PIAGHE DA DECUBITO:
CLASSIFICAZIONE E TRATTAMENTO CHIRURGICO

 

 
Idone F, Neuendorf A.D., Scaglioni M.,Petrucci E., Marchesini A., Valente D., Pangrazi P., Campodonico A., Trono D.
Clinica di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva. Università Politecnica delle Marche. Prof. Aldo Bertani.
 
Le piaghe o ulcere da decubito sono soluzioni di continuo della cute e dei tessuti circostanti, causate dall’ischemia tessutale derivante da una prolungata compressione contro prominenze ossee sottostanti. Esse insorgono frequentemente in soggetti costretti a letto per lunghi periodi di tempo e nei paraplegici; inoltre sono gravate da un alta morbilità e mortalità. Generalmente, circa il 9% di tutti i pazienti ospedalizzati sviluppa piaghe di questo tipo. Il 70%-90% dei pazienti colpiti ha più di 65 anni. In tutti gli studi epidemiologici condotti a riguardo è comunemente citata l’associazione delle piaghe con altri problemi clinici, includendo malattie cardiovascolari, malattie neurologiche e lesioni ortopediche. Spesso il processo morboso primario può far sottovalutare altri problemi e, alle piaghe da decubito è permesso di progredire non diagnosticate per un maggior periodo di tempo. Le aree più frequentemente interessate sono le regioni sacrale, ischiatica, calcaneare, trocanterica, regioni nelle quali la cute ricopre l’osso con assente o scarsa interposizione di tessuto muscolare, per cui può realizzarsi una necrosi ischemica da compressione.
Da un punto di vista eziopatogenetico è possibile suddividere i fattori causali in predisponenti ( generali o locali) e determinanti.
Tra i fattori predisponenti generali possiamo ricordare l’immobilità, l’anemia, la malnutrizione, le patologie neurologiche, le malattie metaboliche, la disidratazione, etc. Quelli locali sono le arteriopatie, la macerazione provocata da eccessiva umidità della cute, le flebopatie, le microangiopatie, l’uso di detergenti inadeguati, gli apparecchi gessati ed i bendaggi stretti, le anestesie prolungate.
Le cause determinanti sono l’esagerata e prolungata pressione dei tessuti molli su prominenze ossee. Se essa supera i 20 mmHg, che è il valore pressorio del tessuto capillare arterioso, si determina un diminuito apporto ematico e un difettoso drenaggio venoso e linfatico. Oltre all’entità della pressione, è determinante la sua durata: un alta pressione per breve tempo causa lo stesso danno di una pressione minore esercitata per più tempo. Sono in oltre determinanti gli sfregamenti eccessivi ed inadeguati della cute e le forze tangenziali durante gli spostamenti repentini, che determinano lesioni tessutali da strappamento ed ipoperfusione da torsione dei vasi. Anche se i sistemi di classificazione più diffusamente utilizzati tendono a mettere insieme i danni da pressione e da taglio esistono sostanziali differenze tra questi due processi di formazione dell’ulcera. Le ferite da taglio possono verificarsi sia nel caso in cui i pazienti sono costretti a lunghi periodi di immobilità a letto, sia in seguito a mobilitazioni inopportune del corpo da parte dei curanti del paziente. Il taglio può causare non solo un abrasione superficiale ma anche danni significativi più profondi. Questo processo causa trazione tra gli strati e può portare ad angolazione, stiramento e lacerazione dei vasi sanguigni con conseguente ulcerazione. Quando lo strato superficiale si ulcera, permette ai batteri di colonizzare la ferita. Una volta infettata è inevitabile che la lesione si approfondisca e tenda a farlo con una velocità aumentata. Al contrario, le piaghe da pressione iniziano nei tessuti più profondi vicino alla protuberanza ossea sottostante. Questo porta quindi ad un ulcera con una forma a cono con l’apice verso la superficie cutanea. Caratteristicamente la cute soprastante rappresenta solo una piccola porzione del tessuto affetto. Utilizzando sistemi di misurazione della pressione interna è stato possibile valutare l’entità del danno dei tessuti che circondano le prominenze ossee, confermando la caratteristica di una base di tessuto largamente coinvolta vicino all’osso che si espande superficialmente ad una zona cutanea con danno minore. Nonostante tutto le ulcere formate da questi due distinti processi richiedono opzioni simili di trattamento e di conseguenza vengono incluse in un'unica classificazione.
 
