
ippocrateios@sopi.it
- G.
PONTI
- **Divisione di Chirurgia
Maxillo-Facciale Ospedale S. Camillo - USL RM 10 - Primario Dott.
P. Bormioli
-
- I
Cheloidi
-
- Il più accurato
intervento di Chirurgia Plastica è, di tanto in tanto,
seguito dall'insuccesso per la formazione di un cheloide. Nel
trattamento chirurgico di pazienti con cheloidi dolenti,
pruriginosi, poco appariscenti, i migliori sforzi del chirurgo
sono in gran parte insufficienti a prevenire la recidiva. Il
problema della insorgenza dei cheloidi ha elementi comuni sia
nello studio della guarigione delle ferite, sia nello studio delle
neoplasie. La sofferenza degli individui colpiti e la fondamentale
importanza dell'argomento, denunciano l'ineguatezza delle nostre
attuali conoscenze.
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- CARATTERISTICHE
DEI CHELOIDI
- Un cheloide è una
normale proliferazione fibrosa, localizzata nel derma e
caratterizzata da sopraelevazione, estensione in senso laterale
nei tessuti circostanti, crescita continuata ad andamento
intermittente, assenza di regressione significativa e profonda
tendenza a recidivare dopo l'ablazione. I sintomi del prurito e
del dolore sono presenti contemporaneamente nella maggior parte
dei casi.
- L'ulcerazione è
più rara; piccole aree di infezione con tramiti fistolosi
drenanti, ponti cutanei e tasche sono alquanto più comuni.
Nel periodo iniziale o durante i periodi di vivace accrescimento,
la lesione tende ad essere rossastra, violacea e tesa, con modesta
vascolarizzazione e piccoli vasi visibili sotto la superfice
epiteliale. In periodi più tardivi e durante i periodi di
quiescenza, il cheloide è meno denso e vascolarizzato, ma
resta sopraelevato e più fisso del tessuto normale. La
lesione ha una spiccata predilezione per la metà superiore
del corpo, con capo, collo, petto, spalle e braccia come
localizzazione comune. In questa area c'è una distribuzione
centripeta: la maggior densità delle lesioni si ha nella
linea mediana, capo, collo e petto.
- La regione sternale è la
sede più comune di cheloidi insorgenti su traumi
sconosciuti non apparenti. Comunque, anche le cicatrici addominali
sono frequentemente sede di insorgenza di cheloidi, specie in sede
ombelicale o pubica.
- In generale, i cheloidi tendono
a crescere lungo, piuttosto che attraverso le linee cutanee,
qualunque sia l'iniziale orientamento della lesione. Nonostante
molti cheloidi siano clinicamente inconfondibili, bisogna
insistere sul fatto che alcune delle loro caratteristiche sono
comuni anche alle cicatrici ipertrofiche. Questa è
sopraelevata, rossastra, tesa, pruriginosa e dolente, e,
all'inizio della sua evoluzione, mostra segni di accrescimento.
Tali cicatrici possono recidivare dopo l'asportazione specie se
quei fattori - come la tensione e la forma - inizialmente
responsabili della eccessiva formazione di tessuto cicatriziale,
non sono stati modificati nella revisione. I segni distintivi del
cheloide, - mancanza di regressione nel tempo, tendenza alla
recidiva, estensione dentro il tessuto normale lateralmente - sono
eventi che si manifestano col tempo, e che una immediata
osservazione clinica non può stabilire.
- E' quindi impossibile,
clinicamente, differenziare una cicatrice ipertrofica da un
cheloide, in tutti i casi.
