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Prof. Dott. Valerio Micheli Pellegrini
L.D. in Clinica O.R.L. Università di Firenze
Chirurgia Maxillo - Facciale e Plastica Estetica
 Critica alla teoria sui canoni della bellezza corporea

 

Estratto da: IPPOCRATEIOS n. 4/98

SOMMARIO:

Critica alla teoria sui canoni della bellezza corporea

Body Contour Surgery

Aumento muscolare degli arti

Vacuumterapia per il trattamento delle cicatrici

Ricostruzione del legamento crociato anteriore

Dolore lombare

Traumatologia sportiva e riabilitazione

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 La chirurgia estetica è nata come conseguenza delle emozioni suscitate dal paragone tra un corpo armonioso ed uno imperfetto o deforme. L'inquadramento bioetico della chirurgia d'imbellimento non sembra disgiunto da quello che Donati nel 1997 ha individuato per la ingegneria tessutale.

 

Il tema, solo apparentemente secondario, sulla "critica al principio dei canoni della bellezza femminile" è stato già preso in esame una diecina di anni fa sulla Rivista Italiana di Chirurgia Plastica ( Vol. 21, 1989).

Nel più vasto quadro della didattica antropologica, l'immagine del corpo umano, ed in specie di quello femminile, a partire dalle epoche preistoriche, ha ispirato, in tutti i tempi, la pittura e la scultura.

Come la Venere callipigia ottentotta descritta per la sua steatopigia, in una rarissima modalità tipografica da Topinard alla pagina 374 nel suo volume di antropologia del 1877.

Il corpo maschile come quello femminile, anche in epoca medievale apparivano con immagini scheletrite e sintetiche nelle quali si ritrovano le ispirazioni delle notissime sculture che hanno dato la fama all'arte elvetica di Alberto Giacometti. Anche la figura maschile ha occupato un posto importante nelle raffigurazioni dei poemi epici, nei quali però le immagini ideali, nei diversi stili, si riferivano alla descrizione delle superfici corporee esterne, intuite più che derivate dalla reale consistenza anatomica, fino alle definitive, specifiche teorie dimensionali di Leonardo.

Il tema che trattiamo sembra trovare ancora dignitoso alloggio nelle pagine dedicate ad una seria valutazione dei limiti dell'anatomia artistica, messa a confronto con la realtà chirurgica morfodinamica o se si vuole cosmetica, od estetica, nei suoi diversi aspetti.

Si potrebbe dire che secondo le abitudini pompeiane od ostiensi o più genericamente romane, veniva presa in considerazione dunque una anatomia esterna, o, se vogliamo, "cutanea", ovvero delle superfici, ossia del corpo visibile (il secondo corpo di Valery per intenderci, quello visto dagli altri), (satira iconografica di Grimmell 1668).

Anatomia, dunque, esclusivamente artistica, spesso rivestita con gli indumenti dell'epoca, secondo gli usi dei popoli, e in larga misura basata sul nudo femminile.

Le tre Grazie, belle come quelle del Canova, e il campionario scultoreo italiano come quello rappresentato dalle opere di Andrea Triscornia esposte all'Ermitage di Pietroburgo, potrebbero indurci a pensare che il corpo, come oggetto della chirurgia d'imbellimento, o "morfodinamica" (il termine è stato proposto da Micheli-Pellegrini nel 1994), per dar luogo all' inquadramento dei suoi canoni, abbia dovuto soggiacere obbligatoriamente alla ricerca del paragone tra il "non - bello ", ed il quadro opposto di "bello".

Preferiamo indicare questa prospettiva, con la definizione "del negativo" oppure appunto "dell'opposto", facendola partire dai "canoni" dimensionali come quelli modernamente rilevati da Farkas per la regione cefalica .

Questa esigenza dottrinale sembrerebbe indispensabile quando si abbia necessità di esaminare i rapporti, per lo più spiacevoli ed angoscianti, con le imprescindibili prerogative della medicina legale, diffuse in questo ultimo decennio nel magma delle imperfette regole relative alle applicazioni del consenso informato e delle molto elaborate disposizioni sulla "privacy".

