che permettono di vivere in modo non traumatico queste realtà: una è l'educazione, non intesa come lo star composti a tavola (per quanto anche questa abbia il suo peso) ma soprattutto l'educazione umana, l'essere educati 'dentro', l'altra è l'amore e non solo quello per i fgli, ma l'amore tra tutte le persone che si trovano ad essere protagonisti di questa situazione 'complessa' come tu la chiami. I miei figli hanno avuto entrambe le cose ".

La donna con cui vivi attualmente ti ha dato da poco un figlio, il tuo terzo. Il fatto di aver avuto un figlio praticamente per ogni generazione o quasi, è un modo di essere presente ad ogni epoca con qualcosa di tuo, la prova più diretta dell'essere vivo?

"Mah, guarda io sono talmente vivo per conto mio che non ho davvero bisogno di avere un fglio per aumentare la mia vitalità. Io sono estremamente vivo per fatti miei, almeno fintantochè sarò disponibile verso il prossimo, e la disponibilità è la mia più grossa chance umana. Il giorno che mi chiuderò in schemi fissi allora non sarò più vivo. Il fatto di avere un figlio adesso è semplicemente la logica conseguenza dell'amare una donna: io ne ho amate tre e infatti ho tre figli. Come fai a stare con una donna, viverci insieme, amarla appunto, e non desiderare un fglio? Il non averlo sarebbe illogico, innaturale soprattutto ".

Cambiamo argomento e parliamo ad esempio... di rock. Tu che sei passato attraverso il rock'n'roll, il beat, un tuo brano presentato al Cantagiro del '65, 'Rimpiangerai, rimpiangerai', apparteneva proprio a questo genere, il pop dopo, come vedi questo massiccio ritorno al rock e le sue attuali proliferazioni come la new-waye, la ricomparsa dell'hard, dell'heavy-metal, eccetera ? E i suoi rappresentanti italiani?

"Io non credo nei ritorni in genere. Sono sempre delle manipolazioni industriali, ed a maggior ragione lo sono nel caso del rock che è una manifestazione culturale con radici talmente profonde da non poter essere rispolverata (veramente, nella sua essenza) così all'impronta, quando lo si impone. Io ricordo come noi tutti, Bindi, Gaber, Jannacci, fossimo dei rocchettari: vedere un film come 'Il seme della violenza" con quello sconvolgente 'Rock around the clock" di Bill Haley & The Comets non significava appassionarsi soltanto a quella musica, era il trovare finalmente un linguaggio comune, un modo di vestirsi, una fisionomia che fino a quel momento non avevamo posseduto. C'era una ragione storica, allora, adesso non so. Per questo rimango scettico difronte al fenomeno odierno: può esistere 'quel' modo di suonare perchè probabilmente è immortale, non ha senso questo spirito fasullo. Graziani, infatti, uno che stimo molto e che mi piace, suona rock ma ha il 'suo' di spirito, ha la sua dimensione di cantastorie italiano; c'è gente invece come Rettore che non sai come collocarla: sostiene di fare del rock, personalmente la trovo una pretesa assurda nel suo caso. E' un personaggio che mi mette a disagio, la reputo un fenomeno musicale aberrante".

Se oggi scrivessi un capolavoro come 'Senza fine' e decidessi di non cantarlo, a chi lo affideresti?

"Credo che in Italia esista una sola grandissima interprete a cui affiderei sicuramente un mio pezzo: Patty Pravo".

Forse pochi sanno che in un disco del 1964 intitolato 'Gino Paoli allo studio A', una specie di 'salotto' tra i solchi in cui tu invitavi dei tuoi amici per quattro chiacchiere e un po' di musica, presentasti un giovane che da poco avevi convinto a cantare: Lucio Dalla. Credi che il successo, arrivato così tardi, lo abbia cambiato?

"Che vuoi che ti dica, non lo so. Con me no, non è cambiato: ma tra noi c'è un affetto ed una amicizia talmente profondi che sarebbe impossibile non ritrovarsi. Per me è come un fglio, un figlio che non mi ha deluso".

Negli anni '60 Paoli aveva inventato un modo di parlare dell'amore e della coppia destinato a rimanere irripetibile nella sua semplicità, nel suo infantilismo poetico. Ti ascolteremo ancora così?

"Cosi è probabilmente impossibile. Non posso essere lo stesso di venti anni fa. Certo è che tomerò a parlare dell' amore, ma solo se mi troverò nella condizione necessaria per poterne parlare: essere innamorato. Se mi chiamassi Mogol il discorso sarebbe diverso, anzi sarebbe tutta un'altra cosa".

 

Nicola Sisto

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