Classificazione
 
Nella piaga da decubito la necrosi interessa generalmente soltanto la cute e il tessuto sottocutaneo ma talvolta, per l’associazione di processi infettivi e macerativi, può arrivare ad interessare anche l’osso. La classificazione più tradizionalmente in uso è quella secondo N.P.U.A.P. ( National Pressure Ulcer Advisory Panel ) che distingue i decubiti in 4 stadi:
I Stadio: eritema ed edema o iperemia reattiva da più di 24 ore; lieve desquamazione. Il paziente può già lamentare dolore e tensione.
II Stadio: distruzione della cute a tutto spessore, formazione di vesciche e flittene, disepitelizzazione e fessurazione; risposta infiammatoria della cute.
III Stadio: distruzione della cute senza oltrepassare la fascia muscolare, ulcerazione coinvolgente la cute ed i tessuti sottocutanei, escara; estensione della’infiammazione fino alla fascia profonda.
IV Stadio: necrosi, ulcerazione profonda che raggiunge il muscolo e la fascia muscolare, spesso si rende visibile l’osso e le strutture articolari.
Da un punto di vista preventivo è importante identificare i pazienti a rischio di lesioni ed attuare gli opportuni interventi preventivi. Le condizioni cliniche generali devono essere poste in primo piano; in particolar modo va posta attenzione nei confronti di quelle patologie considerate ad alto rischio come la malattia diabetica, metabolica, neurologica, vascolare, obesità e malnutrizione. E’ importante il controllo posturale, l’adozione ed utilizzo di ausili e presidi antidecubito ed eventuale trattamento riabilitativo. Inoltre è opportuno evitare che la cute del paziente sia sottoposta a brusche trazioni, compressioni e sfregamenti e curare l’integrità della cute, prevenendo macerazioni.
 