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- ANATOMIA
PATOLOGICA
- Anatomopat., il cheloide
è una massa di tessuto connettivo denso, malamente
circoscritto, localizzato nel derma. Questa localizzazione dermica
è significativa, in quanto i cheloidi sottomucosi sono rari
o inesistenti. Nella nostra esperienza non ci sono cheloidi
comparsi primitivamente sotto la mucosa, ed i pochi casi riportati
nella letteratura non reggono ad una critica approfondita. Lo
strato di epitelio stratificato sovrastante la lesione dermica,
è appiattito e spesso assottigliato. Gli intrecci della
rete i gomitoli delle papille così come le papille
dermiche, possono essere assenti e le appendici epidermiche sono
ridotte o mancanti. Le fibrille elastiche sono anch'esse, in
genere, assenti. Caratteristica è la presenza di fibre
collagene abnormemente larghe, rigonfie, eosinofile, intrecciate,
di aspetto vetroso, che formano la massa della lesione. Il margine
tra la lesione ed i tessuti circostanti è stato oggetto di
molti studi ed interpretazioni diverse. Qualcuno vide il cheloide
come estendentesi dentro il tessuto normale per espansione e
descrive un margine discreto e formato da tessuto cicatriziale
compresso ma normale. (HEIDINGSFELD 1909). Altre interpretazioni
suggeriscono una progressiva trasformazione della cicatrice
circostante nella caratteristica morfologica del cheloide (SYLVEN
1945). Diversi valori della frequenza e della attività
delle mastzellen attorno al cheloide, sono state presentate
(SYLVEN 1945; ROBINSON & HAMILTON 1953).
- L'esatto punto di origine del
cheloide rimane oscuro. E' stato suggerito che le lesioni si
formano nella avventizia dei vasi e che la estensione ramificante
del cheloide è una conseguenza (UNNA 1896). Il tessuto
connettivo che chorion (LEWIS 1935) e gli involucri delle
ghiandole sudoripare e dei follicoli piliferi sono stati anch'essi
chiamati in causa. Piccoli fasci di fibre collagene anormali sono
state notate nel derma di lesioni cheloidi recenti. (GAULIN &
LATTES 1960).
- La presenza di fibroblasti
nelle sezioni istologiche di routine di un cheloide, è
irrilevante. L'attività mitotica non è marcata nei
cheloidi recenti ed è molto rara nelle lesioni mature.
ANDERSON (1888) e HORTON (1953) hanno descritto il carcinoma
insorgente su cheloide; ma nel primo caso sembra che fosse un
fibrosarcoma indotto, il secondo tumore era un carcinoma a cellule
basali in cute di cheloide irradiato. Un esempio inequivocabile di
trasformazione maligna in cheloidi non irradiati non è
stato ancora dato.
- Storicamente, i cheloidi
vennero descritti per la prima volta da ALIBERT
(1806).
- Egli li denominò
"cancro-simili": "CANCROIDI". Nel 1816 introdusse il nome di
CHELOIDI, riferendosi sia alla estensione della lesione in
"branche", sia alla tendenza a crescere in lateralità nel
tessuto normale, con un movimento simile a quello dei granchi. Nel
1825 egli intitolò il capitolo del suo testo di
Dermatologia: "LES CANCROIDES OU KELOIDES", usando per la prima
volta quest'ultima parola nel significato con cui venne più
tardi usata dagli autori anglosassoni e tedeschi.
- Dato che la descrizione di
Alibert era classica, non venne stabilita nessuna definita
correlazione istologica. Questo problema divenne di una
difficoltà crescente quando si moltiplicarono le
suddivisioni cliniche. Così, venne stabilita una
distinzione tra cheloidi VERI o SPONTANEI, e quelli FALSI o
insorgenti su trauma noto.
- Più tardi ADDISON
descriveva come CHELOIDE VERO la lesione che noi oggi conosciamo
come "scleroderma", e denominò le lesioni di Alibert:
"FALSI CHELOIDI". La confusione aumentò ancora con l'uso di
suddividere le lesioni a seconda della localizzazione anatomica,
l'aspetto fisico e la precisa natura del trauma iniziale. Con
l'andar del tempo, queste distinzioni cliniche sono state rivedute
con ochio critico e lasciate cadere. E' stato riconosciuto che un
trauma iniziale, quantunque minimo, può di norma essere
trovato per ogni cheloide e che i cheloidi di qualsivoglia
eziologia hanno profonde similitudini nel comportamento clinico.
