TERAPIA MEDICA E CHIRURGICA DEI GRANDI USTIONATI
Idone F, Neuendorf A.D., Scaglioni M.,Petrucci E., Tacconi S., Valente D., Pangrazi P., Campodonico A., Trono D.
Clinica di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva. Università Politecnica delle Marche. Prof. Aldo Bertani.
 
 
Introduzione
La valutazione clinica della gravità e quindi della prognosi di una ustione deve tenere conto di diversi fattori. Prima di porre inizio a qualsiasi manovra terapeutica è opportuno inquadrare il paziente tenendo conto di tutti i parametri che possono influire sulla gravità di un ustione. In primo luogo è fondamentale capire il grado di estensione della superficie ustionata che può essere approssimativamente calcolata con la cosidetta “regola del 9” secondo la quale ogni segmento corporeo corrisponde al 9% della superficie cutanea o ad un multiplo di esso. Pertanto ad un arto superiore corrisponde il 9%, ad un arto inferiore il 18%,al tronco il 36%, al capo il 9%, ed infine ai genitali l’1%. Altro aspetto di non secondaria importanza da valutare risulta essere la profondità delle lesioni. In tal senso queste vengono comunemente suddivise in ustioni di primo grado, se interessano esclusivamente l’epitelio, di secondo grado, nelle quali viene coinvolto a varie profondità il derma, e infine in lesioni di terzo grado cioè della cute a tutto spessore. Nella valutazione delle ripercussioni che il danno locale ha sull’organismo, risulta di grande importanza il fattore età. L’omeostasi del bambino e nell’anziano risulta infatti, in generale molto più fragile che nel paziente di età intermedia. Ne consegue pertanto che un ustione di estensione tale da produrre in un paziente adulto solo danni di tipo locale può scatenare nel bambino o nell’anziano una sintomatologia di tipo generale e quindi un proporzionale aggravamento della prognosi. Infine sarà opportuno considerare l’eventuale presenza di patologie preesistenti o associate con particolare riferimento a malattie sistemiche quali diabete, insufficienza cardiaca, respiratoria, renale etc.
 
Grandi ustionati
Con il termine di grandi ustionati ci si riferisce a pazienti che presentano ustioni di estensione maggiore del 20% della superficie corporea, oppure con una percentuale di lesioni profonde superiore al 10%. Sono altresì inquadrati in questo gruppo ustioni di estensione minore ma che coinvolgono bambini di età inferiore ai 18 mesi o anziani. In tali situazioni i danni di tipo ischemico raggiungono una gravità tale da configurare il quadro della “malattia da ustione”, in altre parole l’ustione cessa di essere un fatto esclusivamente locale e diviene invece un vero e proprio insulto sistemico che coinvolge tutto l’organismo. Il danno termico provoca a livello cutaneo una risposta flogistica sostenuta da amine e polipeptidi vasoattivi che, attraverso la dilatazione dei piccoli vasi e l’aumento della permeabilità capillare, provocano il passaggio di liquidi, di elettroliti, di proteine, dallo spazio intravascolare a quello extracellulare. Diretta conseguenza di ciò è la formazione delle flittene e del cosidetto edema da ustione. E’ importante ricordare che, per ustioni estese, l’aumento della permeabilità capillare non è un fenomeno localizzato solo all’area lesa, ma generalizzato; esso è più marcato nelle prime otto ore e tende progressivamente a ridursi. La perdita di plasma da parte del letto vascolare viene sopportata fino a certi limiti, successivamente si instaura una sindrome francamente ipovolemica che si presenta simile allo shock emorragico.
