Nicola Donatelli

MICHELE

 
A quel tempo, prima del cataclisma, tra gli uomini non esistevano né padroni né schiavi. In verità padroni incontrastati della città erano i bambini.
Regnava infatti la convinzione che, essendo iniziati ai misteri della vita, i bambini fossero in armonia con madre natura.
A quel tempo si intraprendeva un’azione per il desiderio, la si proseguiva per il diletto e la si portava a termine per il piacere.
Si assaporava la gioia come il riposo, l’operato esaltante come l’opera compiuta. Il lavoro si rilevò subito segnato dal sigillo della ripugnanza.
Iniziato con la mancanza di consenso si sviluppava nella sofferenza e terminava nel disgusto. Così fu introdotto il giogo.
Tratto dal "VIANDANTE DI MEZZANOTTE"
di Said Behaunin Majrough

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Stava viaggiando sul treno per Roma, il diretto delle 9.10, partito da Cassino con un buon quarto d’ora di ritardo. Nel vagone i passeggeri erano talmente ammassati che più che un treno sembrava un carro bestiame.
Niente male come inizio di giornata, per gente che stava andando a lavorare.
Con un pò di fortuna MIichele aveva trovato posto nel vano bagagli e lì si era accucciato alla bell’e meglio ancora stordito dall’ennesima notte passata insonne a causa di quei maledetti farmaci che prendeva per il morbo di Parkinson, che tra allucinazioni e insonnia gli stavano mandando in frantumi il suo già precario equilibrio psicologico.
 
Il treno fendeva la campagna ancora avvolta nella nebbia dischiudendo un paesaggio che rifletteva nella sua cupezza l’umore grigio della maggior parte dei passeggeri.
Michele stava andando a Roma per vendere tutti i suoi strumenti musicali.
I soldi che sperava di realizzare sarebbero serviti per pagare le rate di un prestito avuto dalla Banca, prestito che aveva richiesto proprio per acquistare quegli stessi strumenti che adesso stava andando a vendere.
 
L’anno prima, infatti, si era rivolto ad una banca per un prestito di 11 milioni, il minimo indispensabile per mettere su uno studiolo di registrazione con cui fare le basi per le proprie canzoni che gli sarebbero servite per gli spettacoli.
Ma la banca non glielo aveva concesso, perché non aveva un reddito dimostrabile e la casa che aveva di sua proprietà non era sufficiente come garanzia.
In quel periodo lavorava saltuariamente facendo piano bar ed era la madre che gli passava un po' di soldi ogni mese per andare avanti, altrimenti non ce l’avrebbe fatta.
Avrebbe potuto chiedere in famiglia una firma che avallasse l’operazione di prestito.
Le rate mensili, essendo modeste non avrebbero rappresentato un problema, le avrebbe potute pagare senza troppi patemi d’animo.
Ma pur di non sentirsi dire dalla madre e dalla sorella che stava per commettere l’ennesima stupidaggine, Michele si rivolse altrove.
 
C'era una ragazza a Marzano, paese in cui Michele viveva, che si era dimostrata sempre un'amica, che in certi momenti in cui il Parkinson gli aveva bloccato le gambe, gli aveva fatto addirittura i servizi di casa e preparato da mangiare, manco fosse la sorella.
Si chiamava Claudia ed aveva una cartoleria, che malgrado fosse dotata di computers ed altri macchinari che le permettevano di offrire una grande quantità di servizi, non riusciva ad andare avanti. In quel periodo, infatti, aveva assoluto bisogno di contanti perché era rimasta indietro nel pagamento dei fornitori.
A garanzia di quella attività traballante Michele aveva deciso di mettere la sua unica casa, avendogli Claudia assicurato di avere moltissimi lavori fatti che non le erano stati ancora pagati e molti lavori che le erano stati commissionati, e che quindi non correva alcun rischio di perdere la sua casa.
Data l'amicizia dimostratagli da Claudia fino a quel momento Michele non aveva avuto motivo di dover dubitare delle sue parole e comunque questa era l'unica possibilità che aveva per riuscire ad ottenere quel prestito, visto che la banca forse avrebbe fatto meno difficoltà ad aiutare un'attività che stava traversando un momento difficile. Ma ora il prestito richiesto non sarebbe stato più di undici milioni, bensì di quaranta e quello che non riusciva a capire Michele era come la banca che non gli aveva concesso un prestito di undici milioni con la sua casa di proprietà a fare da garanzia, adesso ne concedeva quaranta con la garanzia della stessa casa per un'attività che navigava in cattive acque. Misteri bancari!
Comunque sia, riuscirono ad avere questo benedetto prestito. Dei suoi undici milioni Michele ne ebbe solo dieci con la garanzia da parte di Claudia che quanto prima avrebbe avuto l'undicesimo. Lei quindi ne incassò trenta. Tutto andò liscio fino alla seconda rata. Ma dalla terza in poi Claudia non pagò più. E così Michele si venne a trovare con una rata di un milione al mese da pagare, altrimenti la casa gli sarebbe stata pignorata.
Come era stato possibile che Claudia si fosse venuta a trovare in difficoltà così presto! Eppure aveva assicurato che gli dovevano rientrare molti soldi da lavori che non gli erano stati ancora pagati! E non aveva nessun dubbio che glieli avrebbero pagati. Perché se solo ne avesse avuto uno di dubbio, che razza di amica sarebbe stata a fargli correre il rischio di perdere la casa? O forse sin dall'inizio era sempre stata in malafede? E si era approfittata della fiducia e della assoluta ingenuità di Michele?
Che a questo punto più che ingenuità era coglioneria, perché in un mondo come questo l'ingenuità è un lusso, se non addirittura un privilegio.
Comunque la situazione adesso era questa e stare a meditare sulla buona o cattiva fede di Claudia, non gli avrebbe procurato il milione che ogni mese avrebbe dovuto portare alla banca.
 
Quindi, ricapitolando, Michele si trovava su quel treno e stava andando a Roma per vendere gli strumenti musicali alla metà del prezzo che li aveva pagati per far fronte alla rata del prestito che aveva chiesto alla banca per comprare quegli stessi strumenti che adesso stava andando a vendere. Assurdo! Addirittura demenziale.
Ma questa era la costante della sua vita, un classico esempio di coazione a ripetere di una personalità nevrotica come la sua, un'eterna crisalide che ancora una volta stava franando e come il delta di un fiume stava scomparendo in mille rivoli che si perdevano nella sensazione dell'assoluta inutilità della sua vita e della sua evidente incapacità di viverla e affrontarla in maniera meno distruttiva.
La stessa decisione di andarsene da Roma, presa vent'anni prima, non era stata il frutto di una riflessione profonda, ma di un impulso irrefrenabile, com'era tipico della sua natura.
Benché non ne avesse parlato mai, la separazione dalla moglie Carla, avvenuta cinque anni prima, aveva scosso il suo già labile sistema nervoso. Lui non apparteneva al mondo degli equilibrati, era piuttosto un'equilibrista che spesso si trovava a camminare in "the dark side of the street" sul lato buio della strada.

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