Trattamento
 
Il trattamento delle piaghe da decubito è una delle sfide più stimolanti nella chirurgia plastica odierna. Sono stati riportati indici di ricadute maggiori del 95%. Per preparare il paziente e la famiglia alla lunga strada che hanno davanti si richiede un approccio ai equipe. E’ essenziale la consultazione con il personale medico nei dipartimenti di medicina interna, neurologia, terapia della nutrizione, di terapia fisica ed occupazionale e psichiatria così come un infermiere specialista nella cure delle ferite.
L’obbiettivo iniziale per evitare ogni ulteriore progressione della piaga è quello di interrompere la pressione che la ha determinata. La guarigione della ferita non si avrà in presenza di ischemia o infezione. Un semplice programma di mobilitazione del paziente ad intervalli permetterà il ricircolo nelle aree affette. Inoltre sono stati ideati vari sistemi di materassi disponibili per rilasciare la pressione la cui finalità è di distribuire più uniformemente il peso per minimizzare la pressione su una superficie cutanea specifica.
Il trattamento terapeutico si divide in generale e locale. Le cure generali prevedono vari accorgimenti, tra i quali: sopperire alle carenze nutrizionali; ottimizzare la funzionalità cardiaca e la circolazione periferica, che in associazione riducono il flusso ematico cutaneo; applicare presidi preventivi; considerare la possibile comparsa di complicanze quali l’infezione locale o sistemica, l’osteomielite, l’artrite settica, il tetano, la trasformazione neoplastica.
Il trattamento locale varia a seconda dello stadio in cui vengono osservate le piaghe. Nello stadio I è utile detergere la zona con soluzione fisiologica o soluzioni antibatteriche diluite. Copertura con medicazioni semiocclusive di idrocolloidi cambiate giornalmente. Negli stadi II e III e IV bisogna accuratamente pulire la lesione, stimolare la ricrescita tessutale e la prevenzione e cura di eventuali infezioni. Fondamentale è la rimozione del materiale necrotico, che impedisce la granulazione tessutale ed è ricettacolo di germi. Eliminata l’escara, si procede all’irrigazione con perossido di idrogeno diluito, seguito dal lavaggio con sola soluzione fisiologica; si applica quindi una medicazione umida al fondo della lesione o in alternativa materiali assorbenti di vario tipo; infine copertura con medicazioni semiocclusive di idrocolloidi che mantengono umidi i tessuti favorendo la granulazione. In caso di esposizione ossea o articolare, bisogna garantirne la vitalità. Pertanto, sono necessarie medicazioni giornaliere inumidite con soluzione fisiologica.
Il trattamento delle ulcere da decubito in fase avanzata può avvalersi delle tecniche chirurgiche ricostruttive. La gestione chirurgica segue tre principi generali: per prima cosa si effettua un currettage dell’ulcera, della sacca e di ogni calcificazione eterotopica, poi si esegue una parziale o completa osteotomia per ridurre la prominenza ossea. Infine si raggiunge la copertura della lesione con tessuto sano che è duraturo e può fornire una adeguata imbottitura sopra la prominenza ossea.
In generale, la toilette chirurgica delle piaghe da pressione deve essere fatta in sala operatoria, dove si può eseguire con una luce adeguata, una buona assistenza e la possibilità di controllare l’emostasi. Tuttavia a volte deve essere fatta a letto e può essere utile, per facilitare pre-operatoriamente la cura locale della lesione, che comporta l’escissione dell’escara o l’apertura di una finestra cutanea per permettere un adeguata esposizione per le medicazioni. Il trattamento chirurgico delle piaghe da pressione inizia, dunque, con lo sbrogliamento dell’ulcera. I pazienti sono messi sul tavolo operatorio nella posizione che dà al chirurgo la migliore esposizione. Il paziente deve essere anche posizionato in modo tale da poter apprezzare il volume totale della ferita quando l’ulcera è detersa.
Talvolta è difficoltoso determinare i veri confini dell’ulcera. Una soluzione diluita di blu metilene e perossido di idrogeno può essere instillata all’inizio per aiutare a definire la cavità e lasciare una guida visibile per l’escissione. In alcuni casi è presente cellulite o altre infezioni adiacenti e la chiusura chirurgica non à fattibile in un unico tempo. In questi casi, è importante che vengono inviati in laboratorio campioni per mirare la terapia antibiotica post-operatoria e per scegliere l’agente topico antimicrobico più efficace. Alla fine dell’intervento, la ferita può essere avvolta con garze bagnate di soluzione salina o di altro agente topico. Le soluzioni di sulfadiazina d’argento, mafenide acetato, Betadine e di Dakin, sono alcuni degli agenti più usati. Indipendentemente dall’agente usato, il bendaggio è rinnovato ogni 6-8 ore ed è la detersione meccanica associata al cambio di bendaggio, tanto quanto la soluzione impiegata, che può essere responsabile della riduzione della carica batterica.
La rimozione della prominenza ossea è parte integrante del trattamento chirurgico delle piaghe da pressione. Tuttavia, è da evitare una osteotomia radicale. L’escissione dell’osso esposto e dell’osso infetto è necessaria per chiudere la ferita, ma escissioni ossee troppo aggressive possono solo portare a problemi aggiuntivi, incluso il sanguinamento abbondante, instabilità scheletrica,e ridistribuzione dei punti di pressione sulle aree adiacenti.
Le ulcere dell’ischio rappresentano un problema singolare: alcuni autori hanno consigliato per queste ulcere la totale ischiotomia. Sebbene la percentuale di ricadute fosse diminuita dal 38% al 3%, essa è anche associata alla formazione di un ulcera dell’ischio controlaterale in almeno 1/3 dei pazienti. Per quanto concerne la copertura delle piaghe da decubito la procedura operatoria scelta deve essere a misura di paziente, così come dell’ulcera. Quando si pianifica la strategia chirurgica, il chirurgo deve considerare non solo l’intervento corrente, ma anche la necessità di procedure chirurgiche successive.
La scelta di lembi cutanei, rispetto ai muscolocutanei, dipende non solo dalla localizzazione, dalla misura e dalla profondità dell’ulcera, ma anche dai precedenti interventi chirurgici.
Dovrebbe essere tentata la chiusura primaria, ma si deve tenere presente che queste ulcere sono deficitarie di tessuto e, se è possibile la chiusura primaria quasi sempre esita uno spazio morto sottocutaneo. Inoltre, i tessuti adiacenti sono speso meno elastici di quello che sarebbe necessario per una chiusura primaria senza tensione.
L’innesto cutaneo nelle piaghe da decubito può essere possibile in caso di ulcerazione superficiale. Tuttavia, questo fornisce una copertura instabile. Si registra solo un 30%di successo con questa tecnica. Perciò, la chiusura della ferita spesso richiede la rotazione di lembi locali cutanei, fasciocutanei o muscolocutanei.
Quando si deve scegliere tra lembi cutanei e muscolocutanei, Mathes ha dimostrato con modelli animali la superiorità teorica del lembo muscolocutaneo nella copertura di ferite infette. I vantaggi dei lembi muscolocutanei per la copertura di piaghe da pressione, sono un ottimo rifornimento ematico, una imbottitura estesa, la capacità di avanzare o ruotare di nuovo per trattare le recidive e l’efficacia provata nel trattamento delle ferite infette. Anche gli svantaggi sono significativi in quanto il muscolo è il tessuto più sensibile alla pressione esterna, può essere atrofico negli anziani e in pazienti con patologie spinali e può comportare una deformità funzionale nei pazienti ambulatoriali.
I vantaggi dei lembi fasciocutanei derivano da un adeguato rifornimento ematico, da una copertura duratura e un potenziale minimo di deformità funzionale, essi inoltre ricostruiscono più fedelmente la normale disposizione anatomica sopra la prominenza ossea. Gli svantaggi includono la dimensione limitata per il trattamento di grosse ulcere.
La ricostruzione da generalmente buoni risultati immediati, che sono però gravati dal rischio di recidiva, soprattutto nei pazienti anziani e mielolesi.

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