 
Terapia di urgenza, trattamento sistemico e locale
Di fronte ad un grande ustionato la terapia di urgenza dovrebbe cominciare con una accurata rimozione di tutti gli indumenti, anche quelli di zone non apparentemente interessate dall’ustione. Il soccorso più antico e cioè il lavaggio immediato con acqua fredda ha senz’altro il vantaggio di bloccare il rialzo termico nelle zone interessate e quello di alleviare il dolore. Tuttavia esso risulta utile solo immediatamente ed è sconsigliabile nelle lesioni molto estese poiché può provocare livelli nocivi di ipotermia. Nei casi di interessamento diretto dell’apparato respiratorio o di associazione con traumi cranio-facciali, può rendersi necessaria una rianimazione di tipo respiratorio con eventuale ventilazione assistita. L’ustione estesa comporta la comparsa di shock ipovolemico per perdita di liquidi e squilibrio ellettrolitico e decorre attraverso stati ingravescenti fino a raggiungere, se non trattata tempestivamente, la fase irreversibile. Al momento del ricovero si deve porre diagnosi clinica di sufficienza o insufficienza del circolo basandosi su gli elementi clinici di rapida e facile rilevazione come il colorito della cute e delle mucose, la temperatura delle estremità e la pressione arteriosa. La perdita di acqua è aumentata notevolmente per formazione dell’edema, per evaporazione dalle superfici ustionate, per passaggio intracellulare anche nei tessuti sani e per perspirazione insensibile. Nelle ustioni gravi la quantità di liquidi persi nell’edema può superare il 10% del peso corporeo. Attraverso la parete endoteliale danneggiata dei capillari e delle venule migra nello spazio extravascolare delle zone ustionate una notevole quantità di proteine , soprattutto albumine e di globuline a molecola piccola. Il trattamento di emergenza è quindi di tipo essenzialmente infusionale e deve essere praticato il più precocemente possibile con l’incanulamento di una vena periferica mediante ago-cannula o meglio, con un catetere venoso introdotto fino in prossimità dell’atrio destro, che potrà essere utilizzato anche per la misurazione della pressione venosa centrale. Esistono varie tabelle che permettono un calcolo approssimativo della quantità di liquido da trasfondere, in genere però la validità di queste formule non è assoluta e la somministrazione di liquidi dovrà essere continuamente regolata in base ai parametri della pressione venosa centrale, della diuresi, dell’ematocrito. In tutti i pazienti in cui si attui una terapia infusoria è opportuna, in particolar modo, la messa a dimora di un catetere vescicale collegato ad un urometro allo scopo di controllare ogni ora la quantità della diuresi per accertarsi della sufficienza della quantità dei liquidi trasfusi. Per quanto riguarda il trattamento locale delle zone ustionate, le procedure immediate consistono nella pulizia delle superfici con soluzioni detergenti e disinfettanti. I primi provvedimenti terapeutici si concludono con l’immunoprofilassi antitetanica ed una eventuale terapia analgesica e sedativa.
Le ustioni a tutto spessore circonferenziali o a 3/4 di cerchio degli arti , torace e collo creano una cotenna spessa poco espansibile; l’edema che si forma nei tessuti sottostanti causa un aumento di pressione che blocca dapprima il deflusso venoso e quindi l’afflusso arterioso con conseguenza di necrosi ischemica dell’arto o di una sua porzione. In altre sedi, collo e torace, le ustioni profonde circonferenziali provocano, oltre alla compressione vascolare, anche una pressione sulla trachea e una ipomobilità della cassa toracica con gravissimi disturbi respiratori. In tutti questi casi è indispensabile nelle primissime ore eseguire delle incisioni con bisturi a tutto spessore della cotenna necrotica fino al tessuto sano, creando così lo spazio necessario alla espansione progressiva del tessuto sottostante. A livello locale due tipi di trattamento si sono alternati con maggiore o minore successo nei vari decenni: il trattamento esposto e quello occlusivo. Se si dispone di ambienti appositi nei quali è possibile sterilizzare, riscaldare, umidificare