Quando un chirurgo si prepara ad eseguire sul suo cliente quella che Hayas ha denominato "metamorfoplastica", deve essere prudente nell'offrire, come diceva Epicuro "soavi moti che tramite la vista si vengono a creare in chi guarda forme gradevoli".

Se confrontiamo le immagini di un corpo lineare ed armonico e di uno alterato nelle proporzioni, si può comprendere perchè la diffusione della "chirurgia d'imbellimento" abbia stretti rapporti con la vita dell'anziano, anche se la condizione corporea che si riferisce a questo termine è molto difficile da definire.

La variabilità del concetto di bellezza si intuisce per esempio osservando le molteplici interpretazioni artistiche di un tema famoso come la nascita di Venere del Botticelli... e confrontando le linee della Venere di Milo con quelle della Venere Callipigia di Napoli e la Venere indiana...distinta per la collocazione spaziale e per il modo di usare il supporto degli arti inferiori, nella stazione eretta.

Se si volessero poi paragonare le linee corporee della Venere degli Uffizi con quelle della donna vista dallo scultore moderno...ci si potrebbe domandare quali debban essere i disegni programmatici delle operazioni d'imbellimento addominale, scegliendo una delle raffigurazioni ora ricordate. Chiedersi cioè a quali dettati di anatomia artistica sottolineati da paradigmi, dovremmo attenerci con la chirurgia modificatrice e morfodinamica corporea se si osservano le linee volutamente ipertrofiche di Botero...

Anche se vogliamo dimenticarci che per Tolstoi "la bellezza è armonia e convenienza" ed ha per scopo "di eccitare un desiderio", occorrerebbe che i modelli raffigurati nei media moderni non si trasformassero in pretesto per sollecitazioni esagerate od irreali, anche se si tratta soltanto di progettare soluzioni di problemi di cellulite. Cellulite, anzi pannicolopatia edemato-fibrosclerotica, ovvero...un nuovo motivo sociale di turbamento dell'immagine.

Ecco allora il conflitto tra i patroni della donna magra e quelli della donna meno magra ma senza cellulite...

A parte poi le supplementari esigenze che sorgono nei pazienti di puro sesso maschile, configurate secondo canoni che oltrepassano quelli tulpiani di buona memoria, perchè i soggetti si adornano degli indumenti obbligatori della moda ed il loro aspetto viene spesso trasfigurato nelle ripetizioni dei rotocalchi. E' dunque ovvio che debba essere considerata con attenzione l'influenza storica delle innumerevoli immagini che arrivano alla nostra osservazione critica sul binario obbligatorio e quasi apodittico dei giornali e della televisione, pervicaci talora nell'affermare la supremazia del vezzo o del volere fantasioso del cliente, contro quelle che sempre sono state e sempre saranno le limitate quanto indefinibili possibilità del chirurgo.

Nell' epistemologia dell'arte chirurgica di imbellire, l'indagine si è rivolta gradualmente a distretti più specializzati. Come è stato per l'immagine del seno, entrata molto precocemente in quella della struttura generale del corpo per motivi tanto importanti come la maternità. Anche in questo campo l'importanza del modello può risultare effimera.

Valenti nel 1905,( p.213) scriveva "anche il capezzolo è suscettibile di molti cambiamenti. Nelle vergini talvolta non fa alcun rilievo, mentre può nell'allattamento raggiungere i due centimetri di lunghezza..."

Per il vero, eliminando anche i trattati di recentissima pubblicazione, è difficile essere certi del modello da applicare in caso di scelta non si esclude mai il prezzo delle cicatrici." Per le portatrici di asimmetria congenita od acquisita le dimensioni saranno sempre approssimative per difetto o per eccesso. E' ancora Valenti che scriveva, "non sempre è facile determinare...la situazione precisa dei capezzoli relativamente alla parete toracica, a causa della mobilità e del vario sviluppo delle mammelle..."