Comunque, i primi tentativi di trovare distinzioni
anatomopatologiche, per adattarle a quelle cliniche, dettero
l'impressione che la difficoltà del patologo, nel
distinguere i cheloidi dalle cicatrici fosse così grande da
precludere il suo ausilio sia per la diagnosi che per la prognosi.
Quest'ultimo punto di vista è completamente contrario alla
nostra esperienza (COSMAN 1960). In una rassegna del nostro
trattamento chirurgico di 340 cheloidi o lesioni così
denominate, clinicamente, noi trovammo una stretta correlazione
tra la diagnosi istologica ed il risultato clinico del
trattamento. Il nostro laboratorio di patologia impiegò il
criterio unitario della presenza delle caratteristiche fibre
collagene slargate, eosinofile, jalino-simili, per la diagnosi di
"cheloide".
- Lesioni così
diagnosticate ebbero una percentuale del 47% di recidive,
comparate con il 17% (di recidive) nelle lesioni per le quali il
patologo aveva diagnosticato: "cicatrice" o "lesione dubbia".
Siamo pertanto addivenuti alla conclusione che l'esame istologico
è il più probante nel risolvere le incertezze
cliniche nella diagnosi e prognosi delle cicatrici ipertrofiche e
dei cheloidi.
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- INCIDENZA
- La mancanza di una conferma an.
patologica che conforti la diagnosi clinica, confonde la maggior
parte degli studi sul problema dei cheloidi. perciò,
l'attuale incidenza dei cheloidi in ogni vasto gruppo di
popolazione, resta indeterminata.
- In esempi della popolazione
svizzera, NAEGLIE (1931) riportò un'incidenza clinica del
4,5% nei bambini, e del 13,3% nell'adulto. Queste curve sembrano
più alte di quanto la nostra esperienza ci suggerisce.
Poiché i cheloidi sono certamente più frequenti nei
negri che nei bianchi, la relativamente asintomatica natura di
molti cheloidi e la ripugnanza della maggior parte degli individui
a perder tempo per cercare un trattamento per problemi minori,
deve essere tenuto presente nella valutazione delle cifre per la
relativa incidenza nelle due razze. Questo rapporto venne fatto da
MATAS, (1896) nella sua monografia, in cui sulla base di 10 casi
di cheloidi in individui ospedalizzati (vedi nota) trovò
una percentuale di 9 negri per ogni bianco. Altri trovarono
percentuali più alte o più basse. Per diversi motivi
che limitano lo studio di queste statistiche, non si può
dare un preciso indirizzo in cifre.
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- EZIOLOGIA
- Molti fattori eziologici sono
stati ritenuti responsabili della insorgenza dei cheloidi. Le
spesse cicatrici che seguono alla guarigione di linfonodi t.b.c.
fistolizzati, ed alle lesioni luetiche, portarono inizialmente ad
una associazione con queste lesioni. Ciò non è
suffragato comunque dalle presenti conoscenze.
- A causa della più alta
incidenza di cheloidi trattati nelle donne ed a causa della
apparente maggior quantità di casi osservati negli anni
immediatamente post-puberali, è stata avanzata l'ipotesi
della possibile influenza di ormoni femminili nella formazione dei
cheloidi. Comunque, è in questo sesso ed in questa
età, che più frequentemente vengono fatti i
trattamenti per cosmetologia. In più, la pratica di forare
l'orecchio, può contribuire nella insorgenza precoce nelle
donne. Nelle nostre serie le lesioni trattate erano
prevalentemente in donne, ma non venne osservata una maggior
incidenza quando veniva notato il tempo di insorgenza della
lesione, piuttosto che quando veniva iniziato il trattamento.
Inoltre, l'età media di insorgenza era intorno ai 22 anni
ed era la stessa nei due sessi. Un alto contenuto in estrogeni nel
tessuto cheloide, non è stato confermato dagli esami di
laboratorio. Né vennero prodotti cheloidi cutanei in
animali di laboratorio trattati con estrogeni ad alto dosaggio.