l’aria, è indicato il trattamento esposto di queste lesioni, che vengono cioè lasciate scoperte e deterse mediante lavaggi o balneazioni in soluzioni medicate. Ciò ha diversi vantaggi: evitare il trauma conseguente alle ripetute medicazioni, consentire una precoce mobilizzazione delle articolazioni, favorire il disseccamento delle escare facilitando la loro demarcazione e limitando le perdite idriche delle piaghe. Il trattamento alternativo a quello esposto consiste nel separare dall’ambiente esterno le superfici ustionate, viene effettuato mediante copertura e bendaggio, coadiuvato da impacchi in soluzioni disinfettanti
Terapia chirurgica
Mentre le ustioni superficiali evolvono verso la guarigione per riepitelizzazione, le lesioni profonde necessitano di un approccio terapeutico di tipo chirurgico. Due sono i principali orientamenti a tale proposito. Il primo, ormai quasi esclusivamente riservato a pazienti non in grado di sopportare un trauma di un intervento chirurgico precoce, è costituito dall’attesa della demarcazione spontanea delle zone necrotiche e della apposizione successiva di innesti sulle superfici granuleggianti. Il secondo, impiegato nella maggior parte dei pazienti, è quello della escissione precoce dei tessuti necrotici seguita dalla copertura con innesti. Tale escissione, che è opportuno effettuare entro un periodo che va dal terzo al decimo giorno dal trauma, consente di asportare i tessuti necrotici prima che inizi il riassorbimento dei prodotti tossici e che insorga su di essi l’infezione, ottenendo così una più efficace prevenzione della setticemia. Esistono, a tale riguardo, principalmente due modalità di esecuzione. Nella escarectomia tangenziale il tessuto necrotico viene asportato gradualmente sotto forma di sottili lamelle fino al raggiungimento di un piano sanguinante e quindi vitale. L’escarectomia fasciale è invece riservata ai casi con lesioni più profonde e consiste nell’intervenire seguendo come piano di clivaggio il piano fasciale. E’ bene notare che l’escarectomia precoce migliora notevolmente la prognosi e la qualità delle successive inevitabili cicatrici. In attesa dell’intervento la medicazione locale mira a prevenire l’inquinamento batterico. I problemi da affrontare nel trattamento chirurgico di queste ustioni sono molteplici; la quantità di cute disponibile per effettuare trapianti autologhi è spesso insufficiente e costringe all’uso di innesti a rete, a ripetuti interventi ed alla utilizzazione in via temporanea di innesti omologhi o eterologhi. Esistono delle condizioni locali e generali indispensabili per l’attecchimento degli innesti di cute. Prima di eseguire l’intervento è opportuno assicurarsi della negatività dell’esame batteriologico, in particolare, la presenza dello streptococco beta emolitico di gruppo A è in grado di compromettere completamente l’esito positivo della procedura. Il tessuto di granulazione, se è presente, deve apparire ben sanguinificato e non ricoperto di materiale purulento; in quest’ultimo caso un trattamento topico per due-tre giorni con impacchi di una soluzione di antibiotico diminuisce la quantità delle secrezioni e permette l’intervento anche se la superficie granuleggiante non è completamente sterile. Per quanto riguarda le condizioni generali lo stato di nutrizione deve essere buono e sostenuto da una dieta adeguata che bilanci l’ipercatabolismo che viene accentuato dall’intervento chirurgico. I livelli di emoglobina non devono essere inferiori all’ 80% dei valori normali; nei giorni precedenti l’atto operatorio sono consigliabili emotrasfusioni per riportare i valori emoglobinici nella norma. Lo stato di anemia si riflette, infatti, negativamente sullo stato di ossigenazione dei tessuti e quindi sulla loro capacità di nutrire adeguatamente gli innesti. Spesso la scelta delle zone di prelievo è determinata dalla distribuzione dell’ ustione. Nel paziente con lesioni della superficie anteriore del corpo, le aree donatrici dovrebbero essere, possibilmente, tutte anteriori, mentre per le ustioni della porzione posteriore si procederà ad un prelievo dalle aree posteriori, onde permettere