Susanna
Sumàn
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LA PELLE DEL
SERPENTE
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1
- Buongiorno.
- Mi piace alzarmi presto destate,
nellunico momento fresco di silenzio tra il caldo rumoroso
della notte allegra e quello del giorno alla spiaggia.
Lunico momento in cui tutti gli altri si addormentano.
Ubriachi, stanchi o bruciati dal sole, i miei vicini non mi
disturberanno se entrerò nei loro giardini.
- Sono abbastanza grande per fare il
monello, e soprattutto sono una donna, ma mi diverte troppo
introdurmi di nascosto nelle case degli altri; alzarmi piano per
non svegliare mia sorella, che non approva i miei orari; cercare
qualche indumento a caso, con la sola guida di un filo di luce che
Paola non è riuscita a sopprimere con tende sopra le
tendine; attenta al cane che dorme ai piedi del letto... ci metto
dieci minuti abbondanti a lasciare la camera da letto.
- Buongiorno. Me lo ripeto allo specchio
del bagno mentre lacqua scorre, fredda. Immergo il viso nel
cavo delle mani piene e ne godo.
- Ho ancora in bocca il sapore del
dentifricio e sto addentando un limone del signor Di Loreto.
Potevo mettermi una maglietta più pesante, accidenti. Ma
camminando passerà il freddo e il tempo, vero Pluto?
Dividiamoci la colazione da buoni amici.
- Certe volte i miei ventidue anni mi
sembrano troppi: non me li merito, se è ancora questo
lunico mondo che mi soddisfa, che vivo quando riesco ad
essere sola con le cose.
- Deve esserci qualche errore,
allanagrafe, a casa mia, che ne so. Forse mi hanno confusa
con Paola; tutti credono che sia lei la più grande. E
così brava, calma e tranquilla anche nei tratti del viso,
matura nel modo di vivere come nella forma del corpo; una copia di
mia madre, una fotografia. Potrebbe essere nata da lei
così, senza padre, dal momento che non porta addosso tracce
di altri se non di lei. Si specchiano perciò luna
dallaltra, si amano, si comprendono, si copiano dalla "r"
francese alla pettinatura, si vestono con lo stesso guardaroba
senza essere ridicole, data la sobrietà della loro
eleganza, forse più adatta alla madre che alla
figlia.
- Ma mia sorella ha rinunciato
alladolescenza dal giorno in cui ha trovato una strada da
seguire: seguire mia madre. Ma sarà proprio mia madre? Ho
molti dubbi in proposito. Tanto le somiglia Paola, tanto poco io.
Anzi, per niente.
- Mi ricordo che una volta, commentando
una fotografia in cui appariva la famiglia al completo, una
"simpatica" amica di Paola domandò chi fosse quella
contadinella dallespressione così seccata seduta
allombra delle due radiose matrone; che in effetti erano
molto belle, elegantemente simmetriche su un divanetto da
giardino, i capelli neri, che allora portavano lunghi, raccolti in
una morbida identica coda sotto la nuca, la stessa linea sciolta
degli abiti per ridurre un po la figura, che i grandi sarti
volevano minuta e asciutta.
- Mio padre, poi, non mi aiutava ad
entrare nel gruppo. Quel poco che potevo somigliargli era nascosto
dai baffi grigi da generale e dal taglio austero del
vestito.
- Io dunque restavo un particolare
paesistico nella posizione (seduta sullerba)
nellespressione (una smorfia di disgusto chiaramente diretta
la fotografo) e nellabbigliamento, se così si possono
chiamare i pantaloncini di velluto a coste lunghi fino al
ginocchio e la maglietta di cotonaccio. Il tutto, naturalmente, su
piedi nudi esperti di terra e di sassi.
- "Un maschio mancato", dice mio padre,
non senza un lampo di orgoglio e di delusione negli occhi e nella
voce. Ma mi vede troppo poco per conoscermi a fondo.
- Non mi sarebbe piaciuto proprio nascere
maschio. I ragazzi che conosco hanno una dose tripla di
stupidità delle donne, hanno il carattere più
debole, e per la maggior parte i miei coetanei sguazzano in una
superficialità insopportabile.
- Il bello di essere donna, o comunque
femmina, è quello di cercare quello mio, quello più
forte di me. E non potrò dire di essere "donna"
finché non lavrò trovato. Perciò
continuo a rubare i fiori della vecchia odiosa signorina
Immacolata che di senza macchia ha solo il nome.
- Mastico una rosa favolosa, piena,
profumata, di un rosso intenso; ora é vuota e
spennacchiata. Mi piace il sapore dei petali di rosa, fin da
piccola razziavo nel giardino di casa. Ora i miei confini si sono
allargati, soprattutto grazie alla complicità del cane
della signorina, che mi ama quanto il panino col salame che
accompagna la mia visita allalba.