(VARGAS, 1943). L'influenza ormonale è stata rimarcata da
Jacobsson (1948) e da Davis (1951), i quali, come anche noi, hanno
osservato casi singoli di insorgenza di cheloidi in gravidanza. Lo
stato ipertiroideo è stato imputato per la insorgenza dei
cheloidi da Justus (1919) ma nella nostra casistica non ci pare
possibile sostenere l'ipotesi di tale associazione. Né
esiste una conferma per la teoria di una alterata funzione delle
paratiroidi. Identica mancanza di conferma esiste per la teoria di
Marshall e Rosenthal, secondo cui, accumuli locali o generali di
fluidi di tessuto, risultanti in "ernie del tegumento",
porterebbero al cheloide. Gli stessi Autori. dichiararono anche,
che la causa dei cheloidi fosse l'ispissatio sanguinis. Dello
stesso valore speculativo è la nozione dei coaguli
plasmatici indotti da mucopolisaccaridi e al conseguente stasi
linfatica e vascolare, avanzata da Barnard ed altri (1961). Che
qualcosa nel siero dei portatori di cheloidi acceleri la
formazione di fibroblasti, venne suggerito da Robinson e colleghi.
('52, '53), ma più tardi venne negato anche questo
concetto. Un'eziologia auto immunologica è stata suggerita
da Horn ed altri (1959) ma rimane congetturale.
- La razza e l'eredità
sembrano più importanti nella suscettibilità al
cheloide, che qualunque altro fattore generale conosciuto. Le
vedute di Bohrod (1937) che la selezione sessuale nelle
tribù di negri africani che praticano la scarificazione,
favoriva lo sviluppo della caratteristica razziale a fare una
cicatrizzazione spessa, sono state ampiamente, anche se
tacitamente, accettate nonostante la mancanza di una conferma
etnografica.
- In più, bisogna notare
che polvere e pigmenti vengono regolarmente introdotti dentro
queste ferite-scarificazioni, e la quantità di questi
materiali tende a determinare la massa della cicatrice,la quale
non presenta le caratteristiche ramificazioni del cheloide.
(Lacassagne, Lespinne, 1931). La letteratura dei gruppi familiari
con cheloidi per diverse generazioni, è stata ben
presentata da Bloom (1956). Comunque, pochi dei nostri pazienti
presentano una simile anamnesi, ed in altre vaste casistiche
è stata notata una identica povertà di anamnesi
familiare positiva. Che questo possa esser messo in rapporto con
una mancanza di precisione nel raccogliere l'anamnesi, è
possibile; e che questa influenza ereditaria non sia tanto forte
nei comuni portatori di cheloidi. Ciò che è
certamente vero, è il fatto che alcuni dei nostri casi
più gravi sono stati quelli in cui l'anamnesi familiare era
positiva. I fattori locali sembrano giocare un ruolo importante
nel problema, in quanto molti individui con cheloidi hanno altre
cicatrici, il cui comportamento ed aspetto sono normali. Cosa
siano questi fattori locali, è difficile da stabilire.
Può essere attribuita una certa importanza alla tensione
della ferita, l'orientamento di questa rispetto alle linee
cutanee, la presenza o assenza d'infezione e se vi fu o no una
guarigione per primam.
- Il contributo più
significativo concernente i fattori locali nella formazione dei
cheloidi fu quello di Glucksman (1951). Nella disamina di
cicatrici ipertrofiche e cheloidi, egli trovò speso,
reazioni da corpo estraneo, con peli e materiale cheratinizzato
endogeno. Basandosi su questo, venne suggerita l'idea che la
peluria imprigionata tra i bordi delle ferite, fosse il fattore di
primaria importanza nel determinare la cicatrizzazione ipertrofica
(Mowlen, 1951). La possibilità di distinguere tra cicatrici
e cheloidi, e l'assenza di un controllo clinico a distanza,
indeboliscono queste argomentazioni. Pochi altri hanno notato una
così alta incidenza di reazione da corpo estraneo, mentre
è stata ben dimostrata la lenta scomparsa di elementi del
derma deliberatamente introdotti (sotto l'epitelio) (Thompson,
1960). Di grande interesse è il modo in cui le alterazioni
locali vengono considerate nel recente rapporto di Conway,
Gillette, ecc. (1960): di un "anormale" fibroblasto (riscontrato)
nelle culture di tessuto del cheloide. Se verificata, questa
scoperta renderebbe possibile lo studio dei cheloidi a livello
istologico. Un'altra tecnica recentemente applicata allo studio
del materiale cheloideo è quella della carta cromatografica
(1958). Non è stata notata una marcata differenza tra
cheloide e tessuto connettivo normale, ma è stato osservato
un aumento del contenuto idrico nei cheloidi, e qualche differenza
qualitativa nei peptidi ed aminoacidi. Molto ancora resta da fare
in questo campo di ricerche.