un decubito supino o prono che esponga sia le zone innestate sia i prelievi. Gli innesti utilizzati nell’ustione sono solitamente sottili a spessore parziale, vale adire innesti che, oltre all’epidermide, contengono la porzione più superficiale del derma. Gli innesti sottili attecchiscono meglio e le aree di prelievo guariscono più rapidamente. Essi però danno risultati estetici più scadenti e non sono quindi indicati per il viso e per le mani per le quali si utilizzano innesti a medio spessore (0,4mm). Per quanto riguarda la sede ricevente, dopo rimozione chirurgica dei tessuti necrotici la superficie va compressa per 4-5 minuti; i punti di emorragia venosa o arteriolare sono eliminati con elettrocoagulazione o legatura con materiale assorbibile e quindi si applicano gli innesti autologhi. Quando la zona da innestare è già granuleggiante si asporta con il bisturi o con il dermatomo a mano la porzione più superficiale del tessuto di granulazione per ottenere un fondo più vitale, per eliminare l’eccesso di granulazione e soprattutto per diminuire la carica batterica che è più intensa sulla superficie. La zona donatrice viene preparata chirurgicamente, vale a dire disinfettata abbondantemente e bagnata con soluzione saponosa sterile per facilitare lo scivolamento della lama del dermatomo. Per il prelievo degli innesti cutanei viene utilizzato un dermatomo meccanico che consente il prelievo di strisce regolari ed uniformi senza perdita di cute nei margini della zona donatrice. In caso di quantità di cute disponibile non sufficiente si può ricorrere all’uso di innesti a rete. Questi consentono di coprire superfici più vaste con minore quantità di cute, facilita, attraverso le maglie, la fuoriuscita di sierosità o di piccoli coaguli. Il risultato estetico con innesti a rete è comunque più scadente rispetto a quello ottenuto con le strisce di cute, per cui non vengono mai utilizzati sulla faccia e sulle mani. Al termine la zona di prelievo viene medicata con garze imbevute di acido ialuronico e fasciata sterilmente. Gli innesti prelevati sono distesi su garza paraffinata con la superficie dermica verso l’alto. Le strisce sono applicate ortogonali all’asse corporeo soprattutto a livello delle articolazioni per diminuire gli effetti della retrazione cicatriziale. Quando la cute è sufficiente è meglio che gli innesti si sovrappongano per un piccolo tratto. E’ importante applicare gli innesti nelle zone in cui essi hanno più probabilità di attecchimento e comunque nelle zone di priorità terapeutica. Le altre zone possono essere coperte con alloinnesti che verranno rinnovati dopo 5-6 giorni e sostituiti nel successivo intervento. L’immobilizzazione degli innesti può essere ottenuta con punti di sutura oppure con una medicazione occlusiva discretamente compressiva. La prima medicazione viene eseguita dopo 48 ore, le garze devono essere rimosse con estrema delicatezza per non strappare la cute attecchita, ma non ancora consolidata. Una volta consolidati gli innesti appariranno rosei e alla pressione la loro superficie si sbianca, segno della presenza di una circolazione capillare. La fisioterapia motoria può riprendere dopo 4-5 giorni dall’intervento e, costituisce uno dei principali presidi terapeutici nel recupero funzionale del paziente ustionato. Comprende il massaggio, l’esecuzione pilotata di movimenti attivi e passivi, la correzione di eventuali atteggiamenti viziati mediante appositi apparecchi di contenzione ed infine la ergoterapia, quale preludio ad un definitivo inserimento del paziente nella realtà lavorativa mediante l’esecuzione di movimenti finalizzati quali il disegno, la tessitura su telaio. Nonostante un corretto trattamento chirurgico precoce ed un corretto approccio fisioterapico è molto spesso necessario intervenire su retrazioni cicatriziali soprattutto a livello delle pieghe principali. Tali interventi sono utili non solo ai fini funzionali, ma anche per prevenire la possibile evoluzione in senso neoplastico di queste cicatrici patologiche.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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