- Ciao, cane! Zitto per carità o
rovinerai tutto. Mi capisce sempre, ma più che altro mi
obbedisce. E questo in fondo non mi diverte, al di fuori
dellutilità che mi porta tenendo la bocca chiusa.
Direi che lobbedienza incondizionata come quella dei cani mi
dà un po fastidio. La trovo dappertutto: mio padre
obbedisce a mia madre, mia madre a mia sorella e viceversa, e
tutti quanti, anche se non sembra, obbediscono a me.
- E pazza, dicono, è
così strana; e come se fossi una malata irrecuperabile mi
fanno fare ciò che voglio. Dopo una ventina di anni di
questa libertà devo risolvere almeno una questione: o sono
una specie di genio incompreso ed è quindi giusto che mi
obbediscano per istinto come succede sempre con i grandi
condottieri oppure sono una povera infelice, come dicono loro, e
mi danno la libertà perché non hanno voglia di
combattere con la mia insulsa testardaggine.
- Dovrei risolverla, ma questo è
lunico punto su cui si concentra e prolifica la mia
pigrizia. Mi piacciono i gatti, alcuni caratteri felini mi
esaltano. Questo gattone spelacchiato, con le orecchie mozze e il
naso graffiato, per esempio, mi fa interrompere la passeggiata
perché mi guarda così, con una apparente
indifferenza che nasconde un diffidente interesse per ogni mio
gesto che studia con gli occhi fissi nei miei,dallalto di un
pilastro. Lo provoco, lo chiamo, lo invito. Mi disprezza. Insisto.
Mi odia. Mi volto e me ne vado, con un potente chisenefrega tra i
denti, ma non faccio molti passi, perché il micione viene a
strofinarsi contro le mie gambe ronfando.
- Mi piace, soprattutto perché non
si lascia toccare da me, sconosciuta, ma mi testimonia la sua
simpatia.
- Non è passata ancora nemmeno una
macchina, e la strada sembra meno polverosa del solito. Non sono
ancora le sette e già sento un piacevole calore sulla
pelle. Vale la pena di scendere alla spiaggia: il cielo è
limpidissimo, e prelude ad una splendida giornata.
- Il mare è unaltra delle mie
passioni, ma forse per colpa del carattere un po possessivo
lo amo solo così, nudo e deserto, nelle ore più
impossibili, nella stessa misura in cui lo detesto pieno di barche
o di bagnanti, assistito nel suo spettacolo quotidiano da corpi al
sole e da ombrelloni disgustosamente colorati.
- Da quando ho imparato a disporre da sola
del mio tempo, non ho più visto una spiaggia tra le dieci e
le due, e cercherò di non vederla mai; mi darebbe lo stesso
senso di nausea che penso si provi a incontrare il proprio ex
amante sposato con unaltra.
- Mare mio. Sento la voglia di parlare, ma
parlare da sola, seduta sulla spiaggia, a due passi dal mare, lo
sguardo e il pensiero rivolti verso quellinfinito pieno di
azzurro, che mi risponde con quei sussurri che solo io so capire.
Alzandomi, mi accorgo che la sabbia è umida ancora, ma
mentre mi avvio verso il moletto non sento disagio, bensì
una sottile soddisfazione: anche oggi sono stata la
prima.
- Dondolando le gambe giù
dallultimo sasso del molo, sfioro lacqua con le dita
dei piedi, la faccio schizzare. I granchi mi vedono e si infilano
nei buchi, scivolano veloci tra le fessure. Una piccola onda
obliqua arriva più in alto, e mi bagna le labbra. La lingua
si sazia della goccia salata come se avesse assaggiato le alghe, i
pesci e i sassi del mare.
- Alzo gli occhi. Un lampo di intenso
romanticismo mi scende giù per la gola, nel petto, nel
vedere il sole alzarsi sul mare con giochi di luci colorate,
abbaglianti; ma mi riprendo subito: ho già visto questa
stessa scena in un film, e ci ho riso sopra. Sì, una che
guardava il mare allalba con un volto teso, ispirato,
allargando le narici come se volesse aspirare tutto il profumo di
salsedine e inebriarsene, mentre un centinaio di violini eseguiva
ad altissimo volume il tema del film. E probabilmente, lì
come qui, non mancava lodore pungente del pesce marcio
scartato dai pescherecci o peggio, dato lo scenario del porto,
qualche scarico di fogna.
- Allora canto, con la voce più
afona che ho, la canzone più vecchia che ricordo, e non mi
sento, coperta dallo sciacquio irregolare delle onde sugli
scogli.
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