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- RISULTATI
DEL TRATTAMENTO
- Sfortunatamente, lo studio
clinico del problema dei cheloidi e la valutazione della terapia,
sono state handicappate da una sorprendente mancanza di
documentazione per il lungo periodo del decorso di lesioni
trattate e non trattate. La necessità di lunghi periodi di
controllo a distanza è stata dimostrata nel NS materiale,
dalla scoperta di un periodo medio intercorrente tra l'escissione
e la recidiva, di mesi 12, 9. Molti fattori che precedentemente si
pensava influenzassero il risultato dell'escissione, si sono
dimostrati privi d'importanza nella NS esperienza. Inoltre, la
prognosi non varia in modo significativo col variare della
localizzazione, se la diagnosi istologica è stata:
cheloide. La razza del paziente non influenza i risultati della
asportazione. Allo stesso modo è da considerare la sede
della lesione, la sua durata prima dell'intervento e la natura del
trauma iniziale.
- Mentre ciò che era stato
clinicamente denominato "cheloide da ustione" si dimostrò
istologicamente una cicatrice ipertrofica, talora più
spesso di quanto non fosse giusta la diagnosi clinica di lesione
cheloidea, la prognosi di un cheloide indotto dall'ustione non era
migliore di quella di qualunque altra lesione cheloide. Sorprende
anche il fatto che la presenza di un'altra cicatrice, cheloide o
no, in un individuo a cui era stata escissa chirurgicamente una
lesione, non si dimostrasse di alcun aiuto per la prognosi del
risultato dell'escissione. Anche qui, la diagnosi istologica della
lesione asportata, fu il fattore più importante
(significativo). Una percentuale di successi lievemente più
bassa, venne comunque notata, in quegli individui con altri
cheloidi multipli. I pazienti i cui maggiori fastidi erano il
prurito, il dolore o un recente accrescimento della lesione,
presentavano una percentuale di recidive più alta, dei
pazienti senza questi sintomi. La più bassa percentuale di
successi in tutti questi gruppi, non sembra, comunque, tale da
controindicare il tentativo di un trattamento. Questo si
dimostrò giusto anche nella nostra casistica di lesioni
recidivanti. Il reintervento fu seguito all'incirca dalla stessa
percentuale di successo che nelle lesioni mai trattate prima. Il
successo limitato di qualunque terapia era ben conosciuto da
Alibert sia da tutti coloro che hanno trattato i cheloidi dopo (di
lui). La sola ablazione senza trattamento coadiuvante, non ha
avuto particolari sostenitori. La tecnica dell'asportazione e
copertura con innesto è stata favorevolmente sostenuta
(Goldman, 1901-Krieger, 1958) ma i nostri risultati non ci
consentono di sostenere questo metodo come particolarmente
efficace. In più, quelli dei nostri pazienti che vennero
trattati con questo metodo hanno presentato un cheloide nella zona
donatrice, con una incidenza del 46%. I nostri tentativi di usare
la stessa cute del cheloide come innesto per coprire la zona di
asportazione non si sono dimostrati, almeno per ora di particolare
successo ed inoltre, talvolta si sono presentate difficoltà
tecniche. Gli effetti dell'escissione intracheloidea, così
come la richiesta di metodi di speciali suture o della non sutura,
devono essere ancora investigate sistematicamente.
