"Ciao Francesco, come
stai (ecc) quando possiamo vederci per scambiare
quattro chiacchiere?" Dall'altra parte del telefono: "Ci vediamo
come al solito domenica pomeriggio al Folkstudio, va bene?". Dopo
vari tentativi, finalmente riesco a rincontrare Francesco De
Gregori! In realtà ci conosciamo da diversi anni e ci
incontriamo abbastanza spesso, solo che per entrambi, sembrava
strano il doversi vedere per motivi professionali: lui artista ed
io intervistatore cercavamo di evitare il
confronto.
"Sai tutto di me, che cosa vuoi saper di
più?"; gli rispondo che semplicemente mi interessa parlare
un po' del suo ultimo disco, quello che ha appena terminato di
registrare: così cominciamo a chiacchierare, appollaiati
sugli sgabelli del bar del Folkstudio, mentre nella saletta uno
dei giovani canta. Tutte le domeniche pomeriggio c'è un
"happening" di giovani, per lo più cantautori, che
approdano alla pedana del Folkstudio prendendo contatto per la
prima volta con il pubblico: ognuno di essi è seguito da
qualche amico e così la platea è benignamente
predisposta ad accogliere questi nuovi poeti. Si presentano tutti
simili, tematiche ricorrenti stili e musiche vicine a quelle dei
cantautori più impegnati dell'ultimo decennio ( da Dylan a
Cohen, da De André a Gaber, da Venditti a De
Gregori !).
Dopo il Folkstudio, questi giovani
ritornano alle loro esperienze quotidiane, semplicemente
così come sono arrivati: qualcuno diventa popolare, nel
senso che la sua fama supera i confini di Trastevere e di Roma e
che incide un disco, comunque rimane ancorato alla pedana e agli
amici di via Sacchi.
Quelli che vengono per la prima volta,
si rendono conto che Francesco o Antonello sono come Mimmo, Mario,
Giorgio, Giovanna e altri: con loro si parla da pari a pari e il
divismo non esiste per nessun motivo. Anzi, in questo momento io
sono il giornalista e sono io ad essere imbarazzato: vorrei
nascondere il taccuino (mi sento ridicolo), ma devo continuare
perché intorno a noi ci sono amici che ascoltano
incuriositi l'intervista, e sorridono un po' sarcastici
Passa un "nuovo", si dirige verso la pedana per proporre le sue
canzoni. Francesco lo ferma e mi dice: "Perché non
intervisti lui, sarebbe una alternativa valida., son sicuro che le
sue sensazioni e le sue opinioni sono valide almeno quanto le
mie".
Prendo lo spunto per chiedergli se
essere intervistato gli dà fastidio, e se questo è
il motivo per cui l'abbiamo notato un po' in disparte nella
recente apparizione televisiva insieme ai cantautori.
"Credo che sia più sincero
cantare e basta quando ci sono delle limitazioni su quello
che si vuol dire. Non mi presto a costruire il bravo ragazzo che
compone e soffre per la sua incomunicabilità e cose simili,
quando poi la realtà è ben altra. Cerco
semplicemente di non diventare il p ersonaggio voluto dagli altri,
quello atto ad esser meglio consumato dal pubblico".
Continuando, appare chiaro che Francesco
non vuole con questo darsi una controetichetta, ma gli interessa
non creare confusioni sulla sua persona.
"Non sono contro il sistema, sono contro
un "tipo di sistema" , contro strumentalizzazioni che
appiattiscono e riducono; capellone uguale contestazione e
violenza è un esempio tipico (fra tanti) di certe
riduzioni".
Vien fuori pian piano un Francesco vero,
uno che non rifiuta di cantare in una manifestazione politica o in
un Cral, in una delle tipiche belere emiliane o in una rassegna a
San remo.
"E' un'esperienza reale e positiva
ovunque, finchè mi si dà la possibilità di
dire compiutamente le cose che sento".
Cosa sente Francesco in questo momento e
che c'è di diverso da quello conosciuto alcuni anni fa? Lui
cerca sempre di non autodefinirsi, lascia che gli altri colgano le
eventuali novità, comunque infine laconicamente dice:
"Forse sono un po' nuovo, più moderno e meno decadente.
C'è anche una diversità musicale rispetto alle prime
esperienze, ma soprattutto una nuova impostazione nella stesura
dei testi. Sto abbandonando un certo tipo di linguaggio
intellettualistico ed ermeticamente poetico, per cercare di
essere più semplice e immediato".
Francesco mi aveva invitato,
precedentemente, in sala d'incisione, così mi son reso
conto di come le sue canzoni prendano corpo. Gli arrangiamenti
musicali sono i suoi, ma lascia spazio anche agli strumentisti;
oltre agli accompagnatori di studio, sono intervenuti amici come
Schiano (al sassofono) e Della Grotta (al basso).
Due interventi jazzistici nel disco di
De Gregori?
"Principalmente si tratta dell'apporto
di due amici che mi capiscono e poi l'originalità in questo
tipo di musica è relativa ed i suggerimenti validi possono
venire da molti lati differenti".
Chiacchierando, cerco di stuzzicare
Francesco con domande di vario genere, indagando sulle sue
opinioni e valutazioni sui colleghi cantautori italiani e
stranieri; lui cerca di non sbottonarsi, ritiene non si debbano
far confronti e lascia al pubblico le decisioni e le scelte,
comunque "Cohen mi sembra un po' superato, mentre Dylan
è ancora validissimo, nonostante tutto ! In Italia un
grosso esempio da seguire è Lucio Dalla, che ha
un'impostazione efficace ed attuale; c'è anche qualche
giovane interessante, e poi alcune cose da risentire, buone ma
passate".
Avevamo iniziato con la scusa del suo
nuovo disco che dovrebbe uscire a gennaio, e ne riparliamo adesso
alla fine. "Non c'è niente da capire" è il
titolo di una canzone di Francesco, ma è anche il modo con
cui lui imposta se stesso: è tutto talmente semplice ed
evidente, che solo chi non vuol capire ha bisogno di ulteriori
spiegazioni.
Il titolo del nuovo LP sarà
"RIMMEL". "Sì, come il trucco che usano le ragazze,
quello per gli occhi ! Rimmel nel senso di trucco, di
qualcosa di artefatto, ma questo disco è fatto per
vsmascherarli, per mettrli in evidenza. Almeno queste sono le
intenzioni".
Francesco De Gregori comunque va al di
là e cerca di svelare i trucchi e le falsificazioni di
qualsiasi tipo e livello: libero e aperto, si preoccupa
principalmente di essere vero (anche se talvolta questo è
scomodo) per fare in modo che le apparenze siano uguali alla
realtà. Non è un censore, né un fustigatore
di costumi, ma uno che sente quello che canta. Forse non è
un personaggio sul quale costruire delle storie: è uno che,
uscendo dal Folkstudio, ti prende sottobraccio e sorridendo
insiste sul tasto dell' "intervista" "Che cosa vuoi sapere
della mia vita privata, t'interessa conoscere i miei
amori ?".
Logicamente parliamo di queste ed
altre cose, ma l'intervista ormai è terminata il "notes" in
tasca non riesce a prendere certe confidenze e non è
proprio il caso di creare "un personaggio" mentre ci dirigiamo a
bere qualche bicchiere di vino; dopo la bevuta, certe cose si
dimenticano..!