Prescindendo dai casi di ginecomastia, la grande problematica della forma del seno femminile, ricchissima, secondo Pluchinotta(1985), di spunti storici, resterà sempre soggetta a condizioni di alterata morfologia, nei soggetti giovani. Basti por mente alle conseguenze della gravidanza..

Rimangono tuttavia le fascinose immagini giornalistiche che porterebbero a giustificare le moderne argomentazioni per il confronto tra i progetti di modificazione chirurgica ed il valore del modello ispiratore.

 

Schiene quasi ornamentali che sembrerebbero illudere chi volesse riprodurle dal vivo.

In effetti, sebbene il versante corporeo del tronco resti meno soggetto a stimoli di modificazione, verremmo egualmente indotti a ricordare che l'importanza della "euprepia", ovvero della bellezza delle aree glutee e dorsali, ancorchè esaminata nella trattatistica antropologica ottocentesca, si è manifestata molto tardi nel quadro programmatico delle tecniche operative. Ed in special modo di quelle che Pitman ha schematizzato del tutto recentemente nelle sue illustrazioni.

Ma anche qui si ha un bell'attenersi ai canoni corporei. Sarà sempre molto difficile raggiungere le linee del discobolo. A parte le dichiarazioni iperboliche, occorre convincersi che la chirurgia di imbellimento resta di per sé limitata dai suoi medesimi obblighi (i tagli e le cicatrici).

Per di più, il vocabolo bellezza si accoppia troppo liberamente alla formula "medicina estetica"; formula che viene gettata senza troppi riguardi, su quelle masse di individui che Sartori definisce televedenti (homo videns), portati a credere che sia possibile dar vita ad un valore che in effetti è scarsamente misurabile.

Lo si può arguire dall'esame dei vecchi, ma già moderni schemi di Converse, e dal confronto tra addome pendulo ed addome ginnico.

Per quanto si riferisce alla regione addominale, escludendo qualsiasi inopportuna argomentazione di tipo filosofico, occorrerebbe definire decisamente quale debba essere la "immagine corporea visibile", partendo, come avemmo a dire, dalla nozione, affatto negativa, di "non bello" per arrivare ad un bello appropriato e valido solo per quel certo individuo e non per altri.

L'unità ideale di misura potrebbe allora corrispondere al "grado di soddisfazione del proprio aspetto", dichiarato dal nostro paziente, che lo renderebbe indipendente dalla materiale caratteristica delle forme. Come si riesce ad intendere dall'esame di questi esempi nei quali l'imbellimento sembra equivalere all"accontentamento" ovvero al ridursi della dimensione psicologicamente irritativa.

Al di là del rituale richiamo a modelli dimensionali artificiali, oppure a quelli che si trovano nell'arte scultorea e pittorica, il candidato dovrebbe essere indotto a rifiutare il confronto con campioni viventi. Questi campioni sono sempre fluidi e mutanti in quanto individui e non diagrammatici come il modello collettivo freddo e rigido. E soprattutto far mente che la cicatrice è sinonimo di chirurgia e viceversa. Tagli grandi e tagli piccoli non fanno una grande differenza se le cicatrici vengono assorbite psicologicamente.

Quanto alla bellezza corporea, non si possono far sempre confronti solo con quello che vediamo, e non sarà possibile fare della chirurgia estetica lo strumento di eterna giovinezza.

Dovremmo davvero sostituire il concetto di bellezza ottenibile con la chirurgia con quelli di "armonia" e di "fisionomia attraente" oppure con quelli di "atteggiamento elegante" e di "aspetto piacevole". Nulla vieta che nella chirurgia d'imbellimento si faccia riferimento ai contenuti dell'anatomia artistica. Viceversa sarebbe necessario conoscere in anticipo quale possa essere il grado di soddisfazione che si identifichi con il risultato raggiunto.

Questo concetto servirebbe a ricondurre l'intero problema al più accurato vaglio etico, secondo gli asserti di Donati, ai quali abbiamo fatto ricorso al principio di queste nostre osservazioni.

Indice selettivo dei lavori pubblicati
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