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- METODI DI
TRATTAMENTO
- La combinazione di terapie
usata più diffusamente è: l'asportazione e la
x-terapia post operatoria. Questa è il programma con cui
abbiamo fatto la più gran parte dell'esperienza. De Beurman
e Gougerot (1906), Freund (1913), Wickham e Degrais (1913) furono
i primi a proporre questo metodo. L'uso originale della X-terapia
preparatoria in aggiunta a quella post venne propugnata da Gillies
(1942).
- Nelle nostre statistiche furono
fatte di norma, dosi di 800r, in 4 parti pre e post operatorie,
variando i fattori del kilovoltaggio e filtrazione, benché
un considerevole numero di pazienti non sia stato trattato affatto
con la X terapia. La rassegna dei nostri risultati dimostrò
che la diagnosi istologica era ben più importante della
somministrazione o meno della terapia radiante. Comunque, le
lesioni trattate con l'irradiazione, si comportarono lievemente
meglio di quelle non irradiate. Non è stato dimostrato
alcun vantaggio tra l'associazione dell'irradiazione pre o post
intervento da un alto, e l'irradiazione precoce post intervento
dall'altro. Nella nostra casistica di lesioni irradiate, le nostre
osservazioni suggeriscono che l'irradiazione è molto
più efficace se vien fatta nel periodo delle due settimane
dopo l'intervento. Questo fattore "tempo" è sostenuto da
altri studi; e ci sono indicazioni che alti dosaggi di X terapia
sono necessari se si vuole che il trattamento abbia un significato
(1960). Sono state presentate vaste statistiche in cui sono stati
usati X terapia o radium terapia, sole o combinate. Dal momento
che la diagnosi istologica delle lesioni trattate non era stata
verificata, è difficile asserire i risultati. Dove i
grafici dettagliati sono utili, come nelle serie di Jacobsson
(1948), è fortemente suggestiva l'idea che le lesioni
trattate con successo fossero cicatrici ipertrofiche e no
cheloidi. Le percentuali di successo con queste lesioni che
apparivano essere dei cheloidi, sono strettamente simili a quelle
ottenute da noi così come da molti altri. Bisogna insistere
comunque, che la X terapia combinata a una gran varietà di
altri agenti, ivi inclusi la Vit. E, (Davis 1951) e gli ultra
suoni (Kuitert 1955) sembra capace, almeno temporaneamente, ad
alleviare la sintomatologia del dolore e prurito. Allo stato delle
nostre presenti conoscenze, l'uso della X terapia in questo modo e
con adeguati schemi non possono essere condannate. La terapia
enzimatica con ialuronidasi, sola o associata ad altre sostanze,
è stata in voga per un breve periodo, ma in molte mani si
è dimostrata poco soddisfacente. Altri agenti enzimatici
abbandonati sono stati la fibrinolisina, la pepsina, la bile di
tartaruga e la kutapressina. Di maggior significato teorico
è stata la terapia ormonale locale e sistemica (,), con
l'impiego di ACTH e di derivati adrenosteroidi, introdotte da
Conway e Stark nel 51. Asboe - Hansen (56) riferirono risultati
favorevoli con l'uso di idrocortisone per iniezioni locali, e
l'uso di unguenti sulla ferita aperta e sulla ferita in guarigione
più tardi, venne riferito da Feller nel 1959. Le nostre
esperienze con diverse forme di trattamento locale e generale con
cortisonici non è stata soddisfacente. Comunque, rapporti
come quelli di Whitehill (54) sull'uso profilattico di unguento
all'idrocortisone nelle ferite addominali, e quelli di Mancini,
Stringa e Canepa (1960) suggeriscono che trattamenti molto precoci
o molto prolungati possono essere utili. L'uso di
tetra-idrossichinone (kelly e Pinkus 1958) attende anch'esso un
ulteriore giudizio.
- Per tutti gli studi come questo
comunque, un miglio controllo e un adeguato controllo a distanza
del paziente, con una definitiva diagnosi istologica devono essere
pretesi se si vuole che i risultati abbiano un
significato.
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di medicina e chirurgia
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